Ci sono due edizioni critiche della Città delle Dame :
Monica Lange, Livre de la cité des dames: Kritische Text-edition auf Grund der sieben überlieferten “manuscrits originaux” des Textes , tesi di dottorato, Università di Amburgo, 1974.
Maureen C. Curnow, The Livre de la Cité des Dames by Christine de Pisan: A Critical Edition , 2 vols., tesi di dottorato, Vanderbildt University, 1975, (basata sul manoscritto della Bibliothèque Nationale de Paris, ms. fr. 607, il più antico, datato 1407), [“Dissertation Abstracts International”, 36 (1975-1976) 4536-4537ª].
Si conservano molti manoscritti di questa opera (circa 25); ce n’è uno autografo, rivisto da Cristina verso il 1410, che appartenne a Elisabetta di Baviera (Londra, British Library, ms. Harley 4431).
Christine de Pizan, La Città delle Dame , a cura di Patrizia Caraffi, Edizione di Earl Jeffrey Richards, Milano-Trento, Luini, 1997.
Christine de Pizan spiega come una sera, stanca di studiare, si mise a leggere un libro che le avevano prestato, pensando che l’avrebbe distratta. Era un libro che criticava le donne. Lo lascia perché sua madre la chiama per la cena; il giorno dopo, riflettendo su questo e molti altri libri misogini, prende coscienza del fatto che, leggendoli, riconosce più autorità a tali scrittori che alla sua esperienza femminile.
Un giorno mentre ero seduta nella mia stanza, come sempre concentrata nello studio delle lettere, attività consueta della mia vita, e con intorno a me numerosi volumi di differenti materie, a quell’ora ormai stanca per aver studiato a lungo il difficile pensiero di diversi autori, distolsi lo sguardo dal mio libro, pensando per una volta di tralasciare le questioni sottili per dilettarmi nella lettura di qualche poesia. Con questa intenzione cercavo intorno a me qualche opera breve, e per caso mi capitò tra le mani uno strano libro, che non era mio, lasciato lì da qualcuno con altri volumi, come in prestito. Cominciai a sfogliarlo e vidi dall’intestazione che parlava di un tale Mateolo. Allora sorrisi: pur non avendolo mai visto prima, avevo spesso sentito dire che, tra gli altri libri, questo parlava bene delle donne, e pensai che poteva divertirmi leggerlo. Ma non lo guardai a lungo: mia madre mi venne a chiamare per la cena, che era già l’ora, quindi abbandonai la lettura, proponendomi di riprenderla l’indomani. Il mattino seguente, di nuovo seduta nel mio studio, come al solito, non dimenticai il proposito di dare un’occhiata al libro di Mateolo: dunque cominciai a leggere e andai avanti per un po’. Ma, poiché il soggetto trattato poteva risultare gradevole solo ai maldicenti, e non dava alcun contributo al perfezionamento morale e alla virù e, considerata anche la grossolanità del linguaggio e dei temi trattati, lo sfogliai qua e là fino alla fine, poi lo lasciai perdere, per studi più elevati e di maggiore utilità. Ma l’aver visto quel libro, per quanto assolutamente non autorevole, suscitò in me una riflessione che mi turbò profondamente, sui motivi e le cause per cui tanti uomini diversi tra loro per condizione, i chierici come gli altri, erano stati ed erano ancora così propensi a dire e a scrivere nei loro trattati tante diavolerie e maldicenze sulle donne e la loro condizione. E non solo uno o due, come questo Mateolo, che non gode di buona reputazione e che parla in maniera truffaldina, ma più in generale in ogni trattato filosofi e poeti, predicatori e la lista sarebbe lunga, sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d’accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline a ogni tipo di vizio. Profondamente assorta in ciò io, che sono nata donna, presi a esaminare me stessa e la mia condotta, e allo stesso modo pensavo alle altre donne che avevo frequentato, tanto le numerose principesse e le gran dame, come le donne di media e bassa condizione, che avevano voluto graziosamente confidarmi le loro vicende personali e i loro intimi pensieri. Volevo capire in coscienza e in modo imparziale se poteva essere vero ciò che tanti uomini illustri, gli uni come gli altri, testimoniavano. Ma, nonostante quello di cui potevo essere a conoscenza, e per quanto a lungo e profondamente esaminassi la questione, non riuscivo a riconoscere né ad ammettere il fondamento di questi giudizi contro la natura e il comportamento femminile. Continuai tuttavia a pensare male delle donne: ritenevo che sarebbe stato troppo grave che uomini così famosi, tanti importanti intellettuali di così grande intelligenza, così sapienti in tutto, come sembra che fossero quelli, avessero scritto delle menzogne e in tanti libri, che stentavo a trovare un’opera morale, indipendentemente dall’autore, senza incappare, prima di terminare la lettura, in qualche capitolo o chisa di biasimo alle donne. Questa unica e semplice ragione mi faceva concludere che, benché il mio intelletto nella sua semplicità e ignoranza non sapesse riconoscere i grandi difetti miei come delle altre donne, doveva essere veramente così. Era in questo modo che mi affidavo più ai giudizi altrui che a ciò che io sentivo e sapevo nel mio essere donna.
È molto interessante confrontare questo argomento di Christine de Pizan con quello di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé (1929), un altro capolavoro della saggistica femminile e femminista: “I professori, i maestri, i sociologi, i teologi, i romanzieri, i saggisti, i giornalisti, gli uomini che non avevano nessun titolo tranne quello di non essere donne, tutti inseguivano la mia semplice e unica domanda - perché sono povere le donne? -, finché questa diventava cinquanta domande; finché le cinquanta domande saltavano disperatamente in mezzo al fiume e venivano trascinate dai flutti” (in Virginia Woolf, Per le strade di Londra , traduzione di Livio Bacchi Wilcock e J. Rodolfo Wilcock, Milano, Il Saggiatore-Garzanti, 1974, pp. 231-232).
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Christine de Pizan (1364-1430) nel 1405 scrive Il libro della Città delle Dame, in cui sostiene l’esistenza di una genealogia femminile e propone un ginecotopia, uno spazio separato per le donne, frutto della conversazione con tre dame allegoriche: Ragione, Rettitudine e Giustizia.
Al momento di erigere una città per le donne, Christine riceve queste istruzioni:
“...che tu faccia solide fondamenta, innalzi tutto attorno grandi mura alte e spesse con le loro alte torri larghe e grandi, i bastioni con i loro fossati, i terrapieni artificiali e naturali, così come si conviene a una piazza ben difesa”.
(Christine de Pizan, La Città delle Dame, introduzione, traduzione e note di Patrizia Caraffi, edizione originale a fronte di Earl Jeffrey Richards, Milano, Luni Editrice, 1997; ristampa, Roma, Carocci, 2004.)