Nel corso della storia appaiono donne che agli occhi dei contemporanei si erigono a modelli di santità, poiché da loro si diffonde un’aura di luce che le rende meritevoli di un culto non necessariamente sanzionato dalla chiesa cattolica. Sono donne che diventano figure carismatiche all’interno delle loro comunità - nel loro gruppo o nella loro città - ed esercitano funzioni profetiche, terapeutiche o di mediatrici con la divinità.
Nel corso della storia, inoltre, è esistito il bisogno umano di trovare nella vita e nel mondo queste “fonti” di luce. Ne sono testimonianza nella società occidentale attuale, criticata per il materialismo e l’estrema secolarizzazione, le costanti ricerche personali che ci legano alla trascendenza: psicoanalisi e terapie varie, sette e gruppi di conoscenza personale e crescita spirituale, leadership dei guru ecc.
Nel medioevo la storiografia ha constatato la forte presenza di queste donne, che si iscrivono in un contesto più generale di protagonismo femminile nei movimenti spirituali e religiosi, con varie modalità e profili: recluse o “murate” che assumono l’ideale eremitico nell’ambiente urbano, che consigliano e ascoltano; beghine o beatas che conservano l’aspetto attivo, caritatevole, della Marta evangelica negli ospedali medievali; terziarie legate agli ordini mendicanti che realizzano le aspirazioni del laicato di partecipare al fenomeno religioso; “sante” badesse legate ai nuovi ordini nati dalla spiritualità mendicante (clarisse, domenicane) ecc. Alcune di loro avranno un posto ufficiale nella storia, come modelli di santità di qualche ordine monastico e ottenendo in certi casi la canonizzazione ecclesiatica; di altre conosciamo la storia della vita e del percorso spirituale attraverso le “Vitae” scritte dai loro confessori o anche dalle loro compagne o seguaci; di alcune restano solo indizi in culti locali o pratiche devote, in testimonianze epigrafiche e documentali o leggende. In altri casi, al contrario, assunsero un aspetto che debordava dal quadro sociale, essendo considerate eretiche e, più tardi, streghe.
Inés de Peranda e Clara de Porta si collocano in questo ambiente. Ricordate ancora oggi dalla comunità monastica di cui sono considerate madri e fondatrici, l’attuale monastero benedettino di San Benedetto di Montserrat; presenti nella tomba che presiede il chiostro, nei documenti dell’archivio e nella leggenda del loro arrivo a Barcellona, che le fa diventare nipoti della stessa Santa Chiara e parte del quadro della volontà e del desiderio fondatore della santa italiana. Presenti anche a partire dal XIII secolo nella devozione locale, e agli inizi del XX secolo nel processo di beatificazione portato avanti dalla curia barcellonese ma che non arrivò in porto.
Inés e Clara furono “donne di luce”. Luce che le rese meritevoli di una pratica continuativa di devozione e le fece diventare “sante”; e, in un altro ordine di cose, furono, nel loro ruolo di madri e fondatrici di un gruppo di donne, personaggi essenziali nella costruzione di memoria storica femminile.
Il monastero di Sant’Antonio e Santa Chiara fu la prima comunità monastica del secondo ordine francescano in Catalogna. Come succede di solito alle origini di molti monasteri, e per di più in un’epoca come quella medievale quando molte comunità sono frutto dell’istituzionalizzazione di precedenti spazi religiosi poco formalizzati o di pratiche spirituali non regolate, è difficile fissare la data di fondazione. Le due fonti storiche che ci permettono di accedere a questa storia differiscono quanto a date e personaggi. Così, il racconto a tinte leggendarie che dagli inizi del XVII secolo pare configurarsi all’interno stesso del monastero, per opera dell’allora priora e poco dopo badessa (1637-1644) Dorotea Çarovira, afferma che la comunità è frutto della diretta volontà di Santa Chiara, che nell’anno 1233 avrebbe mandato al queste terre due discepole, legate a lei da diversi gradi di parentela, per fondare una comunità di clarisse. Ciò che da allora diventerà leggenda ripetuta e assunta da buona parte dei cronisti francescani e benedettini, collega pertanto il cenobio barcellonese al progetto spirituale capeggiato dalla stessa santa italiana e alla sua volontà fondatrice.
L’archivio del monastero e i documenti conservati situano l’origine del monastero intorno al 1236, data del documento emesso da papa Gregorio IX ai fedeli della diocesi di Barcellona, esortandoli ad aiutare con elemosine un gruppo di donne pie che desideravano fondare in città una comunità di “povere monache recluse di San Damiano”. Il gruppo, chiamato nel documento “sorum penitentum”, è formato da 12 donne; di due di loro, quelle che si rivolsero al pontefice, conosciamo il nome: Berenguera d’Antic e Guillerma de Polinyà. Pare anche che il gruppo disponesse del terreno per edificare il monastero e che il contributo chiesto avrebbe in realtà aiutato a terminare uno spazio o progetto già iniziato (“adjute opus consumare”). Un elemento che fa pensare all’esistenza di un precedente beghinaggio o associazione di “mulieres religiosae”, avvicinatesi alle nuove correnti spirituali, in particolare agli ideali pauperistici ed evangelici promossi dagli ordini mendicanti, e che alla fine si sono inserite nel quadro del francescanesimo femminile.
Viterbo. 1236, 18 febbraio. Butlla de Gregori IX als ciutadans de Barcelona perquè contribueixin amb les seves almoines a l’edificació del monestir. MSC (Monasterio de Santa Clara), Colección de pergaminos, núm. 179.
Certamente il carattere epico e miracoloso della leggenda, che descrive l’arrivo delle due donne in una barchetta senza remi, dopo aver subito un naufragio, lascia pochi dubbi sulla sua veridicità. Ancor più quando scopriamo che il ricorso a un primo e leggendario intervento femminile, personificato nelle discepole e/o parenti mandate dalla stessa Santa Chiara, appare sia nell’area castigliano-leonese sia in quella andalusa della Penisola Iberica, così come in altre zone europee. Tuttavia, più che certificare o meno la sua veridicità, ciò che forse va sottolineato è che, come afferma Milagros Rivera, "la leggenda raccoglie una verità nota che altre forme di trasmissione del sapere o della memoria storica non sono capaci di accogliere". Nel caso della fondazione barcellonese, la cronaca leggendaria non fa che mettere in primo piano, sulla scena e nella interpretazione storica, i rapporti tra alcune donne che condivisero il medesimo anelito spirituale, furono “toccate” dal carisma di San Francesco e seguirono molto da vicino il progetto femminile abbozzato da Santa Chiara, non senza difficoltà.
Mª del Mar Graña Cid, 1994.
Milagros Rivera, 1999, p. 110.
Il legame con Santa Chiara si evidenzia anche nella traiettoria personale della badessa Inés [Agnese], che volle rinunciare alla sua carica così come aveva fatto Chiara d’Assisi. La lettera che Papa Alessandro IV le inviò nel 1258 è significativa del prestigio e dell’autorità di cui disponeva la badessa di Sant’Antonio: in essa il pontefice loda le sue virtù e la esorta a mantenere la sua carica.
Attualmente non sappiamo se si stabilì qualche contatto diretto tra Chiara d’Assisi e la badessa Inés [Agnese], a parte il desiderio di Inés di emulare la santa italiana e il legame familiare e di maestra-discepola mostrato dalla leggenda di fondazione del monastero. Invece conosciamo il rapporto epistolare di Chiara d’Assisi con altre sante badesse fondatrici dell’Ordine di San Damiano, che ha lasciato scritti di innegabile bellezza: lettere ad Agnese di Boemia, fondatrice del monastero di Praga, e a Ermentrudis di Bruges, fondatrice di quello di Bruges. Per saperne di più: Escritos de santa Clara, Madrid, Biblioteca de Autores Cristianos, 1970; Escrits de Sant Francesc i Santa Clara, Barcellona, La Hormiga de Oro, 1998.
Brano centrale della lettera inviata dal papa Alessandro IV alla badessa del monastero di Sant’Antonio di Barcellona, Inés (1258, luglio, 27). MSC, Colección de pergaminos, núm. 526. (Traduzione dall’originale in latino).
"[...] Con tanto gusto ti spronano quelle cose per mezzo delle quali si acquistano quelle della patria celeste e da cui proviene la salvezza delle anime, che così diligentemente ti vediamo dedita alle opere di carità. Secondo quanto ci hanno manifestato con giudiziosa esposizione le nostre care figlie di Cristo del convento del monastero, tu, con l’aiuto della grazia divina, ti sei sempre dimostrata diligente nella promozione degli affari del medesimo monastero, sia nella parte spirtuale sia in quella temporale; ma ora, guidata da un altro spirito contro la volontà dello stesso convento, ti ostini fermamente a rinunciare all’incarico della tua amministrazione e a quello di badessa.
Volendo Noi, pertanto, che con questo incarico tu sia gradita alla presenza del Re eterno, attentamente preghiamo, ammoniamo ed esortiamo la tua piissima persona, per mezzo di lettere apostoliche a te rivolte, comandandoti insistentemente in virtù dell’obbedienza che devi per reverenza alla sede apostolica e a Noi, affiché continui da ora in avanti a conservare ed amministrare in prosperità tale monastero come hai fatto finora [...].
Se alla strutturazione di questo spazio religioso femminile partecipò un gruppo di donne, l’autorità e il prestigio ebbero due nomi propri, le protagoniste della leggenda Inés de Peranda e Clara de Janua o de Porta. L’esistenza storica di entrambe le donne è confermata dai documenti. Così risulta che Inés fu la prima badessa del monastero: a lei sono rivolti alcuni dei privilegi concessi dai poteri spirituali e temporali dell’epoca. La lapide sepolcrale, probabilmente fatta alla fine del XIII secolo secondo lo storico Fidel Fita, ci traccia un badessato lungo, di più di quarant’anni, e fornisce la data del 1281 come anno della morte. Il profilo della sua compagna di viaggio, Clara de Janua-Genova, è più confuso, giacché nel 1311 è confermata badessa del monastero, data che ci darebbe un’età parecchio avanzata se la consideriamo una delle probabili fondatrici della comunità. Comunque sia, da allora le due donne incanalarono il prestigio sociale della comunità e si fecero posto nella pietà popolare.
La santità di Inés e Clara sarà un aspetto avvertito già dai loro coetanei. In questo senso il monastero nel corso del XIII secolo comincia a incanalare i legati testamentari e i legati “pro anima” dei parrocchiani e diventa un centro di devozione particolarmente apprezzato dalla casa reale catalana. La regina Violante d’Ungheria, sposa di Jaime I, ottiene già nel 1240 il permesso speciale di entrare con le figlie nel recinto monastico; un centinaio d’anni più tardi, la regina Leonor di Sicilia stabilirà nella chiesa del monastero il beneficio di San Michele (1363). D’altra parte comincia la venerazione dei loro corpi santi, centro di miracoli e guarigioni, che contrassegneranno un culto continuativo nel quadro della santità locale, definita da André Vauchez (1981) come quella che non raggiunge la dimensione della beatificazione né l’universalità della canonizzazione. Nella prima metà del XVII secolo, la comunità sembra iniziare un primo tentativo di canonizzazione delle due “sante”, che sarà ripreso nel decennio 1910, quando si riuscirà a fare un primo passo, con il processo seguito dalla curia episcopale barcellonese. Per circostanze attualmente sconosciute, il processo non andò oltre, fermandosi alle porte della revisione da parte della Congregazione dei Riti di Roma, che ha il compito di ufficializzare il calendario dei santi cristiani.
Nei documenti notarili redatti in un primo tentativo di canonizzazione delle due donne nella prima metà del XVII secolo, si cita il loro potere curativo e taumaturgiuco quando sono oggetto di devozione e preghiera da parte dei fedeli (guarigione dalla cecità del figlio di Elisabeth Pujol, dopo che lei era stata informata dalla serva del monastero, Eulalia, del “potere” delle “sante”) o della stessa comunità (intercessione presso le sante quando la peste attaccò Barcellona, con la promessa di far bruciare per sempre una “lampada in onore delle due sante”). Si conoscono anche i poteri di guarigione di Santa Chiara d’Assisi, soprattutto nelle affezioni di gola e orecchie.
Per la sua comunità, l’aura di luce di Inés è evidente, stando alle parole scelte per la lapide sepolcrale poco dopo la sua morte, e la sua presenza è permanente in oggetti quotidiani che ne portano il segno: i cuscini, le “gonnelle aragonesi” o il “manto azzurro” di santa (sic) Inés, che si ripetono nel complesso degli inventari della sacrestia del monastero durante il XIV e il XV secolo. Il monastero si assumerà anche il culto e la devozione dei due corpi santi a partire dal 1460, data della prima traslazione dei corpi dal cimitero della comunità alla cappella di San Giovanni della chiesa del monastero, fino al 1725 quando furono trasferiti presso le dipendenze del Palazzo Reale, nuova sede della comunità dopo la distruzione dell’antico monastero durante l’assedio di Barcellona del 1713. Custodite con cura, le sante reliquie erano esposte al pubblico in giorni indicati, specialmente il giorno di Santa Chiara, quando era uso aprire i sepolcri e passare della bambagia sulle due sante.
Per esempio, MSC, “Enventari de les robes de la sagrestia donat per mi Sor Aldonça de Moncada lo derer divendres de març any MCCCCLXI”. Inventarios de sacristía, núm. 31, caja 8.
Se cerchiamo il segno della differenza femminile nella storia, vediamo che le diverse pratiche di spiritualità sviluppate in spazi e gesti individuali o collettivi, formalizzati o no, rendono possibile l’esercizio e il riconoscimento sociale di autorità femminile nella storia. Alle due clarisse, e specialmente a Inés, viene attribuita una capacità mediatrice con la divinità e la trascendenza; di loro si valorizza la parola e il consiglio, e dopo la morte i corpi santi saranno oggetto di devozione e culto per i loro poteri taumaturgici e salvifici. Il prestigio e l’autorità carismatica di entrambe le donne è confermata anche dalla traiettoria di un’altra “mulier sancta”, Maria de Cervelló, con cui condivisero spazio e tempo nella Barcellona del XIII secolo. Il cronista Gazulla afferma che Maria andava spesso con sua madre a trovare Inés e Clara per “parlare di cose di Dio, ascoltare i loro consigli e osservare le loro virtù”.
Faustino Gazulla, 1909, p. 39.
La comunità fondata da un gruppo di donne influenzate dal progetto di Chiara d’Assisi modificò la sua traiettoria agli inizi del XVI secolo quando entrò nella congregazione benedettina. Ma le ex damianiste cominciarono la loro storia di benedettine senza dimenticare le radici clarisse, che prenderanno corpo nelle due figure carismatiche di Inés e Clara e forma nel racconto leggendario del loro arrivo alla spiaggia di Barcellona.
Dorotea Çarovira dà forma e nome proprio alla leggenda nelle memorie autografe scritte nel 1632. Quello che fa allora la priora del monastero è, come afferma Ángela Muñoz, “l’operazione politica di perpetuare memoria femminile nella storia”: quando scrive queste note, probabilmente a 55-60 anni, lei riconosce di averlo sentito dai genitori e da Brinda de Vergós, badessa del monastero tra il 1576 e il 1585, e costei, a sua volta, da persone e monache dei suoi tempi. Dorotea, pertanto, sembra riconoscere un certa tradizione orale, viva nel monastero, che non ha dimenticato i legami con il progetto di Chiara d’Assisi, progetto conosciuto o attraverso qualche pellegrinaggio in Italia da parte del gruppo di beghine-penitenti - come nel caso dell’origine del monastero di clarisse di Burgos - o attraverso la presenza a Barcellona di monache italiane - come sembrano confermare i nomi di Maria Pisana o della stessa Clara de Janua, tra le prime monache della comunità.
Il volume non si trova nell’archivio. Ne conosciamo il contenuto attraverso l’opera del P. Vinyolas y Torres, che lo poté consultare e ne cita alcuni brani nell’opera del 1930. E anche in un libretto di note che fa parte del processo presso la Curia di Barcellona tra il 1912 e il 1913: ADB, Processos de beatificació i canonització, “Agneti Perandae et Clara ab Janua”, núm. 37 bis.
Ángela Muñoz, 1998, p. 60.
Si tratta, in definitiva, di gesti continuativi nel tempo messi in atto dalla comunità per riconoscere il ruolo di Inés di “madre fondatrice nostra”, parole raccolte dall’Ufficio del secolo XIV della comunità, attualmente conservato nella biblioteca del monastero di Montserrat. Gesti e parole, rituali e tradizioni leggendarie che in definitiva costruiscono genealogia e memoria, che aiutano a dare struttura e senso alla lunga e avventurosa storia di questa comunità monastica.
Nel Diurnale ad usum fratum minorum, della prima metà del XIV secolo, scritto per la comunità, c’è la seguente annotazione: “Anno Domini MCCLXXXI obiit venerabilis et sanctissima domina soror Agnès, abbatissa prima istius monasterii et Mater nostra” (Cfr. A. Olivar, Catàleg dels manuscrits de Montserrat, núm. 13).
Riflettere su questo bisogno umano di legame con la trascendenza e di persone e gesti che ci mettano in contatto con il sacro.
Collegare l’autorità carismatica di queste monache clarisse e gli spazi di pietà femminile regolati e istituzionali in cui vissero la loro esperienza religiosa e di vita, con il movimenti delle beghine (E. Botinas-Cabaleiro), che incarnarono una pratica spirituale di sintesi contemplativo-mistica e di azione sociale, di impegno con gli svantaggiati. Riflettere sulla possibilità di libertà femminile in queste due manifestazioni storiche femminili.
Giustapporre all’immagine storiografica tradizionale che vede la vita consacrata femminile come un modo di vivere alienato e separato dal mondo, un’altra che mostra la capacità di azione delle badesse, la possibilità che il monastero femminile diventi un riferimento sociale: uno spazio stabile e legittimato, fuori dal matrimonio, in cui possono diventare significative le relazioni tra donne, basate sul riconoscimento di autorità femminile e in cui si può vedere anche una genealogia che ricrea e dà senso a questo spazio di donne. La storiografia delle donne ha valorizzato significativamente questi spazi, sia nella versione monastica sia in quella non claustrale, e la loro capacità di sviluppare “società femminile”, intesa “come quella in cui l’energia femminile è redistribuita prima di tutto tra donne invece di sostenere progetti di uomini” (Rivera, 1993, p. 51).
Sepolcro delle due “sante”, Inés e Clara
Facsimile di un’incisione che rappresenta le due sante mentre arrivano in barca alla spiaggia di Bar...
“Santa Chiara e Santa Elisabetta d’Ungheria”, Simone Martini, 1317
“Fondazione del monastero”
"Le artiste"
Immagine dell’apertura ed esposizione dei corpi delle due “sante donne” per permettere la devozione ...
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Núria Jornet BenitoNata nel 1968 a Vilanova i la Geltrú. Medievista di formazione, attualmente è docente alla facoltà di Biblioeconomia e Documentazione dell’Università di Barcellona, dove insegna Archivistica e Paleografia. Dal 1994 fa parte del Gruppo di Ricerca Duoda e dal 2001 della Commissione pubblicazioni e documentazione del Centro Studi di Donne Duoda. Il suo indirizzo di lavoro si centra principalmente sulla spiritualità femminile in epoca medievale: la sua tesi di dottorato è dedicata all’origine e alla fondazione del primo convento di clarisse di Barcellona, il convento di Sant’Antonio e Santa Chiara. Con le successore di questa comunità, il monastero di San Benito di Montserrat, organizza l’archivio storico e prepara l’edizione dell’inventario del loro fondo. |