La differenza di essere donna

Ricerca e insegnamento della storia

Zona: Temi

Le mani ordinatrici. Uno sguardo sulle donne dei secoli IX-XI, Teresa Vinyoles Vidal.
    Documenti:
  • Carta di popolamento di Cervera. Anonimo.

Carta di popolamento di CerveraflechaAnonimo.

Fonte
ACA [Archivo de la Corona de Aragón]. Cancillería, pergaminos de Berenguer Ramon I, carp.8 doc. 52. Contiene l’originale e una copia del secolo XII.
Edizioni

Font i Rius, Josep Maria, Cartas de población y franquicia de Cataluña . Madrid, Barcellona, CSIC, 1969. Vol. 2, doc. 16.

Els pergamins de l’arxiu comtal de Barcelona de Ramon Borrell a Ramon Berenguer I . Barcellona, Fundació Noguera 1999, vol. 1, doc. 172.

Traduzione parziale in spagnolo: Textos y documentos de historia antigua, media y moderna hasta el siglo XVII . “Historia de España”, diretta da Manuel Tuñón de Lara, Barcellona, Labor, 1986, pp. 329-330.

Regesto
Carta di popolamento di Cervera e delle sue terre concessa da Ermesenda de Carcasona, contessa di Barcellona, insieme a suo figlio Berenguer Ramon I, conte di Barcellona, e a sua nuora Sancha di Castiglia, contessa di Barcellona, a favore di Guinedilda, colona, dei suoi figli e di altri coloni e colone.
Traduzione

Nel nome di Cristo. Io, Ermesenda, per grazia di Dio contessa, con mio figlio Berenguer, marchese e conte e la sua sposa Sancha, contessa, generosamente elargiamo a voi Guinedilda, donna, ai tuoi figli Miro, Guilabert e Amat e a voi Bernardo Guifré e a tua moglie Sancha, e a Bonfill e a tua moglie Amaltruda, per nostra liberalità vi siamo donatori, così diamo a voi la nostra terra incolta e disabitata situata nella marca di frontiera del contado di Osona, con il suo monte e il castello che si trovano in detto luogo, che si chiama Cervera, che contro gli attacchi dei pagani voi avete posto prima di tutti gli altri colonizzatori della marca, attraverso la vostra occupazione delle terre ( aprisio ) e la costruzione della torre che già avete in vostro dominio, insieme a tutti i monti e la costa e la pianura che si possano trovare entro i confini di seguito scritti. Tutto questo ci appartiene per la generosità dei nostri predecessori Borrell e Ramon , di buona memoria conti e marchesi, e per il diritto dato alla moglie sui beni del marito, e anche per l’autorità reale che abbiamo su tali cose come anche i nostri predecessori. I confini di tutte queste cose, per il nostro diritto e per la nostra decisione, sono, dalla parte orientale fino alla parte settentrionale, prima alla Pelosa, poi al Cascolino e al Castrosello, e alla fonte di Luciano e alla torre di Zuleima e fino al fiume Segre; da settentrione a occidente lasciamo che sia Dio a delimitare la parte e confidiamo con speranza che la conserviate fuori dalla potestà dei saraceni: da occidente a mezzogiorno, prima al suddetto fiume Segre e così scorrendo fino al castello del Losor e lungo la valle di detto Losor fino alla Guardia Grande; da mezzogiorno a oriente, prima a detta Guardia Grande e poi alla fonte della Murria sino alla citata Pelosa, da cui abbiamo preso avvio.

Tutto ciò che si trova entro tali confini lo diamo a voi, detti uomini nostri e dette donne, a condizione che, per quanto Dio ve lo permetta e ve ne dia le forze, lo liberiate dal grande spopolamento e lo convertiate in terra coltivata e abitata dagli uomini e vi costruiate anche castelli e torri. E delle suddette cose non scegliate né teniate come signore o padrone, né voi né i vostri discendenti né i vostri successori, altri che noi o i nostri discendenti; ma la metà di tutte le suddette cose, ovvero di ogni accrescimento fatto o che si farà entro i confini scritti sopra, lo abbiate come vostro allodio e come vostro bene proprio, per fare dunque quello che volete, tanto voi quanto i vostri discendenti o i vostri successori. L’altra metà delle suddette cose la considererete, voi e i vostri discendenti o i vostri successori, come feudo nostro e dei nostri discendenti, in fedeltà a noi e ai nostri discendenti. [...] E questa donazione permanga ferma e per sempre.

Fatto il giorno delle calende di febbraio, anno XXX del regno di Roberto, re.

Firma di Ermesenda, per grazia di Dio contessa. Firma di Sancha, per volere di Dio contessa, noi che abbiamo fatto questa donazione e abbiamo chiesto di firmare [...].

Trascrizione

In Christi nomine. Ego Hermessindis, gratia Dei comitissa, cum filio meo Berengario marchione comite, et coniuge sua Santia comitissa, largientes vobis Guidinildi, femina, et filius tuis Mirono et Guilaberto et Amato, et vobis Bernardo Guifredo e uxori tuae Santie, et Bonofilio et uxori tue Amaltrudi, aliquid per gratiam nostrae munificentiae, donatores sumus vobis, sicuti et damus, terram nostram heremam adiacentem marchiae comitatus Ausonensis, cum ipso puio et castellare quod ibidem est, dictum Cervaria, quod vos contra infestationem paganorum positi ante habitatores marchiarum omnes, per vestram apprisionem, et turris constructionem in vestro iure iam retinetis, simul cum omnibus pugiis et prono atque plano quod inveniri potest infra terminos subterscriptos. Advenerunt nobis hec omnia per largitionem decessorum nostrorum Borrelli atque Raimundi, divae memoriae marchiarum comitum, sive per vocem iuris uxorum dati in rebus virorum, necnon et per regiam vocem, quam habemus in supradictis rebus sicuti et antecessores nostri. Habent namque hec omnia terminum per nostram iussionem atque nostrum consultum, de parte orientis sibi datum usque af partem septentrionis, primo in ipsa Pelosa, deinde in ipso Coscololio et in ipso Cannosello, et in ipso fonte de Luciane et in ipsa turre de Zuleima et usque in rivum Sigeris; de septentrione quoque usque in occidui partem soli Deo terminanda relinquimus et a potestate sarracenorum servanda expectantes confidimus; de occiduo vero usque ad meridium, primo in supradicto fluvio Sigere et sic inde revertendo usque in ipso castellare de ipso Losorio, et per vallem predicti Losorii usque in ipsam Guardiam Grossam; de meridie namque usque in orientem, primo in prefata Guardia Grossa et inde in fonte de ipsa Murria, postmodum in prenotata Pelosa, a que cepimus. Hec quippe omnia sicuti sunt posita infra suprascriptos terminos damus vobis supradictis hominibus nostris et supradictis feminis, in eo videlicet modo et ordine ut, in quantum Deus vobis permiserit et posse donaverit, a vastitate heremi abstrahatis et ad culturam atque habitationem hominum et ad constructionem tam castrorum quam turrium perducatis. Et de supradictis rebus alium seniorem vel patronum vos aut vestra posteritas sive vestri successores, non eligatis neque faciatis, nisi nos aut posteritatem nostram; sed medietate ex supradictis omnibus rebus, seu de omnibus augmentis quae facta sunt aut abinceps fuerint infra suprascriptos terminos, ad vestrum alodium et ad vestrum proprium habeatis, ad faciendum exinde quod volueritis, tam vos quam vestra posteritas sive successores vestri. Aliam quippe medietatem supradictarum rerum per nostrum fevum sive nostrae posteritatis posideatis atque sequri teneatis vos et vestra posteritas sive successores vestri, ad nostram sive nostrae posteritatis fidelitatem. Quod si nos aut nostra posteritas iniuste contra hanc nostram donationem venerimus aut venerit ad inrumpendum, non hoc valeamus aut valeat vendicare, sed componamus aut componat vobis aut vestre posteritati sive successoribus vestris supradicta omnia que vobis damus in tripplum. Et insuper haec donatio firma permaneat omnique tempore.

Actum est hoc kalendis februarii, anno XXX regni Roberti, regis.

Signum Hermessindis, gratia Dei comitissae. Signum Santiae, nutu Dei comitissae, nos qui hanc donationem fecimus et firmare rogavimus.

Signum Gondeballi Bisorensis. Signum Mironis de castro Pontibus. Sugnum Guilelmi de Lupariola.

Signum Poncii cognominato Bonifilii, clerici et iudicis, qui haec scripsit et signavit die et anno quo supra.

Temi: Le mani ordinatrici. Uno sguardo sulle donne dei secoli IX-XI

Autrici

Teresa Vinyoles Vidal
Teresa Vinyoles Vidal

Teresa Vinyoles Vidal è nata a Barcellona nel 1942; sposata con due figli e due figlie, è docente titolare di Storia medievale all’Università di Barcellona e fa parte del Centro Duoda di tale università dalla sua fondazione. Tra le sue linee di ricerca ci sono lo studio delle donne, a cui si è dedicata dal 1969, e quello della vita quotidiana nell’epoca medievale; coordina un progetto di ricerca sulla didattica della storia. Tra i suoi lavori: Les barcelonines a les darreries de l’edat mitjana (Barcellona, Fundació Vives Casajuana, 1976); La vida quotidiana a Barcelona vers 1400 (Barcellona, Fundació Vives Casajuana, 1985); Mirada a la Barcelona medieval des de les finestres gòtiques (Barcellona, Dalmau, 2002); Presència de les dones a la Catalunya medieval (Vic, Eumo, 2004). E numerosi articoli sulla storia delle donne, tra i quali: Petita biografia d’una expòsita barcelonina del segle XV (Barcellona, CSIC, 1989 p 255-272); L’amor i la mort al segle XIV, cartes de dones (“Miscel·lania de textos medievals” 8, Barcellona, CSIC, 1996, p. 111-198), e Las mujeres del año mil (“Aragón en la Edad Media” XVII, 2003, pp.5-26).

Introduzione

La presenza delle donne nell’opera di dissodamento, ripopolamento, colonizzazione e civilizzazione è costante nel corso dei secoli medievali. Questa presenza femminile è particolarmente notevole nelle zone di frontiera dei diversi spazi della penisola iberica. Su questa base faremo entrare nella storia donne di diverse classi sociali che compaiono nei documenti dei Contadi Catalani di epoca preromanica e romanica - prefeudale e feudale -, tempo in cui le donne lasciarono una traccia attiva nella documentazione. Ci sono mani femminili che dissodano, che piantano, che fondano, che pacificano, che governano, che giudicano... e che inoltre coccolano i figli, educano, guariscono, impastano, cucinano, filano e ricamano.

È un’epoca in cui il simbolismo era molto importante. Il simbolismo nella pittura romanica si mostra spesso nelle mani: mani che esprimono atteggiamenti, mentalità e sentimenti. Tra le mani romaniche sceglierei quelle di Lucía de la Marca, contessa di Pallars, dipinta nel monastero di San Pedro de Burgal. Lucía appare con una mano aperta, generosa, in segno di offerta, di donazione; con l’altra mano sostiene una lampada, come le vergini prudenti, sempre all’erta, sempre pronta, e volle che il suo mecenatismo fosse notorio, in modo che il suo nome figurasse nella pittura.

Erano tempi in cui coppie di coloni si prendevano terre incolte, contadine e contadini, donne e uomini gomito a gomito: “spaccano, dissodano, coltivano, occupano” terre fino all’estremità più lontana della regione di frontiera con i saraceni. È un goccia a goccia costante dal IX secolo: Io, Ermengarda e mio figlio Otger e le mie figlie Ermengarda e Eldefrida ti vendiamo ... una casa con cortile e orto, terre coltivate e incolte, tutto quello che abbiamo reso fertile insieme a mio marito Senaldo, defunto. Questa struttura di famiglia ripopolatrice continua; leggiamo in un documento del secolo XI: Io, Altamir, con mia moglie Sindola, siamo venditori ... di una vigna che abbiamo ottenuto per compassione e con il sudore del nostro lavoro.

È un’epoca di dure fatiche nei campi. I resti di ossa analizzati in molti luoghi della campagna medievale hanno dimostrato che le donne lavoravano duro, svolgevano un lavoro equiparabile a quello degli uomini. È un’epoca di guerre fatte dagli uomini, mentre le donne coltivano, conservano il patrimonio, amministrano i feudi, comandano nei castelli, governano i contadi. La loro opera era più riconosciuta che in altri momenti storici, come si vede tanto nella proprietà delle terre quanto nei diritti riconosciuti dalle leggi vigenti e nelle porzioni di potere che mostrano di avere.

Pioniere e costruttrici

Fu più con le zappe e gli aratri che con le spade che si dominò la terra. Contadine e contadini strappano terre ai boschi e alle pietraie, coltivano nuovi campi e piantano vigneti. I documenti riconoscono quest’opera congiunta: fanno constare per iscritto che le donne hanno partecipato al dissodamento della terra, da quando era incolta, abbandonata, improduttiva. Invece questa presenza attiva non si riflette nei libri di storia; ma loro lavorano la terra, edificano e fondano, sono colonizzatrici, madri e educatrici; loro erano lì dal principio.

Molto interessante in questo senso è la donazione a favore del monastero benedettino di San Juan de las Abadesas da parte di una colona chiamata Grima; i suoi tre figli, compiendo la volontà della madre e a protezione dell’anima sua, concedono al monastero un pezzo di terra che lei ha reso fertile, insieme a noi suoi figli, i primi uomini nella terra reale sotto dominio dei franchi, effettuano la donazione a favore della badessa Emma e delle monache di San Giovanni. Facciamo notare che tra i “primi uomini” che colonizzarono il Ripollés viene citata una donna, proprietaria di alcune terre frutto del suo lavoro, in un momento in cui anche l’organizzazione della zona si trovava in mano a una donna, Emma di Barcellona, artefice dell’ordinamento di quel territorio. Possiamo verificare, per mezzo del documento che dava atto dell’inserimento di diverse comunità contadine sotto il controllo di Emma, che la metà delle firmatarie, capofamiglia, erano donne.

Le donne dissodavano accanto agli uomini, alcune prendevano perfino l’iniziativa, occupavano terre e costruivano fortificazioni sulla frontiera, come Guinedilda, che senza marito, con i suoi tre figli e due coppie di pionieri, è la prima a occupare Cervera, che allora si trovava in un posto molto vicino al regno moresco di Lérida. Questa donna è a capo di un piccolo gruppo di pionieri: l’autorità comitale le riconosce la leadership concedendo in favore suo e dei suoi, ma in primo luogo a lei, la carta di popolamento, facendo constare il merito di essere la prima tra i primi a popolare e costruire in quel luogo, prima di tutti gli altri colonizzatori della marca. Che una donna sia capo non è mai un fatto isolato, in quel contesto ci furono altre protagoniste della storia della colonizzazione e organizzazione del territorio, di modo che troviamo liste di colonizzatori con in testa donne, altre agiscono accanto agli uomini a un livello riconosciuto di opera congiunta, come la coppia che appare nei capitelli di Ripoll.

Durante quei primi secoli ci furono pochi avanzamenti della frontiera, ottenuti con la forza delle armi. Dicevamo prima che la terra era stata dominata soprattutto con le mani che la lavoravano e che vi facevano ordine, ma si produssero anche conquiste; vedremo un esempio concreto sufficientemente documentato per cogliere qual era allora il ruolo della donna. Arnaldo Mir de Tost e sua moglie Arsenda conquistarono, ripopolarono, organizzarono la valle dell’Ager e vi edificarono. Suo marito lo ricordava nell’atto di donazione del borgo e della valle, che avevano conquistato entrambi, alla canonica che io e la mia defunta sposa congiuntamente edificammo. Non sappiamo il modo in cui lei partecipò alla conquista, se prese le armi o se piuttosto consigliasse o appoggiasse il marito e amministrasse il patrimonio; comunque, lei nel testamento riteneva che le corrispondesse la sua parte di armi, così come dei mobili. Ebbene, disponeva che le armi si vendessero per comprare ornamenti sacri, diversamente dal marito che le lasciò ai suoi uomini affinché se ne valessero al servizio delle sue figlie e dei nipoti. Non sappiamo se lei combatté, ma sappiamo che partecipò attivamente all’organizzazione e al ripopolamento della valle, sistemando famiglie contadine, ordinando di costruire strade, ponti e ospedali, e che svolse un’opera civilizzatrice, conciliatrice e pacificatrice nelle guerre feudali.

Durante quei secoli, le terre coltivate crescevano per tutta Europa, specialmente nelle zone di frontiera e di nuova colonizzazione e c’è un’attiva partecipazione delle donne nell’opera di popolamento e di costruzione, nel senso più ampio della parola: edificarono vigneti, paesi e templi, crearono e trasmisero lingue e cultura, consolidarono famiglie, genealogie e lignaggi. La presenza della donna in contatto con la natura che andavano addomesticando ci avvicina alla terra che dà frutti, alla madre terra, alla dea madre; allora, in molti luoghi di nuova colonizzazione appaiono Vergini trovate nelle grotte, nei boschi o ai margini dei campi coltivati; il culto della Madre, diventato il culto di Maria, è sempre più vivo. Ci sono Vergini che con le loro mani tengono contemporaneamente l’universo e il Dio bambino.

Donne in relazione

Ermesenda, per grazia di Dio contessa, con mio figlio doniamo generosamente a voi Guinedilda, donna, e ai tuoi figli... leggiamo all’inizio della carta di popolamento di Cervera. Ermesenda, contessa-madre, appoggia l’opera di ripopolamento e colonizzazione della terra, agisce come prima firmataria per il diritto dato alla donna sui suoi beni da suo marito, e fa constare che al fronte dei ripopolatori c’era Guinedilda, pioniera-madre, simbolo della donna colonizzatrice a cui viene riconosciuto il lavoro svolto nell’occupazione di terre incolte e nella costruzione di fortezze di frontiera. La carta incitava quelle nuove popolatrici e popolatori a continuare a togliere terre all’incoltura e alla solitudine, facendole diventare terre coltivate, e a costruire case, castelli e torri. Sottolineamo inoltre che si fa constare esplicitamente la condizione di madre che avevano queste donne; da questa “categoria” promana gran parte della loro posizione.

La contessa risulta stare davanti a suo figlio e a sua nuora, e bisogna mettere in rilievo il fatto che nonostante ci fosse il nome di Berenguer Ramon come concedente, egli non firma, mentre lo fa la sua giovane moglie Sancha. Ermesenda aveva lasciato la tutela di suo figlio tre anni prima, ma la legge vigente riconosceva il diritto della vedova che non si risposava: lei era al di sopra del figlio; come le contadine che seguivano la cosiddetta legge visigota, per tutta la penisola iberica e nel mezzogiorno francese vantano questo diritto e lottano per conservarlo. Ermesenda esercitò la sua autorità, prima accanto al marito: in suo nome presiedette processi, come quello che nell’anno 1000 favoriva una povera donna che era tornata dalla prigionia; accompagnò Ramon Borrell sul campo di battaglia e soprattutto nelle missioni di pace come quella che li portò a Saragozza presso il re mussulmano di quella città e che si suggellò con il matrimonio del loro figlio con la figlia, ancora bambina, del conte di Castiglia. Morto il marito, governò accanto al figlio, che morì giovane, e poi agì in qualità di tutrice del nipote.

In quell’epoca violenta in cui si produceva il rapido processo di feudalizzazione, Ermesenda si circondò di vescovi, di abati e di giudici, con i quali cercò di portare a termine un’opera pacificatrice, di fondazioni religiose, di ripopolamento e ripresa economica, volle garantire il diritto e il potere pubblico. Ma i tempi cambiavano irrimediabilmente, la violenza feudale trionfava dovunque, la nobiltà desiderosa di potere sfidò la sua autorità, l’antica legge ardentemente difesa dalla vecchia contessa veniva sostituita da processi arbitrari, la violenza arrivava in seno alle famiglie; lei si vedeva contrapposta al nipote e reclamava ostinatamente i suoi diritti, si metteva dalla parte della riforma morale propugnata dalla chiesa, difendeva la legge vigente, i diritti della donna, il diritto a processi giusti e il rifiiuto delle ordalie. Infine trasferiva il potere al nipote Ramon Berenguer I, a cui aveva fatto quasi da madre.

I documenti dell’epoca la presentano e la ricordano come una donna pia. Fu attiva nella fondazione e dotazione di chiese e monasteri, tra cui il monastero fenmminile di San Daniel de Girona poco dopo che era stato soppresso con violenza quello di San Juan de las Abadesas. Il suo testamento, come quello di altre donne nobili del tempo, è un tragitto per le cattedrali e i monasteri romanici che si stavano erigendo intorno a lei. Religiosa femina la chiamano nel libro de óbitos (libro dei decessi) della cattedrale di Girona, comitissa santísima la definiva un documento navarro.

Nonostante tutto, la storiografia l’ha trasformata in una donna autoritaria e ambiziosa, in un personaggio negativo. Altre donne, del suo tempo e di tutti i tempi, sono state fatte tacere dalla storia; ma davanti a questo personaggio che non si può passare sotto silenzio, dato che esercitò la sua autorità dal 993 fino praticamente alla morte, avvenuta nel 1058, gli storici hanno optato per darne una visione parziale e molto peggiorativa. Penso sia stata trattata ingiustamente. Potremmo leggere il suo agire non nella prospettiva di un’ansia di potere, ma di un’ostinazione per la legalità: Ermesenda voleva che si adempisse il diritto vigente, a cominciare evidentemente dal suo diritto, il diritto che lasciava la donna titolare vitalizia dei beni e diritti del marito; ma il costume stava cambiando e la vedova veniva sempre più messa da parte a beneficio del figlio.

In un momento in cui i nobili vogliono privatizzare l’esercizio della giustizia e far prevalere la forza arbitraria dei giudizi di Dio al di sopra della decisione del tribunale comitale, Ermesenda difende la validità della legge al di sopra della forza e dell’arbitrio: affermava che i problemi non si devono discutere con le armi ma con la legge in mano.

Le mani tese

La contessa concedeva una carta di popolamento in favore di una ripopolatrice, fondava un monastero di monache, faceva prevalere la legge che favoriva le vedove, ascoltava una contadina uscita di prigione... La storiografia si diverte a presentare Ermesenda contrapposta a un’altra donna, Almodis de la Marca, la moglie di suo nipote; la Storia vuole ricordarla come una vecchia beghina contrapposta alla giovane femminista, che dovevano inesorabilmente combattersi.

Certamente Ermesenda si contrappose a suo nipote Ramon Berenguer I - a cui aveva fatto da nonna, da madre, da educatrice e consigliera -, si oppose al suo matrimonio con Almodis che era in contrasto con la morale della chiesa; però fu lei che intercesse personalmente presso il papa affinché legalizzasse quella che fu una grande storia d’amore dell’XI secolo. Ermesenda giurò fedeltà a Almodis; possiamo immaginarla con le sue vecchie mani sopra a quelle della giovane contessa, giurando in nome di Dio e dei santi e nominando le loro madri: Giuro io Ermesenda, figlia che fui di contessa, a te Almodis contessa, che fosti figlia di Amelia contessa, che da qui in avanti non spregerò né te né la tua vita né le membra del tuo corpo né la tua discendenza... Qualche storico ha visto in quest’atto una grave umiliazione per l’orgoglio della contessa nonna, noi potremmo vedervi un grande atto d’amore: la mano tesa verso l’altra, che chiama contessa, mentre lei rinuncia a questo titolo. Non possiamo dimenticare che Ermesenda cedette il governo a Ramon Berenguer per il bene della pace e in nome dell’amore, come ricordava: Prego il signor Ramon, conte, nipote mio, congiuntamente alla signora Almodis, contessa, sposa vostra, per Dio e Santa Maria, Madre sua,... che abbiate grande cura della mia anima... giacché Dio sa che io vi ho amato più di chiunque altro della vostra gente, e questo lo potete sapere da ciò che ho fatto per voi. Ritengo brillante, magnifica, questa frase in bocca all’ottuagenaria contessa quando firmava il testamento intorno al novembre 1057. Riconosce di averli amati, lui e anche lei, consapevolmente con la volontà di farlo e con il sentimento sgorgato dal cuore per il figlio di suo figlio e la sua sposa. Inoltre, l’amore attivo l’ha dimostrato con le cose che ha fatto per loro, e pensa che li ha amati più di chiunque altro. In fin dei conti, forse la vecchia dama aveva ragione, la nobiltà si era alzata contro il conte, e qualche anno più tardi il figlio di Ramon Berenguer avrebbe assassinato Almodis nello stesso palazzo comitale. La storiografia ha contrapposto queste due donne, ma Ermesenda ha detto che sarebbe stata fedele a Almodis e che le voleva bene e aveva fiducia in lei, e noi le crediamo.

Indicazioni didattiche

Questo tema è stato pensato per imparare a fare un’altra lettura della storia. Vogliamo far notare che questa storia pur essendo partita da un singolo documento l’abbiamo costruita con diversi documenti, e che le protagoniste sono varie donne, sono le donne. Donne che si identificano come piantatrici, colonizzatrici, edificatrici, contesse, madri... La società del loro tempo non le ha fatte tacere, la loro potente parola è consegnata allo scritto: Io Ermengarda vendo..., Ci ha detto nostra madre Grima..., Guinedilda la prima, prima di ogni altro colonizzatore..., Io Ermesenda do..., giudico..., giuro..., vi ho amato...

Abbiamo voluto che le figure centrali fossero Guinedilda, madre e pioniera, simile a molte altre madri e pioniere presenti in tutta Europa in quei primi secoli medievali, e la contessa Ermesenda, figura rilevante del suo tempo che agisce con autorità come altre coetanee. La Storia fatta dagli storici le ha rese invisibili, e quando non hanno potuto farlo hanno minimizzato o disprezzato la loro presenza. Ciò che vorremmo sottolineare è che molte donne, in quei secoli lontani, non si limitarono a essere spettatrici degli avvenimenti, ma ne furono protagoniste; bisogna insistere sul fatto che guardarono il mondo con occhi di donna, agirono al femminile, fecero sentire sulla terra e sugli uomini del tempo le loro mani ordinatrici.

Bibliografia: Le mani ordinatrici. Uno sguardo sulle donne dei secoli IX-XI
Fonti consultate
  • Archivo de la Catedral de Barcelona, Liber Antiquitatum.
  • Cartoral, dit de Carlemany, del bisbe de Girona. Edizione a cura di Josep M. Marquès, Barcellona, Fundació Noguera, 1993.
  • Col·lecció diplomàtica de Sant Daniel de Girona. Barcellona, Fundació Noguera, 1997.
  • CORREDERA, Eduardo, El archivo de Ager y Caresmar. Balaguer, 1978.
  • Diplomatari de la catedral de Barcelona. Edizione a cura di Àngel Fàbrega. Barcellona, Catedral de Barcelona, 1995.
  • Diplomatari de la catedral de Vic. Edizione a cura di Eduard Junyent. Vic, Patronat d’estudis Ausonecs, 1987.
  • Liber Feudorum Maior. Cartulario real que se conserva en el Archivo de la Corona de Aragón. Madrid-Barcellona, CSIC, 1944-1946.
  • Els Pergamins de l’arxiu comtal de Barcelona de Ramon Borrell a Ramon Berenguer I. Edizione a cura di Gaspar Feliu e Josep M. Salrach, Barcellona, Fundació Noguera, 1999.
  • UDINA, Federico, El archivo condal de Barcelona, en los siglos IX-X. Barcellona, CSIC, 1951.
Bibliografia usata
  • ANDERSON, Bonnie; ZINNESER, Judith, Historia de las mujeres, una historia propia. Barcellona, Crítica, 1991.
  • AURELL, Martí, Les noces del comte, Barcellona, Omega, 1997.
  • COTARELO, Armando, Historia crítica y documentada de la vida y acciones de Alfonso III el Magno. Madrid, 1933.
  • De los símbolos al orden simbólico femenino (siglos IV-XVII). Madrid, Laya, 1998.
  • DURAN I SAMPERE, Agustí, Llibre de Cervera. Tàrrega, Camps, 1972.
  • BIOSCA, Eloi; VINYOLES, Teresa; XORTÓ, Xavier, Des de la frontera. Castells catalans de la Marca. Barcellona, Universidad de Barcelona, 2001.
  • FONT I RIUS, Josep Maria, Cartas de población y franquicia de Cataluña. Madrid-Barcellona, CSIC, 1969-1983.
  • OLLICH, Imma, "Arqueología medieval y género". Morir en femenino. Barcellona, Universidad de Barcelona, 2003, 239-266.
  • RIVERA, María-Milagros, "La vida de las mujeres: entre la historia social y la historia humana". Medievalisme. Noves perspectives. LLeida, Pagès, 2003.
  • SANAHUJA, Pedro, Historia de la Villa de Ager. Barcellona, 1961.
  • VINYOLES, Teresa, "Ermessenda, Guinedilda... les dones de l’any mil". Gerbert d’Orlhac i el seu temps. Vic, Eumo, 1999, 175-187.
  • VINYOLES, Teresa, "Las mujeres del año mil". Aragón en la Edad Media. n. XVII, Zaragoza, 2003, 5-26.

    Note al testo

    1. Si riferisce a Borrell II conte di Barcellona (947-992), suocero di Ermesenda, e al marito di costei, Ramon Borrell, conte di Barcellona (992-1017).

    2. I confini della terra data sono molto imprecisi. La Pelosa, non sappiamo se si riferisce al colle Pelosa, ai monti di San Cornelino, al municipio di Orcau, Pallars Jussà, abbastanza lontano da Cervera; Losor era un luogo spopolato del municipio di Montoliu de Segarra, a sud di Cervera; la Guardia Grande è stata identificata con Sanahuja, anche se l’identificazione è molto dubbia dato che si trova a nord di Cervera.

    3. Diplomatario della cattedrale di Vic, Vic, 1980, doc. 11 (anno 889).

    4. Archivio della Cattedrale di Barcellona, Liber Antiquitatum, vol. I, doc. 62 (anno 1017).

    5. OLLICH, Imma, "Arqueología medieval y género" in Morir en femenino.

    6. Precepit nobis jenitrice nostra quando ad extrema voluntate venit, nomine Grima, colonitzadora fecissemus cartam de terras ad supradicto monasterio propter Deum et remedium anime sue. .. quod illa eam tenebat genitrice nostra supradicta Grima de aprisione, que illa traxit de heremo cum nos supradictos filios suos, pimi homines terra regia subditione franchorum… Il documento è datato nel 942, proprio l’anno in cui sarebbe morta la badessa fondatrice. UDINA, Federico, El archivo condal de Barcelona, en los siglos IX-X, doc. 116 (anno 942). Non è l’unico esempio: Riquilda, colona, donna, fa la donazione a San Juan de las Abadesas e alla sua badessa Emma con i suoi santi moniales, di una vigna che ella aveva impiantato insieme al marito. Op. cit., doc. 12 (anno 900).

    7. Su Arsenda: VINYOLES, Teresa; SANCHO, Marta; NAVARRETE, Maria; VERGARA, Elena, “Lo material y lo simbólico en los testimonios de mujeres el siglo XI”, in De los símbolos al orden simbólico femenino (siglos IV-XVII). Madrid, Laya, 1998, pp. 265-283.

    8. Rispetto alla conquista di Ager, Arnaldo Mir e Arsenda ringraziano Dio “che ha dato a noi la vittoria sui pagani e dopo molti pericoli e tribolazioni ci ha fatto conquistare e possedere, nel territorio dei saraceni, molti castelli, terre e fortezze che abbiamo strappato al loro dominio”. La documentazione su Arsenda è tratta dai documenti pubblicati da SANAHUJA, Pedro, Historia de la Villa de Ager, Barcellona, Seráfica, 1961, e CORREDERA, Eduardo, El archivo de Ager y Caresmar. Balaguer, 1978.

    9. Ho parlato del tema in VINYOLES, Teresa, “Ermessenda, Guinedilda... les dones de l’any mil”. Gerbert d’Orlhac i el seu temps. Vic, Eumo, 1999, pp. 175-187. “Las mujeres del año mil”, Aragón en la Edad Media, n. XVII, Saragozza, 2003, pp. 5-26.

    10. AURELL, Martí, Les noces del comte, Barcellona, Omega, 1997, p.85. Colección diplomática de la Rioja, vol. II. Logroño. Diputación Provincial, 1976, doc. 3 (anno 1040).

    11. AURELL, op. cit., p. 206.

    12. Iuro ego Ermesindis filia qui fui Adalaizis comitissa, tibi Almodis comitissae que fuisti filia Amelie comitisse, quod ab hac hora et deincebs, in futuro tempore, dum xivero, non dezebré te predictam comitissam Almodem de tua vita neque de tuis membris que in corpore tuo se tenent, nec te neque posteritatem tuam quam nunc habes de Remundo chomite, filio Sanccie, comitissae vel in venturo tempore habebis ex eo. (Los pergaminos del archivo condal de Barcelona de Ramon Borrell a Ramon Berenguer I, Barcellona, Fundació Noguera, 1999, doc. 534 (anno 1057).

    13. Liber Feudorum Maior, doc. 490 (anno 1057): quia Deus scit quod plus vos dilexi et amavi quam alium de vestra gente. Ermesenda non morì fino all’anno successivo; dopo il testamento scrisse un codicillo dove non menziona né il nipote né sua moglie, ma non revoca ciò che aveva firmato e affermato nel suo testamento.

    14. Queste parole sono state ispirate da un canto di nozze del IX secolo dedicato a Leodegundia, figlia di Ordoño I re di León, che si sposò con un re di Pamplona. È una magnifica lode alla sposa: le sue virtù, la sua parola, la sua erudizione, il suo viso e le sue mani ordinatrici: Ornata moribus, eloquiis claram, eruditam litteris sacrisque mistertiis, conlaudetur cantus suavi imniferis vocibus. Dum facies ejus rutilat decore moderata... ornat domum, ac disponi mirabile ordine.

      Canto scritto verso il 869, conservato nel Códice de Roda, pubblicato da Armando Cotarelo. Historia crítica y documentada de la vida y acciones de Alfonso III el Magno. Madrid, Victoriano Suárez, 1933, p. 641.

    15. Diplomatario della cattedrale di Vic, Vic, 1980, doc. 11 (anno 889).

    16. Archivio della Cattedrale di Barcellona, Liber Antiquitatum, vol. I, doc. 62 (anno 1017).

    17. OLLICH, Imma, "Arqueología medieval y género" in Morir en femenino.

    18. Precepit nobis jenitrice nostra quando ad extrema voluntate venit, nomine Grima, colonitzadora fecissemus cartam de terras ad supradicto monasterio propter Deum et remedium anime sue. .. quod illa eam tenebat genitrice nostra supradicta Grima de aprisione, que illa traxit de heremo cum nos supradictos filios suos, pimi homines terra regia subditione franchorum… Il documento è datato nel 942, proprio l’anno in cui sarebbe morta la badessa fondatrice. UDINA, Federico, El archivo condal de Barcelona, en los siglos IX-X, doc. 116 (anno 942). Non è l’unico esempio: Riquilda, colona, donna, fa la donazione a San Juan de las Abadesas e alla sua badessa Emma con i suoi santi moniales, di una vigna che ella aveva impiantato insieme al marito. Op. cit., doc. 12 (anno 900).

    19. Su Arsenda: VINYOLES, Teresa; SANCHO, Marta; NAVARRETE, Maria; VERGARA, Elena, “Lo material y lo simbólico en los testimonios de mujeres el siglo XI”, in De los símbolos al orden simbólico femenino (siglos IV-XVII). Madrid, Laya, 1998, pp. 265-283.

    20. Rispetto alla conquista di Ager, Arnaldo Mir e Arsenda ringraziano Dio “che ha dato a noi la vittoria sui pagani e dopo molti pericoli e tribolazioni ci ha fatto conquistare e possedere, nel territorio dei saraceni, molti castelli, terre e fortezze che abbiamo strappato al loro dominio”. La documentazione su Arsenda è tratta dai documenti pubblicati da SANAHUJA, Pedro, Historia de la Villa de Ager, Barcellona, Seráfica, 1961, e CORREDERA, Eduardo, El archivo de Ager y Caresmar. Balaguer, 1978.

    21. Ho parlato del tema in VINYOLES, Teresa, “Ermessenda, Guinedilda... les dones de l’any mil”. Gerbert d’Orlhac i el seu temps. Vic, Eumo, 1999, pp. 175-187. “Las mujeres del año mil”, Aragón en la Edad Media, n. XVII, Saragozza, 2003, pp. 5-26.

    22. AURELL, Martí, Les noces del comte, Barcellona, Omega, 1997, p.85. Colección diplomática de la Rioja, vol. II. Logroño. Diputación Provincial, 1976, doc. 3 (anno 1040).

    23. AURELL, op. cit., p. 206.

    24. Iuro ego Ermesindis filia qui fui Adalaizis comitissa, tibi Almodis comitissae que fuisti filia Amelie comitisse, quod ab hac hora et deincebs, in futuro tempore, dum xivero, non dezebré te predictam comitissam Almodem de tua vita neque de tuis membris que in corpore tuo se tenent, nec te neque posteritatem tuam quam nunc habes de Remundo chomite, filio Sanccie, comitissae vel in venturo tempore habebis ex eo. (Los pergaminos del archivo condal de Barcelona de Ramon Borrell a Ramon Berenguer I, Barcellona, Fundació Noguera, 1999, doc. 534 (anno 1057).

    25. Liber Feudorum Maior, doc. 490 (anno 1057): quia Deus scit quod plus vos dilexi et amavi quam alium de vestra gente. Ermesenda non morì fino all’anno successivo; dopo il testamento scrisse un codicillo dove non menziona né il nipote né sua moglie, ma non revoca ciò che aveva firmato e affermato nel suo testamento.

    26. Queste parole sono state ispirate da un canto di nozze del IX secolo dedicato a Leodegundia, figlia di Ordoño I re di León, che si sposò con un re di Pamplona. È una magnifica lode alla sposa: le sue virtù, la sua parola, la sua erudizione, il suo viso e le sue mani ordinatrici: Ornata moribus, eloquiis claram, eruditam litteris sacrisque mistertiis, conlaudetur cantus suavi imniferis vocibus. Dum facies ejus rutilat decore moderata... ornat domum, ac disponi mirabile ordine.

      Canto scritto verso il 869, conservato nel Códice de Roda, pubblicato da Armando Cotarelo. Historia crítica y documentada de la vida y acciones de Alfonso III el Magno. Madrid, Victoriano Suárez, 1933, p. 641.

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