La presenza delle donne nell’opera di dissodamento, ripopolamento, colonizzazione e civilizzazione è costante nel corso dei secoli medievali. Questa presenza femminile è particolarmente notevole nelle zone di frontiera dei diversi spazi della penisola iberica. Su questa base faremo entrare nella storia donne di diverse classi sociali che compaiono nei documenti dei Contadi Catalani di epoca preromanica e romanica - prefeudale e feudale -, tempo in cui le donne lasciarono una traccia attiva nella documentazione. Ci sono mani femminili che dissodano, che piantano, che fondano, che pacificano, che governano, che giudicano... e che inoltre coccolano i figli, educano, guariscono, impastano, cucinano, filano e ricamano.
È un’epoca in cui il simbolismo era molto importante. Il simbolismo nella pittura romanica si mostra spesso nelle mani: mani che esprimono atteggiamenti, mentalità e sentimenti. Tra le mani romaniche sceglierei quelle di Lucía de la Marca, contessa di Pallars, dipinta nel monastero di San Pedro de Burgal. Lucía appare con una mano aperta, generosa, in segno di offerta, di donazione; con l’altra mano sostiene una lampada, come le vergini prudenti, sempre all’erta, sempre pronta, e volle che il suo mecenatismo fosse notorio, in modo che il suo nome figurasse nella pittura.
Erano tempi in cui coppie di coloni si prendevano terre incolte, contadine e contadini, donne e uomini gomito a gomito: “spaccano, dissodano, coltivano, occupano” terre fino all’estremità più lontana della regione di frontiera con i saraceni. È un goccia a goccia costante dal IX secolo: Io, Ermengarda e mio figlio Otger e le mie figlie Ermengarda e Eldefrida ti vendiamo ... una casa con cortile e orto, terre coltivate e incolte, tutto quello che abbiamo reso fertile insieme a mio marito Senaldo, defunto. Questa struttura di famiglia ripopolatrice continua; leggiamo in un documento del secolo XI: Io, Altamir, con mia moglie Sindola, siamo venditori ... di una vigna che abbiamo ottenuto per compassione e con il sudore del nostro lavoro.
Diplomatario della cattedrale di Vic, Vic, 1980, doc. 11 (anno 889).
Archivio della Cattedrale di Barcellona, Liber Antiquitatum, vol. I, doc. 62 (anno 1017).
È un’epoca di dure fatiche nei campi. I resti di ossa analizzati in molti luoghi della campagna medievale hanno dimostrato che le donne lavoravano duro, svolgevano un lavoro equiparabile a quello degli uomini. È un’epoca di guerre fatte dagli uomini, mentre le donne coltivano, conservano il patrimonio, amministrano i feudi, comandano nei castelli, governano i contadi. La loro opera era più riconosciuta che in altri momenti storici, come si vede tanto nella proprietà delle terre quanto nei diritti riconosciuti dalle leggi vigenti e nelle porzioni di potere che mostrano di avere.
OLLICH, Imma, "Arqueología medieval y género" in Morir en femenino.
Fu più con le zappe e gli aratri che con le spade che si dominò la terra. Contadine e contadini strappano terre ai boschi e alle pietraie, coltivano nuovi campi e piantano vigneti. I documenti riconoscono quest’opera congiunta: fanno constare per iscritto che le donne hanno partecipato al dissodamento della terra, da quando era incolta, abbandonata, improduttiva. Invece questa presenza attiva non si riflette nei libri di storia; ma loro lavorano la terra, edificano e fondano, sono colonizzatrici, madri e educatrici; loro erano lì dal principio.
Molto interessante in questo senso è la donazione a favore del monastero benedettino di San Juan de las Abadesas da parte di una colona chiamata Grima; i suoi tre figli, compiendo la volontà della madre e a protezione dell’anima sua, concedono al monastero un pezzo di terra che lei ha reso fertile, insieme a noi suoi figli, i primi uomini nella terra reale sotto dominio dei franchi, effettuano la donazione a favore della badessa Emma e delle monache di San Giovanni. Facciamo notare che tra i “primi uomini” che colonizzarono il Ripollés viene citata una donna, proprietaria di alcune terre frutto del suo lavoro, in un momento in cui anche l’organizzazione della zona si trovava in mano a una donna, Emma di Barcellona, artefice dell’ordinamento di quel territorio. Possiamo verificare, per mezzo del documento che dava atto dell’inserimento di diverse comunità contadine sotto il controllo di Emma, che la metà delle firmatarie, capofamiglia, erano donne.
Precepit nobis jenitrice nostra quando ad extrema voluntate venit, nomine Grima, colonitzadora fecissemus cartam de terras ad supradicto monasterio propter Deum et remedium anime sue. .. quod illa eam tenebat genitrice nostra supradicta Grima de aprisione, que illa traxit de heremo cum nos supradictos filios suos, pimi homines terra regia subditione franchorum… Il documento è datato nel 942, proprio l’anno in cui sarebbe morta la badessa fondatrice. UDINA, Federico, El archivo condal de Barcelona, en los siglos IX-X, doc. 116 (anno 942). Non è l’unico esempio: Riquilda, colona, donna, fa la donazione a San Juan de las Abadesas e alla sua badessa Emma con i suoi santi moniales, di una vigna che ella aveva impiantato insieme al marito. Op. cit., doc. 12 (anno 900).
Le donne dissodavano accanto agli uomini, alcune prendevano perfino l’iniziativa, occupavano terre e costruivano fortificazioni sulla frontiera, come Guinedilda, che senza marito, con i suoi tre figli e due coppie di pionieri, è la prima a occupare Cervera, che allora si trovava in un posto molto vicino al regno moresco di Lérida. Questa donna è a capo di un piccolo gruppo di pionieri: l’autorità comitale le riconosce la leadership concedendo in favore suo e dei suoi, ma in primo luogo a lei, la carta di popolamento, facendo constare il merito di essere la prima tra i primi a popolare e costruire in quel luogo, prima di tutti gli altri colonizzatori della marca. Che una donna sia capo non è mai un fatto isolato, in quel contesto ci furono altre protagoniste della storia della colonizzazione e organizzazione del territorio, di modo che troviamo liste di colonizzatori con in testa donne, altre agiscono accanto agli uomini a un livello riconosciuto di opera congiunta, come la coppia che appare nei capitelli di Ripoll.
Durante quei primi secoli ci furono pochi avanzamenti della frontiera, ottenuti con la forza delle armi. Dicevamo prima che la terra era stata dominata soprattutto con le mani che la lavoravano e che vi facevano ordine, ma si produssero anche conquiste; vedremo un esempio concreto sufficientemente documentato per cogliere qual era allora il ruolo della donna. Arnaldo Mir de Tost e sua moglie Arsenda conquistarono, ripopolarono, organizzarono la valle dell’Ager e vi edificarono. Suo marito lo ricordava nell’atto di donazione del borgo e della valle, che avevano conquistato entrambi, alla canonica che io e la mia defunta sposa congiuntamente edificammo. Non sappiamo il modo in cui lei partecipò alla conquista, se prese le armi o se piuttosto consigliasse o appoggiasse il marito e amministrasse il patrimonio; comunque, lei nel testamento riteneva che le corrispondesse la sua parte di armi, così come dei mobili. Ebbene, disponeva che le armi si vendessero per comprare ornamenti sacri, diversamente dal marito che le lasciò ai suoi uomini affinché se ne valessero al servizio delle sue figlie e dei nipoti. Non sappiamo se lei combatté, ma sappiamo che partecipò attivamente all’organizzazione e al ripopolamento della valle, sistemando famiglie contadine, ordinando di costruire strade, ponti e ospedali, e che svolse un’opera civilizzatrice, conciliatrice e pacificatrice nelle guerre feudali.
Su Arsenda: VINYOLES, Teresa; SANCHO, Marta; NAVARRETE, Maria; VERGARA, Elena, “Lo material y lo simbólico en los testimonios de mujeres el siglo XI”, in De los símbolos al orden simbólico femenino (siglos IV-XVII). Madrid, Laya, 1998, pp. 265-283.
Rispetto alla conquista di Ager, Arnaldo Mir e Arsenda ringraziano Dio “che ha dato a noi la vittoria sui pagani e dopo molti pericoli e tribolazioni ci ha fatto conquistare e possedere, nel territorio dei saraceni, molti castelli, terre e fortezze che abbiamo strappato al loro dominio”. La documentazione su Arsenda è tratta dai documenti pubblicati da SANAHUJA, Pedro, Historia de la Villa de Ager, Barcellona, Seráfica, 1961, e CORREDERA, Eduardo, El archivo de Ager y Caresmar. Balaguer, 1978.
Durante quei secoli, le terre coltivate crescevano per tutta Europa, specialmente nelle zone di frontiera e di nuova colonizzazione e c’è un’attiva partecipazione delle donne nell’opera di popolamento e di costruzione, nel senso più ampio della parola: edificarono vigneti, paesi e templi, crearono e trasmisero lingue e cultura, consolidarono famiglie, genealogie e lignaggi. La presenza della donna in contatto con la natura che andavano addomesticando ci avvicina alla terra che dà frutti, alla madre terra, alla dea madre; allora, in molti luoghi di nuova colonizzazione appaiono Vergini trovate nelle grotte, nei boschi o ai margini dei campi coltivati; il culto della Madre, diventato il culto di Maria, è sempre più vivo. Ci sono Vergini che con le loro mani tengono contemporaneamente l’universo e il Dio bambino.
Ermesenda, per grazia di Dio contessa, con mio figlio doniamo generosamente a voi Guinedilda, donna, e ai tuoi figli... leggiamo all’inizio della carta di popolamento di Cervera. Ermesenda, contessa-madre, appoggia l’opera di ripopolamento e colonizzazione della terra, agisce come prima firmataria per il diritto dato alla donna sui suoi beni da suo marito, e fa constare che al fronte dei ripopolatori c’era Guinedilda, pioniera-madre, simbolo della donna colonizzatrice a cui viene riconosciuto il lavoro svolto nell’occupazione di terre incolte e nella costruzione di fortezze di frontiera. La carta incitava quelle nuove popolatrici e popolatori a continuare a togliere terre all’incoltura e alla solitudine, facendole diventare terre coltivate, e a costruire case, castelli e torri. Sottolineamo inoltre che si fa constare esplicitamente la condizione di madre che avevano queste donne; da questa “categoria” promana gran parte della loro posizione.
Ho parlato del tema in VINYOLES, Teresa, “Ermessenda, Guinedilda... les dones de l’any mil”. Gerbert d’Orlhac i el seu temps. Vic, Eumo, 1999, pp. 175-187. “Las mujeres del año mil”, Aragón en la Edad Media, n. XVII, Saragozza, 2003, pp. 5-26.
La contessa risulta stare davanti a suo figlio e a sua nuora, e bisogna mettere in rilievo il fatto che nonostante ci fosse il nome di Berenguer Ramon come concedente, egli non firma, mentre lo fa la sua giovane moglie Sancha. Ermesenda aveva lasciato la tutela di suo figlio tre anni prima, ma la legge vigente riconosceva il diritto della vedova che non si risposava: lei era al di sopra del figlio; come le contadine che seguivano la cosiddetta legge visigota, per tutta la penisola iberica e nel mezzogiorno francese vantano questo diritto e lottano per conservarlo. Ermesenda esercitò la sua autorità, prima accanto al marito: in suo nome presiedette processi, come quello che nell’anno 1000 favoriva una povera donna che era tornata dalla prigionia; accompagnò Ramon Borrell sul campo di battaglia e soprattutto nelle missioni di pace come quella che li portò a Saragozza presso il re mussulmano di quella città e che si suggellò con il matrimonio del loro figlio con la figlia, ancora bambina, del conte di Castiglia. Morto il marito, governò accanto al figlio, che morì giovane, e poi agì in qualità di tutrice del nipote.
In quell’epoca violenta in cui si produceva il rapido processo di feudalizzazione, Ermesenda si circondò di vescovi, di abati e di giudici, con i quali cercò di portare a termine un’opera pacificatrice, di fondazioni religiose, di ripopolamento e ripresa economica, volle garantire il diritto e il potere pubblico. Ma i tempi cambiavano irrimediabilmente, la violenza feudale trionfava dovunque, la nobiltà desiderosa di potere sfidò la sua autorità, l’antica legge ardentemente difesa dalla vecchia contessa veniva sostituita da processi arbitrari, la violenza arrivava in seno alle famiglie; lei si vedeva contrapposta al nipote e reclamava ostinatamente i suoi diritti, si metteva dalla parte della riforma morale propugnata dalla chiesa, difendeva la legge vigente, i diritti della donna, il diritto a processi giusti e il rifiiuto delle ordalie. Infine trasferiva il potere al nipote Ramon Berenguer I, a cui aveva fatto quasi da madre.
I documenti dell’epoca la presentano e la ricordano come una donna pia. Fu attiva nella fondazione e dotazione di chiese e monasteri, tra cui il monastero fenmminile di San Daniel de Girona poco dopo che era stato soppresso con violenza quello di San Juan de las Abadesas. Il suo testamento, come quello di altre donne nobili del tempo, è un tragitto per le cattedrali e i monasteri romanici che si stavano erigendo intorno a lei. Religiosa femina la chiamano nel libro de óbitos (libro dei decessi) della cattedrale di Girona, comitissa santísima la definiva un documento navarro.
AURELL, Martí, Les noces del comte, Barcellona, Omega, 1997, p.85. Colección diplomática de la Rioja, vol. II. Logroño. Diputación Provincial, 1976, doc. 3 (anno 1040).
Nonostante tutto, la storiografia l’ha trasformata in una donna autoritaria e ambiziosa, in un personaggio negativo. Altre donne, del suo tempo e di tutti i tempi, sono state fatte tacere dalla storia; ma davanti a questo personaggio che non si può passare sotto silenzio, dato che esercitò la sua autorità dal 993 fino praticamente alla morte, avvenuta nel 1058, gli storici hanno optato per darne una visione parziale e molto peggiorativa. Penso sia stata trattata ingiustamente. Potremmo leggere il suo agire non nella prospettiva di un’ansia di potere, ma di un’ostinazione per la legalità: Ermesenda voleva che si adempisse il diritto vigente, a cominciare evidentemente dal suo diritto, il diritto che lasciava la donna titolare vitalizia dei beni e diritti del marito; ma il costume stava cambiando e la vedova veniva sempre più messa da parte a beneficio del figlio.
In un momento in cui i nobili vogliono privatizzare l’esercizio della giustizia e far prevalere la forza arbitraria dei giudizi di Dio al di sopra della decisione del tribunale comitale, Ermesenda difende la validità della legge al di sopra della forza e dell’arbitrio: affermava che i problemi non si devono discutere con le armi ma con la legge in mano.
La contessa concedeva una carta di popolamento in favore di una ripopolatrice, fondava un monastero di monache, faceva prevalere la legge che favoriva le vedove, ascoltava una contadina uscita di prigione... La storiografia si diverte a presentare Ermesenda contrapposta a un’altra donna, Almodis de la Marca, la moglie di suo nipote; la Storia vuole ricordarla come una vecchia beghina contrapposta alla giovane femminista, che dovevano inesorabilmente combattersi.
AURELL, op. cit., p. 206.
Certamente Ermesenda si contrappose a suo nipote Ramon Berenguer I - a cui aveva fatto da nonna, da madre, da educatrice e consigliera -, si oppose al suo matrimonio con Almodis che era in contrasto con la morale della chiesa; però fu lei che intercesse personalmente presso il papa affinché legalizzasse quella che fu una grande storia d’amore dell’XI secolo. Ermesenda giurò fedeltà a Almodis; possiamo immaginarla con le sue vecchie mani sopra a quelle della giovane contessa, giurando in nome di Dio e dei santi e nominando le loro madri: Giuro io Ermesenda, figlia che fui di contessa, a te Almodis contessa, che fosti figlia di Amelia contessa, che da qui in avanti non spregerò né te né la tua vita né le membra del tuo corpo né la tua discendenza... Qualche storico ha visto in quest’atto una grave umiliazione per l’orgoglio della contessa nonna, noi potremmo vedervi un grande atto d’amore: la mano tesa verso l’altra, che chiama contessa, mentre lei rinuncia a questo titolo. Non possiamo dimenticare che Ermesenda cedette il governo a Ramon Berenguer per il bene della pace e in nome dell’amore, come ricordava: Prego il signor Ramon, conte, nipote mio, congiuntamente alla signora Almodis, contessa, sposa vostra, per Dio e Santa Maria, Madre sua,... che abbiate grande cura della mia anima... giacché Dio sa che io vi ho amato più di chiunque altro della vostra gente, e questo lo potete sapere da ciò che ho fatto per voi. Ritengo brillante, magnifica, questa frase in bocca all’ottuagenaria contessa quando firmava il testamento intorno al novembre 1057. Riconosce di averli amati, lui e anche lei, consapevolmente con la volontà di farlo e con il sentimento sgorgato dal cuore per il figlio di suo figlio e la sua sposa. Inoltre, l’amore attivo l’ha dimostrato con le cose che ha fatto per loro, e pensa che li ha amati più di chiunque altro. In fin dei conti, forse la vecchia dama aveva ragione, la nobiltà si era alzata contro il conte, e qualche anno più tardi il figlio di Ramon Berenguer avrebbe assassinato Almodis nello stesso palazzo comitale. La storiografia ha contrapposto queste due donne, ma Ermesenda ha detto che sarebbe stata fedele a Almodis e che le voleva bene e aveva fiducia in lei, e noi le crediamo.
Iuro ego Ermesindis filia qui fui Adalaizis comitissa, tibi Almodis comitissae que fuisti filia Amelie comitisse, quod ab hac hora et deincebs, in futuro tempore, dum xivero, non dezebré te predictam comitissam Almodem de tua vita neque de tuis membris que in corpore tuo se tenent, nec te neque posteritatem tuam quam nunc habes de Remundo chomite, filio Sanccie, comitissae vel in venturo tempore habebis ex eo. (Los pergaminos del archivo condal de Barcelona de Ramon Borrell a Ramon Berenguer I, Barcellona, Fundació Noguera, 1999, doc. 534 (anno 1057).
Liber Feudorum Maior, doc. 490 (anno 1057): quia Deus scit quod plus vos dilexi et amavi quam alium de vestra gente. Ermesenda non morì fino all’anno successivo; dopo il testamento scrisse un codicillo dove non menziona né il nipote né sua moglie, ma non revoca ciò che aveva firmato e affermato nel suo testamento.
Questo tema è stato pensato per imparare a fare un’altra lettura della storia. Vogliamo far notare che questa storia pur essendo partita da un singolo documento l’abbiamo costruita con diversi documenti, e che le protagoniste sono varie donne, sono le donne. Donne che si identificano come piantatrici, colonizzatrici, edificatrici, contesse, madri... La società del loro tempo non le ha fatte tacere, la loro potente parola è consegnata allo scritto: Io Ermengarda vendo..., Ci ha detto nostra madre Grima..., Guinedilda la prima, prima di ogni altro colonizzatore..., Io Ermesenda do..., giudico..., giuro..., vi ho amato...
Abbiamo voluto che le figure centrali fossero Guinedilda, madre e pioniera, simile a molte altre madri e pioniere presenti in tutta Europa in quei primi secoli medievali, e la contessa Ermesenda, figura rilevante del suo tempo che agisce con autorità come altre coetanee. La Storia fatta dagli storici le ha rese invisibili, e quando non hanno potuto farlo hanno minimizzato o disprezzato la loro presenza. Ciò che vorremmo sottolineare è che molte donne, in quei secoli lontani, non si limitarono a essere spettatrici degli avvenimenti, ma ne furono protagoniste; bisogna insistere sul fatto che guardarono il mondo con occhi di donna, agirono al femminile, fecero sentire sulla terra e sugli uomini del tempo le loro mani ordinatrici.
Queste parole sono state ispirate da un canto di nozze del IX secolo dedicato a Leodegundia, figlia di Ordoño I re di León, che si sposò con un re di Pamplona. È una magnifica lode alla sposa: le sue virtù, la sua parola, la sua erudizione, il suo viso e le sue mani ordinatrici: Ornata moribus, eloquiis claram, eruditam litteris sacrisque mistertiis, conlaudetur cantus suavi imniferis vocibus. Dum facies ejus rutilat decore moderata... ornat domum, ac disponi mirabile ordine.
Canto scritto verso il 869, conservato nel Códice de Roda, pubblicato da Armando Cotarelo. Historia crítica y documentada de la vida y acciones de Alfonso III el Magno. Madrid, Victoriano Suárez, 1933, p. 641.
Lucía de la Marca ritratta in un affresco proveniente dal monastero di San Pedro de Burgal (Pallars ...
Coppia di contadini che trasportano covoni
Coppia di contadini che trasportano covoni
Scultura in legno romanica di Vergine, del tipo Kyriotisa
Timbro della contessa Ermesenda
Contessa che esercita la sua autorità
Scultura in legno romanica di Vergine, di marcato carattere popolare
Elisabetta e Maria
Santa Caterina con le mani aperte
© 2004-2008 Duoda, Centro di Ricerca delle Donne. Università di Barcellona. Tutti i diritti riservati. Acreditamenti. Nota legale.
Regia Scientifica: Maria Milagros Rivera Garretas
Ringraziamo per l’aiuto il Proyecto de Investigación del Instituto de la Mujer I + D nominato: "Entre la historia social y la historia humana: un recurso informático para redefinir la investigación y la docencia" (I+D+I 73/01), e anche il Institut Català de la Dona de la Generalitat de Catalunya e l'Agrupació de Recerca en Humanitats de la Universitat de Barcelona (22655).
Regia tecnica: Dr. Óscar Adán
Produzione Esecutiva: Dr. Sonia Prieto
Edizione: Marta García
Correzione: Gemma Gabarrò
Traduzione catalana: David Madueño
Traduzione in anglese: Caroline Wilson
Traduzione tedesca: Doris Leibetseder
Traduzione italiana: Clara Jourdan
La proprietà intellettuale dei testi e delle altre opere contenute in questo sito appartiene in via esclusiva ai rispettivi autori.
Salva espressa indicazione contraria, è vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di ogni elemento e contenuto del presente sito, a eccezione delle riproduzioni effettuate per uso esclusivamente personale. In particolare, sono vietati la riproduzione e l'uso a scopo di lucro, o comunque a fini di profitto, dei contenuti del sito. Ogni altra forma di utilizzazione deve essere previamente concordata con Duoda, Centro de Ricerca de Donne. Università de Barcellona.
© 2004-2008 Duoda, Centro de Recerca delle Donne. Università de Barcellona. Tutti i diritti riservati.
Teresa Vinyoles VidalTeresa Vinyoles Vidal è nata a Barcellona nel 1942; sposata con due figli e due figlie, è docente titolare di Storia medievale all’Università di Barcellona e fa parte del Centro Duoda di tale università dalla sua fondazione. Tra le sue linee di ricerca ci sono lo studio delle donne, a cui si è dedicata dal 1969, e quello della vita quotidiana nell’epoca medievale; coordina un progetto di ricerca sulla didattica della storia. Tra i suoi lavori: Les barcelonines a les darreries de l’edat mitjana (Barcellona, Fundació Vives Casajuana, 1976); La vida quotidiana a Barcelona vers 1400 (Barcellona, Fundació Vives Casajuana, 1985); Mirada a la Barcelona medieval des de les finestres gòtiques (Barcellona, Dalmau, 2002); Presència de les dones a la Catalunya medieval (Vic, Eumo, 2004). E numerosi articoli sulla storia delle donne, tra i quali: Petita biografia d’una expòsita barcelonina del segle XV (Barcellona, CSIC, 1989 p 255-272); L’amor i la mort al segle XIV, cartes de dones (“Miscel·lania de textos medievals” 8, Barcellona, CSIC, 1996, p. 111-198), e Las mujeres del año mil (“Aragón en la Edad Media” XVII, 2003, pp.5-26). |
Contessa di Barcellona, era figlia dei conti Amelia e Bernardo de la Marca, fu la terza moglie di Ramón Berenguer I, conte di Barcellona (1035-1076), con cui si unì nel 1052. Era già stata sposata con Hugo de Lesinhan e con Pons II, conte di Tolosa. Fu scomunicata dal papa a causa dell’unione con il conte di Barcellona, illegittima in quanto entrambi erano già sposati; perdonata e legalizzato il matrimonio, governò a fianco del conte e collaborò alla redazione degli Usi. Fu assassinata nel 1071 da Pedro de Barcelona, figlio di Ramón Berenguer I ed Elisabet, la prima moglie di Ramón Berenguer. Ebbe figli da tutti e tre i matrimoni, figli che governarono nei rispettivi territori; rispetto al contado di Barcellona, fu madre dei gemelli Ramón Berenguer II e Berenguer Ramón II, conti di Barcellona, e di Sancha de Barcelona, contessa di Cerdaña.
Prima badessa del monastero di San Juan, figlia dei conti di Barcellona Guinedilda e Wifredo I el Velloso, fu offerta dai genitori al monastero fondato per lei quando era ancora una bambina. Fu badessa dall’897 al 942, diede impulso al popolamento e al dissodamento di terre e fondò parrocchie negli ampi domini del monastero.
Non conosciamo le origini di Guinedilda, fondatrice di Cervera de Segarra. È una donna anonima, madre, che agisce chiaramente come capo del gruppo di coloni in cui troviamo donne e uomini, è lei la prima destinataria del documento. Non è un caso eccezionale: per esempio tra i colonizzatori di Vallformosa (Rajadell, el Bages), dove appaiono quarantaquattro capifamiglia, la prima persona menzionata e insieme la prima a firmare è Tudila, colona, donna, con i suoi eredi. Diplomatari de la Ciutat de Manresa (segles IX-X). Barcellona, Fundació Noguera, 1991, doc. 124 (anno 977).
Contessa di Pallars Sobirà, figlia dei conti Amelia e Bernardo de la Marca, sorella di Almodis, contessa di Barcellona, fu promessa al conte Guillermo II de Besalú ma non si sposò con lui. Si sposò con il conte Artau I de Pallars Sobirà (1049-1081). Lucía intervenne negli affari di governo a fianco del marito e del figlio Artau II, e diventò tutrice dei figli del conte Ermengol IV di Urgell. Morì probabilmente verso il 1090. Suo figlio Ot, vescovo di Urgell, fu riconosciuto santo e lei viene lodata nella sua agiografia.
Il documento delle nozze tra Lucia e Artau è sorprendente: “Che Artau, conte, tenga Lucia finché viva come l’uomo deve tenere la donna che ha preso legalmente. Che non la abbandoni finché ella viva, sotto nessun pretesto, salvo che se lei fosse lebbrosa. Che non la molesti né la calunni al punto che lei debba lasciarlo” (Liber Feodrum Maior, doc. 37, anno 1058).
Figlio di Borrell, conte di Barcellona.
Monastero benedettino femminile fondato da Wifredo I el Velloso, conte di Barcellona, e da sua moglie Guinedilda, contessa di Barcellona. Nell’885 lo dotarono ampiamente di terre, mentre facevano oblazione della figlia Emma al monastero. La ricca comunità di monache fu dissolta nel 1017.
Fu forse un monastero misto, o perlomeno nel X secolo aveva una comunità femminile. Tra il 945 e il 966 era badessa Ermengarda de Pallars, figlia del conte Isarn I; prima e dopo quelle date è documentata la presenza di uomini a dirigere la comunità.