Documenti: - Testamento e del codicillo di Isabella I di Castiglia, detta la Cattolica (23 novembre 1504, Medina del Campo, Valladolid). Isabella I di Castiglia.
Isabella I, regina di Castiglia, chiamata anche Isabella la Cattolica, detta il suo testamento in lingua materna il 12 ottobre 1504, e il 23 novembre, tre giorni prima di morire all’età di cinquantatre anni, firma con autografo le sue ultime volontà a Medina del Campo. Isabella dichiara erede universale di tutti i suoi regni e di tutti i suoi beni la figlia primogenita, la principessa Giovanna I di Castiglia, arciduchessa d’Austria e duchessa di Borgogna. Comanda che se la principessa Giovanna è assente dai suoi regni o non può governarli, li governi per lei il re Fernando, suo padre, finché l’infante, Carlos, suo nipote, figlio primogenito di Giovanna e di Filippo il Bello, compia vent’anni e possa governare i regni.
Nel nome di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone e una essenza divina, Creatore e Governatore universale del Cielo e della Terra e di tutte le cose visibili e invisibili, della gloriosa Vergine Maria, sua madre, Regina dei Cieli e Signora degli Angeli, nostra signora e avvocata, e di quel molto eccellente Principe della Chiesa e Cavaliere angelico san Michele, e del glorioso messaggero celeste l’arcangelo san Gabriele e a onore di tutti i santi e sante [...], specialmente di quel santo precursore e annunziatore del nostro Redentore Gesù Cristo, san Giovanni Battista, e dei beatissimi Principi degli Apostoli san Pietro e san Paolo con tutti gli altri apostoli e segnatamente del beatissimo san Giovanni Evangelista [...], il quale santo Apostolo ed Evangelista io ho come speciale avvocato in questa presente vita e così spero di averlo all’ora della mia morte in quel terribile giudizio e rigido esame e più terribile contro i potenti quando la mia anima sarà presentata davanti alla sede e trono reale del Giudice Supremo [...], che secondo i nostri meriti dovrà giudicarci tutti, insieme con il beato e degno fratello suo l’apostolo San Giacomo [...], con il mio beneamato e speciale avvocato san Francesco, con i gloriosi confessori e grandi amici di nostro Signore san Gerolamo, dottore glorioso, e san Domenico [...] e con la beata santa Maria Maddalena che ugualmente ho come avvocata [...]; perché se è certo che dobbiamo morire, è incerto quando e dove moriremo, pertanto dobbiamo vivere ed essere preparati come se dovessimo morire in qualunque momento.
Pertanto, sappiano quanti vedessero questa carta, come io donna Isabella, per grazia di Dio, regina di Castiglia, di León , de Aragona , de Sicilia , de Granada [...], essendo malata nel mio corpo della malattia che Dio volle darmi e sana e libera nella mia intelligenza [...], dispongo questa mia carta di testamento e ultima volontà volendo imitare il buon re Ezechia volendo disporre della mia casa come se poi dovessi lasciarla.
24. E primo affido il mio spirito nelle mani di nostro Signore Gesù Cristo [...].
25. E voglio e comando che il mio corpo sia sepolto nel monastero di San Francesco, che si trova nella Alhambra della città di Granada [...], dopo essere stata vestita con l’abito del beato poverello di Gesù Cristo san Francesco, in una sepoltura bassa che non abbia rilievo alcuno, salvo una pietra piana con parole scolpite in essa; ma voglio e comando che se il Re, mio signore, scegliesse sepoltura in qualsiasi altra chiesa o monastero di qualsiasi altra parte o luogo dei miei regni, il mio corpo sia trasportato lì e sepolto vicino al corpo di sua signoria perché la coppia che formiamo in vita spero per la misericordia di Dio la formino le nostre anime in Cielo e la rappresentino i nostri corpi in terra. E voglio e comando [...] che le esequie siano semplici, e quello che si sarebbe speso in grandi esequie sia destinato a vestire i poveri, e la cera che sarebbe bruciata in più sia data perché arda davanti al Sacramento in quelle chiese povere dove sembri bene ai miei esecutori testamentari.
26. Item voglio e comando che se morissi fuori della città di Granada, senza ritardo portino il mio corpo intero nelle condizioni in cui si trovasse nella città di Granada. E se per la distanza del cammino o per il tempo non si potesse portarlo nella detta città di Granada, in tal caso lo mettano e depositino nel monastero di San Giovanni dei Re della città di Toledo. E se non lo si potesse portare nella detta città di Toledo, lo si depositi nel monastero di Sant’Antonio di Segovia. E se non si potesse portarlo in tali città di Toledo e di Segovia, lo si depositi nel monastero di san Francesco più vicino al luogo in cui morissi, e stia lì depositato finché si possa trasportarlo alla città di Granada, e incarico i miei esecutori testamentari che facciano il trasferimento il più presto possibile.
27. Item comando che, prima di qualsiasi altra cosa, siano pagati tutti i debiti come [...] salari e sposalizi di servi e serve [...] e di qualunque tipo siano [...], che li paghino gli esecutori testamentari nello stesso anno della mia morte, dai miei beni mobili, e se non si possono pagare prima della fine dell’anno, che li si paghino il più presto possibile [...]. E se i beni mobilli non bastassero per pagare i debiti, li paghino con le rendite del regno [...], che non tralascino di pagare affinché la mia anima se ne veda liberata [...].
28. Item comando che dopo aver adempiuto e pagato tali debiti, si dicano per la mia anima in chiese e monasteri osservanti dei miei regni e signorie ventimila messe, dove i miei esecutori testamentari ritenessero che si diranno devotamente, e siano date a tali chiese e monasteri le elemosine che considerino appropriato.
29. Item comando che una volta pagati i debiti, si distribuisca un milione di maravedì per sposare fanciulle povere, e un altro milione di maravedì perché possano dedicarsi alla vita religiosa fanciulle povere che in quel santo stato vogliano servire Dio.
30. Item comando che si vestano duecento poveri, affinché siano speciali oranti per la mia anima [...].
31. Item comando che nell’anno della mia morte siano riscattati duecento prigionieri bisognosi che si trovino nelle mani degli infedeli [...].
[...]
32. Inoltre, benché per le tante necessità che dal mio arrivo al trono abbiamo avuto il Re, mio signore, e io, io abbia tollerato tacitamente che alcuni grandi e cavalieri e signori si siano impadroniti di alcabale [dazi], parti di decime, pechos [balzelli] e diritti appartenenti alla Corona e al Patrimonio Reale dei miei regni [...], essi non possono per questo dire di avere o aver avuto uso, costume o prescrizione che possa pregiudicare il diritto di detta Corona e Patrimonio Reale e i re che dopo i miei giorni succedessero nei detti regni. [...].
Inoltre comando che si dia un’elemosina per la Cattedrale di Toledo e per Nostra Signora di Guadalupe. [...]
E quanto alle concessioni del borgo di Moya e di altri vassalli che facemmo a Andrés Cabrera, marchese di Moya e alla marchesa, Beatriz de Bovadilla , per la lealtà con cui ci hanno servito nel recuperare e accedere alla corona e per i grandi servizi che mi hanno reso, li raccomando al re, mio signore, e alla principessa, mia molto cara e molto amata figlia [...].
Inoltre, in conformità con quanto devo e sono obbligata di diritto, dispongo e stabilisco e istituisco mia erede universale di tutti i miei regni, terre e signorie e di tutti i miei beni l’illustrissima principessa donna Giovanna, arciduchessa d’Austria, duchessa di Borgogna, mia cara e molto amata figlia primogenita, erede e successora legittima di detti miei regni, terre e signorie, la quale dopo che Dio mi portasse con sé prenda il titolo di regina [...].
[...]
E inoltre, considerando quanto sono obbligata a mirare al bene comune dei miei regni e signorie, tanto per l’obbligo che come loro regina e signora gli devo quanto per i molti servizi prestati con gande lealtà dai miei sudditi e vassalli che vi risiedono; e considerando anche che la miglior eredità che posso lasciare alla Principessa e al Principe, miei figli, è dar ordine ai miei sudditi che li amino e li servano lealmente come hanno servito il Re, mio signore, e me [...].
E, prevedendo che se il Principe, mio figlio, per il fatto di essere di un’altra nazione e di un’altra lingua non si uniformasse alle leggi, privilegi, usi e costumi di questi regni ed Egli e la Principessa, mia figlia, non li governassero attraverso tali leggi, privilegi, usi e costumi, non sarebbero obbediti né serviti come dovuto e potrebbe esserci qualche scandalo e non avere per loro quell’amore che io vorrei che si avesse [...]; e conoscendo che ogni regno ha le sue leggi, privilegi, usi e costumi ed è governato meglio attraverso le proprie naturali: Per questo, volendolo come rimedio affinché detti Principe e Principessa, miei figli, governino questi regni come devono [...], dispongo e comando che da qui in avanti non si concedano cariche di podestà né di vice podestà, né castelli, fortezze, né giurisdizioni, funzioni di giustizia, né funzioni di borgo né di città, né funzioni di finanze, quelle della casa e corte, a nessuna persona o persone che non siano nativi di questi regni; e che i funzionari davanti ai quali i nativi di questa terra debbano presentarsi per qualunque affare riguardante queste terre siano abitanti di questi territori [...].
[...]
Inoltre, qualora alla mia morte la detta principessa, mia figlia, non si trovi nei miei regni [...] o pur trovandovisi non volesse o potesse governarli, seguendo gli accordi presi nelle Cortes di Toledo del 1502 e di Madrid e Alcalá de Henares del 1503 si stabilisce che in tali casi il Re, mio signore, debba reggere, governare e amministrare i miei regni e signorie per conto della menzionata Principessa, mia figlia [...]; tenendo conto della grandezza ed eccellente nobiltà e virtù del re, mio signore, la sua grande esperienza nel governo dei regni [...]; dispongo e comando che ogni volta che la detta principessa, mia figlia, non stia nei miei regni o standoci non volesse o potesse occuparsi del governo dei regni [...], in tali casi il Re, mio signore, amministri, regga e governi i miei menzionati regni e tenga l’amministrazione e il governo per detta Principessa, finché l’infante Carlo, mio nipote, figlio primogenito ed erede dei detti Principe e Principessa, abbia compiuto vent’anni. E supplico il re, mio signore, che voglia accettare l’incarico di governare e reggere i miei regni e signorie come io spero che faccia [...].
E ugualmente prego e comando molto affettuosamente la detta Principessa, mia figlia, [...] e il Principe, suo marito, che siano sempre molto obbedienti e soggetti al re, mio signore, e che non gli disobbediscano, tributandogli e facendogli tributare tutto l’onore che buoni e obbedienti figli devono tributare al loro buon padre, e seguano i suoi ordini e consigli come da loro si spera che facciano in maniera tale che in tutto quanto riguardi la loro Signoria sembri che io non manchi e che sia viva [...].
Inoltre, prego e raccomando a detti Principe e Principessa, miei figli, che così come il Re, mio signore, e io ci siamo sempre mantenuti in grande amore e unione e concordia, così loro mantengano tale amore e unione e accordo come io spero da loro [...];
E voglio e comando che quando detta principessa donna Giovanna, mia molto cara e amata figlia, muoia, le succeda in questi miei regni l’infante Carlo, mio nipote, suo figlio legittimo e di detto don Filippo, suo marito, e che sia re e signore dei miei regni. [...]
E lascio come miei esecutori testamentari ed esecutori di questo mio testamento e ultima volontà il Re, mio signore, perché per il molto e grande amore che ho per sua Signoria e lui ha per me, sarà meglio e più presto eseguito [...].
[Codicillo]
In nome della Santa e Indivisibile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Sappiano quanti vedessero questa carta di codicillo che io donna Isabella, per grazia di Dio regina di Castiglia, di Leon, [...].
[La regina dispone - in diciassette capitoli - tra le altre cose]:
X. Item comando che si esaminino i poteri di alcuni riformatori, giacché nel riformare i monasteri dei loro regni, sia di religiosi sia di religiose, alcuni eccedono nei loro poteri, e da questo deriva grande scandalo, danno e pericolo per le loro anime e coscienze. E che d’ora in avanti si aiuti i riformatori a svolgere le loro attribuzioni in funzione del potere ricevuto e non di più.
XI. Item, in quanto al tempo in cui ci furono concesse dalla santa Sede Apostolica le Isole e la Terraferma del Mare Oceano scoperte e da scoprire [America e isole vicine], la nostra principale intenzione fu [...] di fare in modo di indurre e attrarre i popoli che le popolano a convertirsi alla fede cattolica, e inviare a tali Isole e Terraferma prelati e religiosi e chierici e altre persone dotte e timorose di Dio per istruire gli abitanti e residenti di quelle terre alla fede cattolica, e insegnare loro buoni costumi [...], supplico il re mio signore molto affettuosamente, e raccomando e comando alla principessa, mia figlia, e al principe, suo marito, che così facciano e adempiano, e che questo sia il loro principale fine e in esso si metta molta diligenza, e che non consentano né causino che gli indiani, i residenti e gli abitanti delle Indie e Terraferma, raggiunte o da raggiungere, ricevano danno alcuno nelle loro persone o beni, ma al contrario che siano bene e giustamente trattati, e se hanno ricevuto qualche danno che lo rimedino e provvedano affinché non si oltrepassi in nessuna cosa ciò che nelle lettere apostoliche di detta concessione si comandava e stabiliva. [...]
[...]
XV. Item comando che si dicano ventimila messe da requiem per le anime di tutti quelli che sono morti al mio servizio, e che si dicano in chiese e monasteri osservanti, laddove ai miei esecutori testamentari sembri che si diranno più devotamente, e diano per questo l’elemosina che ritengano opportuna.
XVI. Item comando che tutto quello che io ora do ai servi e serve della regina donna Isabel, mia signora e madre, che abbia santa gloria, lo si dia a ciascuno di loro a vita.
E dico e dichiaro che questa è la mia volontà, la quale voglio che valga come codicillo, e se non valesse come codicillo voglio che valga come qualunque mia ultima volontà, o come meglio possa e debba valere. E affinché questo sia fermo e non ci sia nessun’ombra di dubbio, faccio questa carta di codicillo davanti a Gaspar de Grizio, mio segretario, e ai testimoni che lo firmarono e sigillarono con i loro sigilli; che fu rilasciata nel borgo di Medina del Campo, il 23 di novembre dell’anno di Nostro Salvatore Gesù Cristo 1504, e lo firmai con il mio nome davanti ai testimoni e comandai di sigillarlo con il mio sigillo.
Io la Regina [firma autografa e parafa]
22. En el nombre de Dios topoderoso, Padre e Fijo e Spiritu Sancto, tres personas e una essençia divinal, Criador e Governador universal del Cielo e de la Tierra e de todas las cosas visibles e ynvisibles, de la gloriosa Virgen María, su madre, Reyna de los Çielos e Señora de los Angeles, nuestra Señora e abogada, e de aquel muy exçelente príncipe de la Iglesia e cavalleria angelical sanct Miguel, e del glorioso mensagero çelestial el arcangel sanct Gabriel e a honra de todos los sanctos e sanctas […], speçialmente de aquel muy sancto precursor e pregonero de nuestro Redemptor Jhesuchristo sanct Juan Baptista, e de los muy bienaventurados Prínçipes de los Apóstolos sanct Pedro e sanct Pablo con todos los otros apóstolos señaladamente del muy bienaventurado sanct Juan Evangelista […], al qual sancto apóstol e evangelista yo tengo por mi abogado speçial en esta presente vida e asi lo espero tener en la hora de mi muerte en aquel muy terrible juizio e estrecha examinaçion, e más terrible contra los poderosos, quando mi anima sera presentada ante la silla e trono real del Juez Soberano […], que segund nuestros mereçimientos a todos nos ha de juzgar, en uno con el bienaventurado e digno hermano suyo el apostol Santiago […] e con el […] otrosí mio muy amado e speçial abogado sanct Francisco, con los gloriosos confessores e grandes amigos de nuestro señor sanct Geronimo, doctor glorioso, e sancto Domingo […], e con la bienaventurada sancta María Madalena a quien asymismo yo tengo por mi abogada […]; porque así como es çierto que avemos de morir, así nos es incierto quando ni donde moriremos, por manera que devemos bivir e así estar aparejados como si en cada hora oviésemos de morir.
23. Por ende, sepan quantos esta carta de testamento vieren como yo doña Ysabel, por la gracia de Dios reyna de Castilla, de León […], estando enferma de mi cuerpo de la enfermedad que Dios me quiso dar e sana e libre de mi entendimiento […], ordeno esta mi carta de testamento e postrimera voluntad queriendo ymitar al buen rey Ezechías queriendo disponer de mi casa commo si luego la oviese de dexar.
24. E primeramente encomiendo mi spíritu en las manos de nuestro Señor Jhesuchristo […] por su muy sancta Incarnaçión e Natividad e Passión e Muerte e Resurreçión […] le plega no entrar en juizio con su sierva, más haga conmigo segund aquella grand misericordia suya, […] e si ninguno ant’El se puede justificar, quanto menos los que de grandes reynos e estados avemos de dar cuenta e yntervengan por mi ante su clemençia los muy excelentes méritos de su muy gloriosa Madre e de los otros sus sanctos e sanctas, mis devotos e abogados, speçialmente mis devotos e speçiales patronos e abogados sanctos suso nombrados con el susodicho bienvaventurado de la Cavalleria angelical el arcangel sanct Miguel […].
25. E quiero e mando que mi cuerpo sea sepultado en el monasterio de Sanct Francisco, que es en la Alhanbra de la çibdad de Granada, seyendo de religiosos o de religiosas de dicha orden, vestida en el habito del bienaventurado pobre de Jhesuchristo sant Francisco, en una sepultura baxa que no tenga vulto alguno salvo una losa baxa en el suelo llana con sus letras esculpidas en ella; pero quiero e mando que si el Rey, mi señor, eligiere sepultura en otra qualquier iglesia o monasterio de qualquier otra parte o lugar d’estos mis reynos que mi cuerpo sea allí trasladado e sepultado junto con el cuerpo de su Señoría porque el ayuntamiento que tovimos biviendo e que nuestras ánimas, espero en la misericordia de Dios ternan en el Çielo, lo tengan e representen nuestros cuerpos en el suelo. E quiero e mando que ninguno vista xerga por mí e que en las obsequias que se fezieren por mí donde mi cuerpo estoviere, las hagan llanamente sin demasías e que no aya en el vulto, gradas ni chapiteles ni en la iglesia entoldaduras de lutos ni demasía de hachas salvo solamente treze hachas que ardan en cada parte en tanto que se hiziere el ofiçio divino e se dixeren las missas e vigilias en los días de las obsequias, e lo que se avía de gastar en luto para las obsequias se convierta en vestuario a pobres, e la çera que en ellas se avía de gastar sea para que arda ant’el Sacramento en algunas iglesias pobres onde a mis testamentarios bien visto fuere.
26. Item quiero e mando que si falleçiere fuera de la çibdad de Granada, que luego, sin detenimiento alguno, lleven mi cuerpo entero como estoviere a la çibdad de Granada. E si acaesçiere que por la distancia del camino o por el tienpo no se podiere llevar a la dicha çibdad de Granada, que en tal caso lo pongan e depositen en el monasterio de Sanct Juan de los Reues de la çibdad de Toledo. E si a la dicha çibdad de Toledo no se podiere llevar, se deposite en el monasterio de Sanct Antonio de Segovia. E si a la dicha çibdad de Toledo ni de Segovia no se podiere llevar, que se deposite en el monasterio de Sanct Francisco más çercano de donde yo falleçiere e que este allí depositado fasta tanto que se pueda llevar e trasladar a la çibdad de Granada, la qual translaçion encargo a mis testamentarios que hagan lo más presto que ser podiere.
27. Item mando que ante todas cosas sean pagadas todas las debdas e cargos así de préstidos como de raçiones e quitaçiones e acostamientos e tierras e tenençias e sueldos e casamientos de criados e criadas e descargos de serviçios e otros qualesquier linages de debdas e cargos e yntereses de qualquier qualidad que sean que se fallare yo dever allende las que dexo pagadas, las quales mando que mis testamentarios aberiguen e paguen e descarguen dentro del año que yo falleçiere de mis bienes muebles, e si dentro del dicho año no se podieren acabar de pagar e cunplir, que lo cunplan e paguen pasado el dicho año lo más presto que se podieren, sobre lo qual les encargo sus consçiençias. E si los dichos bienes muebles para ello no bastaren, mando que las paguen de la renta del reyno e que por ninguna neçesidad que se ofrezca no se dexen de cunplir e pagar el dicho año por manera que mi ánima sea descargada d’ellas e los conçejos e personas a quien se devieren sean satisfechos e pagados enteramente de todo lo que les fuere debido. E si las rentas de aquel año no bastaren para ello mando que mis testamentarios vendan de las rentas de reyno de Granada los maravedís de por vida que vieren ser menester para lo acabar todo de cunplir e pagar e descargar.
28. Item mando que después de cunplidas e pagadas las dichas debdas, se digan por mi ánima en iglesias e monasterios observantes de mis reynos e señoríos veynte mill missas a donde a los dichos mis testamentarios pareçiere que devotamente se dirán, e que les sea dado en limosna lo que a los dichos mis testamentarios bien visto fuere.
29. Item mando que después de pagadas las dichas debdas, se distribuya un cuento de maravedís para casas donzellas menesterosas, e otro cuento de maravedis para con que se puedan entrar en religión algunas donzellas pobres que en aquel sancto estado querrán servir a Dios.
30. Item mando que demás e allende de los pobres que se avían de vestir de lo que se avía de gastar en las obsequias, sean vestidos dozientos pobres porque sean speçiales rogadores a Dios por mí, e el vistuario sea qual mis testamentarios vieren que cunple.
31. Item mando que dentro del año que yo falleçiere sean redimidos dozientos captivos de los neçessitados, de qualesquier que estovieren en poder de ynfieles porque nuestro Señor me otorgue jubileo e remissión de todos mis pecados e culpas, la qual redenpçión sea fecha por persona digna e fiel qual mis testamentarios para ello deputaren.
[…]
32. Otrosí, por quanto a causa de las muchas neçessidades que al Rey, mi señor e a mí ocurrieron después que yo subçedí en estos mis reynos e señoríos, yo he tollerado taçítamente que algunos grandes e cavalleros e personas d’ellos ayan llevado las alcavalas e terçias e pechos e derechos pertenesçientes a la Corona e Patrimonio Real de los dichos mis reynos en sus lugares e tierras, e dando liçençia de palabra a algunos d’ellos para las llevar por los serviçios que me fezieron; por ende porque los dichos grandes e cavalleros e personas a causa de la dicha tolerancia e liçencia que yo he tenido e dado no puedan dezir que tienen o han tenido uso, costumbre o prescripçión que pueda prejudicar al derecho de la dicha Corona e Patrimonio Real e a los reyes que después de mis días subçedieren en los dichos mis reynos para lo llevar, tener ni aver adelante. […].
[...]
33. Otrosí, conformándome con lo que devo e soy obligada de derecho, ordeno e establezco e ynstituyo por mi universal heredera de todos mis regnos e tierras e señoríos e de todos mis bienes rayzes después de mis días a la illustríssima prinçesa doña Juana, archiduquesa de Austria, duquesa de Borgoña, mí muy cara e muy amada hija primogénita, heredera e sucessora legítima de los dichos mis regnos e tierras e señoríos, la qual luego que Dios me llevare, se yntitule de reyna. E mando […] los que allí se hallaren presentes luego e los absentes dentro del término que las leyes d’estos mis reynos disponen en tal caso, ayan e reçiban e tenga a la dicha prinçesa doña Juana, mi hija, por reyna verdadera e señora natural propietaria de los dichos mis reynos e tierras e alçen pendones por ella faziendo la solennidad que en tal caso se requiere e debe me acostunbra fazer e así la nombren e yntitulen d’ende en adelante e le den e presten e exhiban e fagan dar e prestar e exhibir toda la fidelidad e lealtad e obediençia e reverençia e subgeçión e vasallage que como sus súbditos e naturales vasallos le deven e son obligados a le dar e prestar e al illustrísimo prínçipe don Filipo, mi muy caro e muy amado fijo, como su marido. […]. E veyendo como el Príncipe, mi hijo, por ser de otra naçión e de otra lengua si no se conformase con las dichas leyes e fueros e usos e costumbres d’estos dichos mis reynos e Él e la Prinçesa, mi hija, no los governasen por las dichas leyes e fueros e usos e costumbres no serían obedeçidos ni servidos como devían e podrían d’ellos tomar algund escándalo e no les tener el amor que yo querría que les toviesen para con todo mejor servir a Nuestro Señor e governarlos mejor e ellos poder ser mejor servidos de sus vasallos; e conoçiendo que cada reyno tiene sus leyes e fueros e usos e costumbres e se govierna mejor por sus naturales […]
[…]
34. Otrosí, por quanto las Yslas e Tierra Firme del mar Oçéano e yslas de Canaria fueron descubiertas e conquistadas a costa d’estos mis reynos e con los naturales d’ellos, e por esto es razón que’l trato e provecho d’ellas se aya e trate e negoçie d’estos mis reynos de Castilla e León e en ellos e a ellos venga todo lo que de allá se traxiere; por ende, ordeno e mando que así se cunpla, así en las que fasta aquí son descubiertas como en las que se descubrieren de aquí adelante, e no en otra parte alguna.
35. Otrosí, por cuanto puede acaesçer que al tiempo que nuestro Señor d’esta vida presente me llevare, la dicha Prinçesa, mi hija, no esté en estos mis reynos o después que a ellos veniere en algund tiempo aya de yr e estar fuera d’ellos o estando en ellos no quiera o no pueda entender en la governaçión d’ellos; e los procuradores de los dichos mis reinos en las Cortes de Toledo […], por su petiçión me suplicaron e pedieron por merçed que mandase proveer çerca d’ello e que ellos estavan prestos e aparejados de obedesçer e cunplir todo lo que por mi fuese çerca d’ello mandado como buenos e leales vasallos e naturales, lo qual yo después ove hablado a algunos prelados e grandes de mis reynos e señoríos e todos fueron conformes e les paresçió que en qualquier de los dichos casos el Rey, mi señor, devía regir e governar e administrar los dichos reynos e señoríos por la dicha Prinçesa, mi hija; por ende, queriendo remediar e proveer como devo e soy obligada para quando los dichos casos o alguno d’ellos acaesçieren, e evitar las diferençias e disensiones que se podrían seguir entre mis súbditos e naturales de los dichos rreynos e quanto en mí es proveer a la paz e sosiego e buena governaçión e administraçión de la justiçia d’ellos; acatando la grandeza e exçelente nobleza e esclareçidas virtudes del Rey, mi señor, e la mucha esperiençia que en la governaçion d’ellos ha tenido e tiene e quanto es serviçio de Dios e utilidad e bien común d’ellos, que en qualquier de los dichos casos sean por su Señoría regidos e governados, ordeno e mando que cada e quando la dicha Prinçesa, mi hija no estoviere en estos dichos mis reynos o después que a ellos veniere en algund tiempo aya de yr e estar fuera d’ellos o estando en ellos no quisiere o no podiere entender en la governaçión d’ellos, que en qualquier de los dichos mis reynos e señoríos e tenga la governción e administraçion d’ellos por la dicha Prinçesa, segund dicho es, fasta en quanto que el ynfante don Carlos, mi nieto, hijo primogénito heredero de los dichos Prínçipe e Prinçesa, sea de hedad legítima, a lo menos de veynte años cunplidos, para los regir e governar, e seyendo de la dicha hedad estando en estos mis reynos a la sazón o veniendo a ellos para los regir, los rija e govierne e administre e en qualquier de los dichos casos segund e como dicho es. […].
[...]
36. E asimismo ruego e mando muy afectuosamente a la dicha Prinçesa, mi hija, porque merezca alcançar la bendiçión de Dios e la del Rey, su padre, e la mía, e al dicho Prínçipe, su marido, que siempre sean muy obedientes e subjetos al Rey, mi señor, e que no le salgan de obediençia, dándole e faziéndole dar todo el honor que buenos eobedientes hijos deven dar a su buen padre, e sigan sus mandamientos e consejos como d’ellos se espera que lo harán de manera que todo lo que a su Señoría toca parezca que yo no hago falta e que soi biva, […]
[...]
37. Otrosí, ruego e encargo a los dichos Prínçipe e Prinçesa, mis hijos, que así como el Rey, mi señor, e yo siempre estovimos en tanto amor e unión e concordia, así ellos tenga aquel amor e unión e conformidad como yo d’ellos espero; […]
[...]
38. Otrosí, suplico muy afectuosamente al Rey, mi señor, e mando a la Prinçesa, mi hija, e al dicho Prínçipe, su marido, que ayan por muy encomendados para se servir d’ellos e para los honrrar e acreçentar e hazer merçedes a todos nuestros criados e criadas, continos, familiares e servidores, en espeçial al Marqués e Marquesa de Moya e al comendador don Gonçalo Chacon e don Garçilaso de la Vega, comendador mayor de León, e a Antonio de Fonseca e Juan Velázquez, los quales nos servieron mucho e muy lealmente. […]
[...]
39. Item, mando que se den e tornen a los dichos Prínçipe e Prinçesa, mis hijos, todas las joyas que ellos me han dado; e que se de al monasterio de Sanct Antonio de la çibdad de Segovia la reliquia que yo tengo de la saya de Nuestro Señor; e que todas las otras reliquias mías se den a la Iglesia de la çibdad de Granada.
40. E para cunplir e pagar las debdas e cargos susodichos e las otras mandas e cosas en este mi testamento contenidas, mando que mis testamentarios tomen luego e distribuyan todas las cosas que yo tengo en los alcáçeres de la çibdad de Segovia e todas las ropas e joyas e otras cosas de mi cámara e de mi persona e qualesquier otros bienes que yo tengo donde podieren ser avidos, salvo los ornamentos de mi capilla, sin las cosas de oro e plata, que quiero e mando que sean llevadas e dadas a la Iglesia de la çibdad de Granada; pero suplico al Rey, mi señor, se quiera servir de todas las dichas joyas e cosas o de las que a su Señoría más agradaren porque veyéndolas pueda aver más contina memoria del singular amor que a su Señoría sienpre tove e aún porque sienpre se acuerde que ha de morir e que lo espero en el otro siglo e con esta memoria pueda más sancta e justamente bivir.
41. E dexo por mis testamentarios e executores d’este mi testamento e última voluntad al Rey, mi señor, porque segund el mucho e grande amor que a su Señoría tengo e me tiene, será mejor e más presto executado; e al muy reverendo yn Christo padre don fray Françisco Ximénez, arçobispo de Toledo, mi confesor e del mi Consejo; e a Antonio Fonseca, mi contador mayor; e a Juan Velázquez, contador mayor de la dicha Prinçesa, mi hija, e del mi Consejo; e al reverendo yn Christo padre don fray Diego de Deça, obispo de Pallençia, confessor del Rey, mi señor, e del mi Consejo; e a Juan López de Leçárraga, mi secretario e contador. E porque por ser muchos testamentarios, si se oviese de esperar a que todos se oviesen de juntar para entender en cada cosa de las en este mi testamento contenidas, […]
[...]
42. Item, mando que luego que mi cuerpo fuere puesto e sepultado en el monasterio de Sancta Isabel de la Alhambra de la çibdad de Granada, sea luego trasladado por mis testamentarios al dicho monasterio el cuerpo de la reyna e prinçesa doña Ysabel, mi hija, que aya sancta gloria.
43. Item, mando que se haga una sepultura de alabastro en el monasterio de Sancto Thomás, çerca de la çibdad de Ávila, onde está sepultado el prínçipe don Juan, mi hijo, que aya sancta gloria, para su enterramiento, segund bien visto fuere a mis testamentarios.
[...]
44. E mando que este mi testamento original sea puesto en el monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe para que cada e quando fuere menester verlo originalmente lo puedan allí fallar, e que antes que allí se lleve se hagan doss traslados d’el signados de notario público en manera que fagan fe, e que el uno d’ellos se ponga en el monasterio de Sancta Isabel de la Alhambra de Granada, onde mi cuerpo ha de ser sepultado, e el otro en la iglesia cathedral de Toledo para que allí lo puedan ver todos los que d’el se entendieren aprovechar.
45. E porque esto sea firme e non venga en dubda, otorgué este mi testamento ante Gaspar de Grizio, notario público, mi secretario, e lo firmé de mi nombre e mandé sellar con mi sello estando presentes llamados e rogados por testigos los que lo sobrescrivieron e çerraron con sus sellos pendientes, los quales me lo vieron firmar de mi nonbre e lo vieron sellar con mi sello, que fue otorgado en la villa de Medina del Canpo, a doze días del mes de otubre año del nasçimiento del nuestro Salvador Jhesuchristo de mill e quinientos e quatro año.
Yo la Reyna [Rubricado]
[Sello de placa]
[…]
[Codicilo]
[…]. Sepan quantos esta carta de codiçillo vieren, como yo donna Ysabel, […]
[…]
X. Item, por quanto en el reformar de los monasterios d’estos mis regnos, así de religiosos como de religiosas, algunos de los reformadores exçeden los poderes que para ello tienen, de que se siguen muchos escándalos e dannos e peligros de sus ánimas e consçiençias, por ende mando que se vean los poderes que cada uno d’ellos tiene e toviere de aquí adelante para fazer las dichas reformaçiones, e conforme a ellos se les de favor e ayuda, e no en más.
XI. Item, por quanto al tiempo que nos fueron conçedidas por la sancta Se Apostólica las Yslas e Tierra Firme del Mar Oçéano, descubiertas e por descubrir, nuestra prinçipal yntençión fue […], de procurar de ynduzir e traer los pueblos d’ellas e les convertir a nuestra sancta fe cathólica, e enviar a las dichas Islas e Tierra Firme prelados e religiosos e clérigos e otras personas doctas e temerosas de Dios, para ynstruir los vezinos e moradores d’ellas en la fe cathólica, e les ensennar e doctrinar buenas costumbres, e poner en ello la diligençia devida, segund más largamente en las letras de la dicha conçessión se contiene, por ende suplico al rey mi sennor muy afectuosamente, e encargo e mando a la dicha prinçesa, mi hija, e al dicho prínçipe, su marido, que así lo hagan e cunplan, e que este sea su prinçipal fin, e que en ello pongan mucho diligençia, e no consientan nin den lugar que los yndios, vezinos e moradores de las dichas Yndias e Tierra Firme, ganadas e por ganar, reçiban agravio alguno en sus personas ni bienes, más manden que sean bien e justamente tratados, e si algund agravio han reçebido lo remedien e provean por manera que no se exçeda en cosa alguna lo que por las letras apostólicas de la dicha conçessión nos es iniungido e mandado.[…]
XV. Item mando, que se digan veyntemill missas de requiem por las ánimas de todos aquellos que son muertos en mi serviçio, las quales se digan en iglesias e monasterios observantes, onde a mis testamentarios paresçiere que más devotamente se dirán, e den para ello la limosna que bien visto les fuere.
XVI. Item, mando, que todo aquello que yo agora do a los criados e criadas de la reyna donna Ysabel, mi sennora e madre, que aya sancta gloria, se de a cada uno d’ellos por su vida.
XVII. E digo e declaro que esta es mi voluntad, la qual quiero que vala por codiçillo, e si no valiere por codiçillo quiero que vala por qualquier mi última voluntad, o como mejor pueda e deva valer. E por que esto sea firme e no venga em dubda, otorgué esta carta de codiçillo ante Gaspar de Grizio, mi secretario, e los testigos que lo sobreescrivieron e sellaron con sus sellos; que fue otorgada en la villa de Medina del Canpo, a veynte e tres días del mes de novienbre (de cancelado ) ano del nasçimiento del Nuestro Salvador Ihesu Christo de mill e quinientos e quatro annos, e lo firmé de mi nombre ante los dichos testigos e lo mandé sellar con mi sello.
Yo la Reyna ( firma autógrafa y rúbrica ).
M.-Elisa Varela RodríguezMedievista e paleografa. Si occupa dello studio del libro e della cultura scritta nel Basso Medioevo, e dello studio del commercio bassomedievale catalano nel Mediterraneo. Nata nel settembre 1958 a Saviñao-Monforte de Lemos (Lugo, [Galizia, Spagna]), si è diplomata all’Istituto Narciso Monturiol di Barcellona, e laureata in Storia medievale presso la Facoltà di Geografia e Storia dell’Università di Barcellona, dove ha preso il dottorato nel 1995. Nel penultimo anno del corso di laurea entrò nel progetto Duoda, diretto da M.-Milagros Rivera Garretas del CIHD, di cui continua a far parte, come ricercatrice e attualmente anche come vicedirettrice del Centro de Investigación de Mujeres Duoda dell’Università di Barcellona. È docente della Facoltà di Lettere dell’Università di Girona, dove fa parte del gruppo di ricerca Estudis Culturals, ed è ricercatrice del progetto coordinato Historias de vidas de mujeres. Coronas de Aragón y Castilla (siglo XV). Lavori principali: El control de los Bienes: Los libros de cuentas de los mercaderes Tarascó (1329-1348), Barcellona 1996; “Palabras clave de Historia de las Mujeres en Cataluña (siglos IX-XVIII)”, Duoda, 12, 1997; El libro de Horas de Carlos V, Madrid 2000; Mujeres que leen, mujeres que escriben: Letradas en la Baja Edad Media, Barcellona 2001; El Oficio de la Toma de Granada, Granada 2003; Aprender a leer, aprender a escribir: Lectoescritura femenina (siglos XIII-XV), Madrid 2004. |
Alla morte di Isabella I di Castiglia, detta la Cattolica (Madrigal de las Altas Torres, Avila, 22 aprile 1451-Medina del Campo, 26 novembre 1504), i regni peninsulari occidentali si trovano davanti un futuro poco rassicurante. Si devono rispettare i costumi, privilegi e diritti dei diversi territori e dei diversi gruppi sociali. La fine del XV secolo non chiude la lunga tappa di conflitti e guerre nelle terre della Corona di Castiglia, e il XVI secolo continuerà in parte la stessa dinamica bellica. La lunga guerra di espansione cristiana sul territorio andaluso si chiude nel 1492 con la conquista del regno e città di Granada. Tuttavia i problemi sociali, economici e di convivenza tra le diverse etnie e religioni e la strutturazione del territorio dei regni non finiscono in questa data, ma si prolungheranno come un’immensa ombra sul futuro. Il momento culminante sarà l’espulsione del popolo ebreo e della popolazione araba rimasta (morisca), con le diverse rivolte e rimostranze nobiliari. L’opera dell’Inquisizione nelle terre castigliane verrà a creare una psicosi di insicurezza e di paura piuttosto generalizzata tra la gente, che si renderà conto che quasi nessuno si trova al riparo dalle sue lunghe braccia: da una contadina o artigiana quasiasi a Teresa d’Avila, e a Hernando de Talavera ecc. Si moltiplicheranno i processi, alla ricerca di qualunque traccia o sospetto di pratiche non cattoliche, cioè di qualunque indizio che non si è cristiana o cristiano “di vecchia data”. Le terre castigliane rischiano di perdere l’esperienza e i saperi che le donne e gli uomini delle tre culture e delle tre religioni del Libro avevano apportato durante secoli di convivenza.
La cronaca di Hernando del Pulgar, la Crónica de la Guerra de Granada e altre illustrano chiaramente la situazione dei regni castigliani, le luci e le ombre che accompagnano le donne e gli uomini di queste terre nel corso del XV secolo e le prospettive che si aprono e si proiettano verso il XVI secolo. E alla complessità etnico-religiosa e sociale dei regni peninsulari si aggiungerà quella delle nuove terre conquistate e poi colonizzate dalle isole Canarie al continente americano: diverse nazioni indiane, diverse organizzazioni familiari e sociali, diverse cosmovisioni e tradizioni culturali, scientifiche e sistemi di credenze. Va configurandosi l’idea e si sta andando verso tempi nuovi.
La storiografia tradizionale ha studiato con molta attenzione la situazione politica, sociale, economica ed etico-religiosa dei regni peninsulari dei secoli XV e XVI. Si è occupata meno delle trasformazioni culturali e mentali che si stavano verificando, come il peso della scrittura e lettura in lingua materna nel passaggio dal basso Medioevo all’età moderna. Si è studiato l’evoluzione economica delle donne e degli uomini contadini e di coloro che hanno popolato borghi e città; l’evoluzione e struttura della popolazione, dei redditi, dei prezzi e salari. Si è fatto e si fa storia sociale, ma io quando analizzo, sia pur sommariamente, il testamento di Isabella I di Castiglia voglio valutare altri fatti e stabilire altre relazioni. Le relazioni che si stabiliscono a partire dall’ordine simbolico della madre, a partire dall’opera ordinatrice della madre, di colei che ci dà la vita, che dà la misura e ci dà l’autorità, alla quale ci unisce un vincolo divino, con cui ci misureremo in una relazione di disparità e che non dobbiamo giudicare.
Valuterò anche il grande peso che hanno nel corso della vita e del regno di Isabella, e per estensione di quello di Fernando, aspetti tanto importanti per la vita e per l’essere donna come il gusto della relazione, dell’amore, dell’amicizia, del patto, del lavoro del conflitto.
Il testamento di Isabella I - nonostante sia un documento redatto in una maniera in cui pesa molto il formulario diplomatico di questa fonte storica e sia scritto con un linguaggio abbastanza stereotipato - rende conto, a volte tra le righe ma a volte in modo chiaro e reiterato, della costante cura e dell’affetto che la regina mette nelle disposizioni che riguardano sua figlia. E della posizione mediatrice con il re, Fernando, perché Giovanna si appoggi all’esperienza politica di suo padre e accetti le decisioni che egli prenda, insistendo molto sul rispetto e l’amore che lei aveva ed ebbe per lui tutta la vita, affinché servano alla principessa Giovanna.
Il testamento della regina mostra l’amore e il rispetto che la univa al re Fernando. La regina gli concedeva una grande autorità non solo nel suo ruolo di cavaliere e uomo d’armi - in guerra o nelle azioni belliche simboliche o reali (tornei e battaglie) - ma nelle questioni di governo. Con una autorità fondata sulla sua lunga esperienza e sul suo senso comune, ella poté affermare la sua supremazia politica a volte sottolineando e altre volte elaborando il conflitto provocato dalla posizione attribuita agli uomini nel matrimonio. La sua relazione con Fernando poteva aver tenuto conto in qualche momento dei postulati di Alfonso de Madrigal, detto el Tostado: Alfonso de Madrigal [1400-1454, celebre teologo e umanista, vescovo di Avila] aveva suggerito che giacché “l’uomo non poteva sfuggire le pastoie dell’amore, la cosa migliore che poteva fare era cercare una buona moglie, perché l’amore e l’amicizia univano molto profondamente gli individui tra loro, e con Dio, e perché amare era avere un amico che, al tempo stesso, era altro e se stesso”. Ma Isabella tenne soprattutto in conto l’amore che li unì fin quasi dalla prima volta che si incontrarono a Valladolid -il 14 ottobre 1469- e l’amicizia che godettero durante la loro convivenza. Isabel e Fernando lasciarono in mano ai loro collaboratori il compito di elaborare le loro rispettive funzioni, competenze e gradi di potere. Ma ebbero cura e diletto, molto spesso, della loro relazione: come riferiscono alcune cronache, “tra il re e la regina non vi era divisione né disgusto, ogni giorno mangiavano insieme nella sala pubblica, parlando di cose piacevoli come si fa a tavola, e dormivano insieme..., le volontà erano con sviscerato amore eguagliate” “l’amore teneva unite le volontá”. Questa cura non vuol dire che non si producessero conflitti, nella convivenza come negli aspetti relativi al governo della loro casa e del regno. Le stesse cronache segnalano che i re erano in disaccordo in numerose occasioni, quando uno di loro pretendeva beneficare qualcuna o qualcuno dei propri consiglieri o qualche abitante dei propri regni, e molti altri grandi ostacoli resero difficile la relazione, ma sembra che la loro volontà di patto e concertazione prevalesse quasi sempre sui conflitti.
Il testamento di Isabella I di Castiglia ci mostra la relazione primigenia e privilegiata della madre con le proprie figlie. Nonstante il linguaggio un po’ stereotipato del testamento come atto documentale, vediamo una relazione che la regina cura particolarmente. Isabel istituisce erede universale dei suoi regni, alla morte del figlio Giovanni, l’infanta Giovanna. Isabella è consapevole di trasmettere a sua figlia un pesante carico per il quale non è stata preparata né educata in modo particolare. Lo era stato suo fratello, l’infante Giovanni, che era l’erede e il futuro re di Castiglia. Alla sua morte, e a quella della sorella Isabella e di suo figlio Michele, l’eredità ricade con tutto il suo peso su Giovanna.
La regina Isabella aveva educato Giovanna in modo squisito come le sue sorelle, le principesse Isabella, Maria e Caterina. Ma le aveva educate a essere principesse, non a essere le eredi del trono di un regno che si trova in un periodo complesso della sua storia. Isabella sa quanto è duro, nemmeno lei era l’erede di Castiglia, e non poté o no seppe evitare il duro scontro che costò tanto dolore e perdite a lei, alla sua famiglia e alle e agli abitanti della Castiglia per rivendicare e ottenere il suo diritto a regnare, ed è pienamente consapevole che ogni preparazione è poca per sostenere un tale carico, ha dovuto fare un duro apprendistato, rinunciando a volte ai dettami del suo cuore, ai suoi desideri. Ma sempre ha cercato e cercherà di mantenere e dimostrare, affermando in questo sì i suoi desideri, una grande correttezza di fronte all’istituzione monarchica e alla persona che rappresenta il regno.
Non vorrei lasciar da parte ed eludere uno dei temi che la storiografia ha trattato e su cui mantiene ancor oggi discrepanze; mi riferisco al ruolo che la regina ebbe, o che le viene attribuito, rispetto all’Inquisizione. Perché la regina appoggiò l’opera dell’Inquisizione? Le e gli storici non concordano nell’analisi del rapporto e del ruolo di Isabella nel favorire più o meno l’instaurarsi e l’azione dell’Inquisizione nelle terre della Corona di Castiglia. È probabile che la regina, buona conoscitrice del valore e dell’importanza delle e degli ebrei conversi - alcune e alcuni di loro erano molto vicini a lei stessa e alle istituzioni del governo del regno -, cercasse di evitare le morti provocate dalla rivolte popolari contro i conversi nelle campagne e città castigliane. Nei primi tempi dell’Inquisizione cessarono le rivolte e le rappresaglie contro le e gli ebrei conversi, si evitarono i massacri di questi e queste abitanti della Castiglia, ma iniziò un periodo di controllo ideologico che genererà una paura profonda e atavica, per generazioni, del potere dell’Inquisizione. Sicuramente si causarono meno morti ma credo che questo non giustifichi in nessun modo il tentativo di risolvere il problema creato dal fatto che una parte dei e delle converse controllavano in parte il potere del regno e rinnegavano il cattolicesimo. Alcuni di loro si arricchirono molto, accaparrarono un grande numero di cariche pubbliche di varia importanza e natura, e ritornarono alla loro antica fede - l’ebraismo - facendolo pubblicamente e con un po’ di fanatismo. Perché le e gli abitanti cristiani “vecchi” di Castiglia e Andalusia non sopportano in determinati momenti il comportamento delle e dei conversi? Primo, perché ciò che si sta presentando è un problema sociale, economico e di potere, alcune e alcuni conversi stanno alterando la tradizionale composizione socioeconomica e di potere nelle campagne, in borghi e città della corona castigliana, monopolizzando molte cariche, da quelle dei consigli locali a quelle del Consiglio Reale, e in secondo luogo, ed è molto importante, esiste un problema di idee, di pensiero e di conoscenza. L’Europa occidentale cristiana si trova in un momento di insicurezza, sono state messe in discussione alcune teorie in alcuni campi del sapere (come nella geografia, nell’astronomia ecc.), cambia la concezione dello spazio e del tempo, e altri ambiti di conoscenza come la filosofia e la religione sono in un momento di incertezza, di riformulazione, e forse per questo reagiscono chiudendosi e imponendo in modo violento le loro verità e pratiche. E la Castiglia che era rimasta abbastanza ai margini dell’intolleranza e della barbarie religiosa (contro l’eresia catara, contro i templari, contro gli “spirituali”, contro le e i mistici, contro modi di intendere il fatto religioso e la fede e contro pratiche, soprattutto femminili ma anche maschili, molto più libere), in questo momento vi si inserisce -con tutta la forza della nuova struttura di potere che stanno sviluppando Isabella I di Castiglia e Fernando II d’Aragona- perché adesso nelle sue terre si mescolano tutta una serie di elementi che le favoriranno. Credo tuttavia che possiamo essere d’accordo -alcune e alcuni storici- che non vadano inclusi tra gli elementi che favoriscono l’intolleranza e la persecuzione religiosa fattori di odio biologico come lo intendiamo oggi, cioè che non c’è antisemitismo, non c’è razzismo, non c’è antigiudaismo, c’è persecuzione fanatica delle idee e pratiche religiose e c’è anche un odio secolarmente consentito e cercato conto gli ebrei.
Le informazioni che possiamo trarre dal testamento e dal codicillo di Isabella I di Castiglia sono varie, e alcune sono già state raccolte dalla storiografia tradizionale. Ma tra i temi che non sono stati trattati, o lo sono stati con prospettive molto diverse, io metterei in rilievo in primo luogo la relazione della regina con le figlie e i figli, la relazione con il re, l’interesse per il buon governo dei regni, la cura per la mediazione nei conflitti o nelle future tensioni tra la futura regina Giovanna e Fernando il Cattolico, l’insistenza sull’amore, il ruolo della lingua materna e la scrittura in questa lingua sia nei regni peninsulari sia in America. Il ruolo che conferisce alla formazione e all’esperienza. La cura e il proposito che si ascoltino i diversi gruppi socio-economici che formano i suoi regni, in molti casi senza riuscirci a causa della grande difficoltà di tenere insieme desideri e interessi tanto diversi. Il valore conferito al buon governo della casa e per estensione del regno, alla buona organizzazione, alla previsione. Ma anche, e come contrasto, il valore conferito al guerriero, a colui che rischia la vita in battaglia e in guerra, a suo marito, il re Fernando.
Parte de la historiografía coincide en señalar el profundo enamoramiento de Isabel y Fernando desde la primera vez que se reúnen, y del amor y, posiblemente, pasión que hubo entre ellos. La pareja formada por Isabel y Fernando fue una pareja fuerte, a pesar de algunas diferencias de temperamento, carácter y de las dificultades por la que pasó su unión por las infidelidades del rey, y ante otras múltiples situaciones difíciles. Isabel acepta y recibe a su cargo a los hijos e hijas naturales que Fernando había tenido, y se compromete no sólo a garantizarles su crianza y su dote, sino a sostener a sus madres. Sin duda este debió ser una decisión difícil para la reina, porque como escribe su hija, Juana, en una carta fechada el 3 de mayo de 1505, la reina, como ella, era una mujer celosa, hasta que el tiempo la cure.
Isabella e Fernando prenderanno molte decisioni insieme, e insieme staranno anche di fronte ai numerosi problemi e difficoltà che pone il governo dei loro regni; stanno vicini persino in situazioni di guerra, come quando Isabella aspetta suo marito nell’accampamento generale, mentre si combatte davanti a Toro contro il re del Portogallo (1476). Il primo marzo Fernando, a capo delle milizie popolari, attacca l’esercito portoghese e lo mette in fuga. Isabella aspetterà il risultato della battaglia nell’accampamento o nel quartier generale. Appena avuta la notizia della vittoria ordina di organizzare feste di ringraziamento nelle città e villaggi del regno e promette di costruire a Toledo la chiesa e il monastero di San Giovanni dei Re, che viene iniziato nel 1478.
Mi interessa qui sottolineare che la storiografia raccoglie il fatto menzionando la presenza della regina attorniata da quattordici dame. Isabella era sempre circondata da donne, sua madre, le sue figlie, le sue dame e damigelle e un’infinità di donne che erano al suo servizio e a quello della sua Casa. In momenti importanti per lei le fonti scritte e/o iconografiche la mostrano attorniata da dame, come si vede nel bassorilievo dell’Ingresso a Granada, dove si contano nove o dieci donne.
Isabella fu attorniata da donne a partire dalla morte del padre, Giovanni II, e in alcuni momenti ce ne sono parecchie nello spazio in cui si muove l’infanta Isabella, la futura Isabella I. Ad Arévalo, verso il 1454, poco dopo la morte del padre, ci sono tra le altre sua nonna, sua madre, sua zia Maria. Maria - sorella di suo padre - regina d’Aragona per quasi vent’anni, donna potente, aveva governato bene e con saggezza l’Aragona mentre Alfonso V, il Magnanimo, risiedeva alla corte di Napoli. Maria veniva ad Arévalo per mediare e negoziare con suo nipote, Enrico IV, in nome di suo cognato il re Giovanni di Navarra, fratello di Alfonso V. Maria regina d’Aragona e Maria, sorella di Alfonso V il Magnanimo e prima moglie di Giovanni II, erano state due donne importanti per la storia della Castiglia: entrambe regine e cugine, avevano fatto opera di mediazione in molti momenti, alcuni cruciali, nei variabili e a volte difficili rapporti tra Aragona-Catalogna e Castiglia.
Isabella si sente accompagnata da molte donne di fiducia che la possono consigliare, soprattutto quando sta ad Arévalo e a Madrigal dove passa una parte dell’infanzia, ma sarà accompagnata da alcune donne anche quando nel 1461 suo fratello, il re Enrico IV, trasferisce lei e il fratello Alfonso a Corte.
Sicuramente questa compagnia femminile a Madrigal e ad Arévalo durante i suoi primi dieci anni di vita fornì all’infanta Isabella, futura Isabella I, la stabilità e la padronanza di sé necessarie per il futuro. Le storie delle sue due famiglie le saranno certo state raccontate e spiegate da alcune di queste donne e le avranno dato un forte orgoglio del proprio lignaggio reale, un grande senso di quali fossero i suoi diritti legittimi, e un forte senso di responsabilità. Le avranno insegnato anche l’importanza della cura del corpo, l’importanza della bellezza, dell’ornamento, l’importanza di presentarsi in pubblico vestita in modo conveniente, e l’importanza di un portamento regale. Isabella, a differenza di altre infante e infanti reali castigliane e castigliani, aveva goduto in questo ambiente di Madrigal e di Arévalo, circondata dalla nonna, dalla madre e da altre dame, di una maggiore stabilità e intimità familiare, e aveva goduto anche di una grande attenzione e cura dei rapporti personali e di una lunga permanenza in uno spazio fisico, un “palazzo”, costruito con una misura molto umana, molto lontano da quello che sarà poi per esempio El Escorial o altri grandi palazzi, forse meno adatti a crescere le e gli infanti reali.
Isabella ideò e/o cercò di portare avanti una politica diversa per qualche aspetto da quella del re Fernando II d’Aragona, anche se ad alcuni e alcune storiche costa percepire o comprendere la differenza quando tracciano un profilo generale del regno. La politica ideata e tracciata da Isabella, se la si analizza da vicino, era differente. Da donna come era si interessò molto di più alle relazioni. Una parte importante del suo tempo e del suo stare al governo della Castiglia la dedicò a disegnare un complesso mondo di relazioni che in molti casi le permisero di sbrogliare grandi affari di stato. Stabilì relazioni con donne potenti e con altre che non lo erano tanto, e alcune le stabilì per necessità, necessità di governo, della sua Casa e del regno, ma molte altre le stabilì per il gusto di stare in relazione con un’altra donna. Con la sua ex damigella Beatriz de Bobadilla e con la sua nuova damigella - ormai da regina - Juana de Mendoza, con entrambe la regina sembra aver avuto una grande intimità e un rapporto di fiducia, che le permetteva di muoversi con grande libertà all’interno di quelli che erano i rapporti nella corte castigliana del momento.
Questa relazione stretta la percepiamo per esempio nella promessa che verso il 1466 Beatriz de Bobadilla fa alla principessa Isabella, quando Enrico IV pretende e vuole obbligarla a sposarsi con il vecchio ma ricchissimo ebreo converso, Pedro Girón, anche se il re diceva di volere molto bene a sua sorella Isabella.
La stretta relazione di Isabella con le sue damigelle e con altre dame della Corte e della nobiltà castigliana e non, favorì in molti casi la richiesta di mediazione in vari affari, che avessero o no a che vedere con il governo del regno. Così, Beatriz de Bobadilla, ormai contessa di Moya, si farà mediatrice con il marito Andrés Cabrera, e costui avrà un ruolo di rilievo nell’adesione della città di Segovia ai giovani principi nel 1473.
Un altro chiaro esempio è dato dalla mediazione della stessa regina, Isabella, su richiesta dell’infanta portoghese, Beatrice. Le due si incontrano alla frontiera, nel paese di Alcántara, e iniziano le conversazioni nel marzo 1479, per organizzare e stabilire la pace definitiva tra Castiglia e Portogallo, dopo lunghi anni di inimicizia a causa degli appetiti territoriali del monarca portoghese che prima aveva approfittato dei momenti di debolezza dovuti alle lotte tra i sostenitori della futura Isabella I e quelli di sua nipote Giovanna, la Beltraneja, e poi aveva appoggiato le pretese di Giovanna che permettevano ad Alfonso del Portogallo di dissimulare le sue intenzioni di conquistare terre castigliane. Due donne, Isabella I di Castiglia e l’infanta del Portogallo, Beatrice, operano una mediazione in un conflitto che era diventato quasi un conflitto intestino, e sicuramente decidono una politica di unione tra le due famiglie, politica che si realizzerà più tardi e che servirà a placare le ansie guerresche dei nobili e dei cavalieri dei due regni. La regina castigliana poteva certamente, per il suo rango e la sua situazione, non accettare la mediazione, ma Isabella dava troppo valore alla relazione tra donne per rifiutare l’offerta, e inoltre di sicuro lei poteva sentirsi vicina a una donna portoghese, sua madre era una portoghese che visse fino alla morte ad Arévalo, in terre castigliane. Entrambe sapevano che la loro mediazione sarebbe stata più positiva ed effettiva quanto a ottenere la lunga e desiderata pace di quella che avrebbero potuto portare avanti alcuni consiglieri di Isabella con i consiglieri di Alfondo del Portogallo. Inoltre, se i nobili di entrambi i regni e Fernando d’Aragona e i suoi accettarono la mediazione delle due donne, è perché sapevano che avrebbe dato frutto e portato la pace.
Isabel tiene in gran conto, nella sua politica, il come si relazionano le persone tra di loro. La segretaria di stato americana Madeleine Albright, una donna che ha operato nella politica seconda, quella maschile, ma in un luogo di grande rilevanza della politica internazionale di fine XX secolo, ha segnalato chiaramente alcune differenze del suo essere donna al momento di agire persino nella politica seconda. Albright segnala che lei come donna e anche altre in cui lo ha notato -e noi lo abbiamo visto analizzando alcuni passaggi della traiettoria di vita di Isabella di Castiglia-, hanno o possono avere una maggiore capacità di visione periferica, sono o siamo capaci di tener conto e di accostarci ad aspetti che non sono sempre presenti davanti a noi e di sviluppare o cercare di sviluppare qualche tipo di consenso.
Isabella, pur dando autorità come re e come politico a suo marito Fernando, riconosce anche autorità ad altre donne. Riconosce autorità alla Latina, Beatriz Galindo, alla sua maestria nel latino, e le affida il figlio e le figlie perché insegni loro questa disciplina, e lei stessa diventa sua allieva; e riconosce autorità anche a donne come Beatriz de Bobadilla, Juana de Mendoza ecc., al loro sapere come mediatrici, al loro sapere come organizzatrici, come damigelle e come incaricate di affari concreti, per esempio a Juana de Mendoza come responsabile dell’ospedale da campo fondato dalla regina.
La regina cercherà di mantenere i sentieri che si era tracciata arrivando al trono e altri che andava tracciando nel corso della vita, i sentieri che sceglie e che le vengono suggeriti dal re, suo marito, dalle sue consigliere e dai suoi consiglieri e da quelle e quelli che si dedicavano al compito di governare rettamente la sua Casa e il suo Regno. Ci saranno almeno due momenti in cui la regina si farà guidare dalla politica del desiderio, si metterà al centro, la sua vita ordinerà il mondo, “metterà al mondo il mondo”. Ci sono almeno due desideri grandi che la futura regina Isabella I vuole realizzare e realizzerà; il primo, o meglio, entrambi, sono due desideri d’amore. L’amore, o la ricerca d’amore, la guida nella scelta del futuro marito, e l’altro desiderio è l’amore per il sapere, per la conoscenza, la sua innata curiosità. Questo secondo desiderio lo realizzerà in parte, ormai adulta, da regina. Cercherà la latinista Beatriz Galindo, conosciuta come la Latina, perché insegni all’infante e alle principesse, ma anche perché insegni a lei il latino bene come lo sapeva suo padre, il re Giovanni. Isabella desidera dominare il latino per poter conoscere di più e meglio e per capire bene la letteratura e i trattati di suo gusto. Dell’educazione di Isabella all’inizio furono incaricati alcuni francescani osservanti del convento che si trovava fuori le mura del borgo di Arévalo. In questo convento c’erano tra gli altri Alfonso de Madrigal el Tostado, erudito e teologo, e anche Lope de Barrientos, arcivescovo di Cuenca, confessore di Giovanni II a cui il vecchio re raccomanderà la supervisione dell’educazione della futura Isabella I e dell’infante Alfonso.
Sappiamo che Isabella ricevette il consueto “addestramento nelle arti domestiche” riservato alle donne, ma che, come abbiamo già accennato, non le fu insegnato a leggere e scrivere bene né in latino né in castigliano [spagnolo], la sua lingua materna. Isabella imparerà a leggere e scrivere bene in entrambe le lingue ormai da adulta e da regina. La sua lingua materna, il castigliano, sarebbe la lingua che avrebbe ascoltato dalla sua balia, dalla sua governante e da altre dame castigliane della corte; ma avrebbe anche ascoltato già dal ventre materno il portoghese, la lingua di sua madre, una delle lingue che si parlavano in casa. Pare che da bambina non le avessero insegnato a leggere e a scrivere nemmeno in questa lingua. Però sappiamo che in castigliano - e forse alcune volte anche in portoghese - avrebbe ascoltato le numerose leggende, racconti, poemi, storie e cronache sulla vita di cavalieri che lottano contro gli infedeli, e anche numerose storie di vite di sante e santi. Vite di sante che dovevano servire da modello di perfezione per qualunque bambina, e tanto più per una principessa. Ma è possibile che Isabella, una bambina e poi un’adolescente molto attiva e di carattere vivace, con queste vite imparasse subito il gusto per l’azione, più che per la passività, e imparasse ad ammirare quelle donne che riuscivano a dominare la volontà ed essere disciplinate. L’avrebbe visto anche in una storia di vita che cominciava a circolare per la penisola, sia nelle terre castigliane sia in quelle catalano-aragonesi, la vita di Giovanna d’Arco. La vita di Giovanna, conosciuta in Castiglia come la poucella (la pulzella) ebbe una grande accoglienza in Castiglia. Nell’ambito della corte sappiamo che lo stesso Giovanni II l’ammirava oltremodo, come anche altri cortigiani. Tra questi andrebbero citati Chacón, l’autore della cronaca di don Álvaro de Luna, lo stesso Álvaro de Luna, e uno dei più stimati consiglieri del re, il suo segretario Rodrigo Sánches de Arévalo. Sánches de Arévalo era stato ambasciatore presso la corte papale e presso quella francese, e aveva conosciuto direttamente le vicende di Giovanna d’Arco. Non sappiamo con certezza se tra i consiglieri di Giovanni II che contribuirono all’educazione dell’infanta e dell’infante ci fosse il citato chierico Rodrigo Sánches de Arévalo -diplomatico e scrittore- che per la sua esperienza personale era decisamente favorevole a dare a Isabella una istruzione formale, ma certo ebbe un’influenza sulla grande ammirazione di Isabella per Giovanna d’Arco. Giovanna d’Arco era per Isabella un modello di vita e di azione, una delle aspirazioni della principessa. Qualunque sia stata l’istruzione formale ricevuta da Isabella, quasi inesistente almeno nella sua infanzia, fu una bambina fortunata: non fu allontanata dalla cerchia di sua nonna, sua madre e delle altre donne della corte di Arévalo, non fu allontanata dalle varie e ricche realtà della vita offerte dal vivere in un borgo piccolo ma crocevia di importanti strade commerciali. Varie e ricche realtà che Isabella senza dubbio dovette cogliere velocemente, perché era -come riferiscono un buon numero di cronache e la storiografia- una bambina intelligente, curiosa, osservatrice, che dovette apprezzare il molto che poté imparare vedendo il mondo dal luogo della sua infanzia -Arévalo- attorniata da tante donne e alcuni uomini che le prestarono attenzione e affetto. Da questo borgo dell’interno della Castiglia, Isabella avrebbe cominciato a scoprire come la Chiesa e la religione, con le festività, le cerimonie e il rituale, marcavano i giorni, le ore, gli avvenimenti e i cicli dell’anno. La religione marcava e influiva sul comportamento, arrivando fino alle emozioni, e cercava di spiegare i rapporti umani, il mondo naturale e l’universo. Isabella visse in seno a una famiglia pia, a contatto con frati devoti, abituata alla devozione marcata dalle chiese di Arévalo, le cui campane reggevano i suoi giorni. La chiesa parrocchiale del borgo, come era tradizione in molti altri abitati della corona di Castiglia, aveva le fondamenta sui resti dell’antica moschea ed era dedicata a San Michele, l’arcangelo militante. Un’altra chiesa di Arévalo era dedicata a Santa Maria dell’Incarnazione, perché la dottrina del’Incarnazione era respinta dai mussulmani. San Michele e Santa Maria dell’Incarnazione significheranno ad Arévalo come in altre città, borghi e paesi castigliani, l’affermazione cristiana di fronte agli “infedeli”. Come mostra il suo testamento, Isabella avrà tra le sue preferenze queste devozioni, e probabilmente influirà -non sappiamo in che misura- sul fatto che le moschee di Granada portino questi nomi.
Isabella, ormai regina, nota la mancanza di istruzione e si preoccupa di non aver ricevuto quella indicata per i principi e, come abbiamo segnalato, suggerita da alcuni consiglieri di suo padre e poi suoi. Doveva aver imparato le lettere, che completavano l’educazione di una come lei di alti natali, perché questo avrebbe giovato alla buona immagine reale, e anche il latino necessario per intendere meglio i migliori scritti sulle leggi e sull’arte di governo e della guerra, il latino che suo padre - Giovanni II - aveva imparato. Per dare esempio, la regina imparò le lettere e il latino. Isabella era una grande lettrice e diede impulso alla relativamente nuova arte della stampa.
Isabella I governa da donna, si occupa della sua Casa e del Regno in modo differente rispetto a come lo fa suo fratello il re Enrico. Ormai regina, e pertanto a capo della famiglia reale, deve combinare i matrimoni dell’infante e delle principesse sue figlie. Come madre cerca, oltre che di combinare nozze di stato, di fare in modo che questi accordi abbiano, in qualche maniera, l’approvazione minima delle sue figlie. Sappiamo che andò così quando la primogenita, Isabella, rimase vedova. Isabella I aveva promesso all’infanta di non spingerla a un nuovo matrimonio e di permetterle di condurre una vita ritirata e di intensa vita spirituale nel convento o casa di sua scelta. Isabella intercederà con sua figlia vedendo gli argomenti che il delegato portoghese sfodera: costui ricorre alle qualità della principessa, all’affetto professatole dai portoghesi e al grande sostegno morale che significherà per la gente di questo regno, e inoltre aggiunge che la principessa ha l’età e la capacità di dare l’erede di cui il trono portoghese ha bisogno. Isabella I, pur avendo dato la sua parola di madre e di regina, e pur sapendo che la principessa era presa da un progetto spirituale concreto -era legata alla vita beghina, esperienza che dava una dimensione spirituale profonda alla vita di alcune donne che non volevano fare professione in un ordine monastico e volevano restare in qualche modo dentro il mondo delle laiche-, arriva a un’intesa o a un patto con la figlia. La regina sapeva che la principessa Isabella aveva una volontà ferma e decisa e solo il suo intervento come madre e come regina l’avrebbero fatta cambiare ragione di vita. Evidentemente la regina non presentò solo ragioni politiche, come facevano alcuni consiglieri, ma anche ragioni religiose: la principessa con la sua posizione -di nuovo- di regina del Portogallo poteva influire decisamente sull’adozione di una politica di unità religiosa come quella di Castiglia, in un momento in cui le imbarcazioni erano pronte a partire verso le coste dell’india, e quando il Portogallo stava diventando il rifugio di numerosi ebrei conversi in fuga dall’Inquisizione. Queste e altre ragioni di ordine politico-religioso e familiare -e sarebbe senza dubbio una di queste il fatto di aiutare sua madre come regina- convinsero la giovane principessa Isabella, che acconsentì a sposarsi con Manuel del Portogallo e a dargli gli eredi che costui sperava.
Il testamento e altri documenti permettono anche di valutare la stretta e speciale relazione che la regina Isabella stabilirà con la figlia Giovanna. Una relazione che probabilmente è mediata a quella con la stessa madre della regina Isabella, Isabella del Portogallo, poiché sembra che nel comportamento a volte difficile da interpretare di sua figlia Giovanna la regina riconoscesse modi di fare di sua madre. Rammentava così con nostalgia i suoi anni a Madrigal e ad Arévalo, il periodo che io chiamo dello spazio “tra donne”, erano gli anni sessanta del XV secolo e Isabella aveva allora undici anni. Di nuovo, qualche anno più tardi, recupera questo spazio: a diciassette anni torna a incontrarsi con il fratello Alfonso - a cui era molto unita fin da bambina - e con sua madre ad Arévalo, con le sue dame, damigelle, serve e domestiche. Al calore di quello che lei considera il suo focolare, organizzerà i festeggiamenti per l’undicesimo compleanno del re-bambino Alfonso. Ad Arévalo, libera dagli sguardi indagatori della corte di Enrico IV, si sente di nuovo vicina alla vita e organizza il compleanno del fratellino, l’infante Alfinso. Nella festa si svolge una colorita rappresentazione poetica in maschera, chiamata momo. Per il testo, Isabella dà personalmente l’incarico a Gómez Manrique, uno dei grandi poeti del momento, che compose un testo che si è conservato.
Oltre che poeta, Gómez Manrique è un uomo di fiducia dei Re, ed è anche un buon testimone della Castiglia del suo tempo, inoltre svolse l’ufficio di podestà di Toledo. Il suo libro Regimiento de príncipes, pubblicato nel 1482, lo dedica a Isabella e Fernando. Nel trattato il poeta fa numerose raccomandazioni per il buon governo, tra cui quella che è necessario punire di meno, e ridurre le manifestazioni di crudeltà e di avarizia nella pratica di governo. Molto interessanti alcune raccomandazioni che fa alla regina: di anteporre gli impegni di governo alle pratiche pie, alle orazioni e ai sacrifici e mortificazioni del corpo. La dedizione di Isabella al governo della sua Casa e della Castiglia e all’organizzazione dei nuovi territori conquistati è fuori discussione, ma Gómez Manrique la dipinge come una sovrana profondamente preoccupata della propria vita spirituale e religiosa, preoccupazione che come sappiamo trasmette alle figlie. È una preoccupazione che si percepisce chiaramente nel testamento, nel momento in cui deve preparare la sua anima affiché sia ricevuta in Paradiso. La preoccupazione per la vita spirituale probabilmente si trasmetteva da alcune generazioni di donne della famiglia reale. Molte infante castigliane entrarono in conventi o vi passarono lunghi periodi; chiari esempi ne sono la sorella di Isabella, Caterina, che abitò in un convento di Madrigal, e la figlia primogenita di Isabella I, l’infanta Isabella, che passò lunghi periodi in un beghinaggio di Madrigal.
Ma Isabella non era solo una donna preoccupata per la vita spirituale, era anche una donna a cui piacevano le feste, secondo le fonti e la storiografia. Se, come abbiamo già ricordato, il compleanno del fratellino Alfonso offrì alla allora principessa l’occasione di organizzare una festa-teatro, questa non fu l’unica occasione in cui la vediamo - principessa o regina - predisporre o partecipare a festeggiamenti. Da regina non trascurava, quando l’occasione lo richiedeva, brillanti messinscene che sottolineassero l’importanza del suo ruolo di sovrana e l’importanza della monarchia. A quanto pare Isabella sapeva usare molto bene la propaganda e sapeva quali ne erano gli effetti. Il fatto che riferisco di seguito lo mostra. Il 3 aprile 1475 organizza a Valladolid un grande torneo in cui riesce a riunire la crema della nobiltà castigliana per competere davanti a un grande numero di abitanti della città castigliana. La sfilata e lo stesso torneo sono brillanti, e nel combattimento si distinguono il duca d’Alba e il re Fernando. La regina compare circondata da un corteo di quattordici dame e sale sul palco cavalcando un pony bianco, che porta una gualdrappa lavorata tutta in argento e fiori d’oro, vestita di broccato e con la corona. Isabella aveva allora ventiquattro anni e i cronisti, in particolare Hernando del Pulgar, la descrivono come una donna bella; in alcuni dipinti che la ritraggono vediamo che era una donna con una bella capigliatura biondissima e con occhi azzurri. Immaginiamo che la seduzione esercitata dalla regina in questa manifestazione pubblica e in altri momenti dovette essere davvero importante, inoltre lei sapeva molto bene come si valorizzavano le regine, le principesse e i principi e i simboli di posizione e di potere: Isabella comprese rapidamente il potere e l’autorità impliciti in una dimostrazione di splendore.
Isabella comprese il peso del colore, del visivo nella società e nella cultura del suo tempo. Lo dimostra in molte occasioni, per esempio ad Alcalá, quando la primavera stava per finire e si affacciava l’estate del 1472, durante una visita di alcuni ambasciatori di Borgogna. La regina riceve gli ambasciatori abbigliata di velluto, raso e gioielli, e all’udienza successiva appare vestita in maniera ancor più elegante e squisita, sfoggiando la grande collana di rubini, attorniata da dame e cortigiani. Isabella organizzò una splendida accoglienza ai rappresentanti della Borgogna, ci furono danze e, come usava quando Fernando era assente, la regina ballò con le sue dame. La visita degli ambasciatori si prolungò e questo permise ai visitatori di apprezzare i magnifici vestiti e manti della regina. A una corrida di tori offerta ai visitatori, la regina si presentò con un vestito cremisi, la cui gonna era ornata di fasce d’oro, e un manto di raso plissettato, e con una collana d’oro e una grande corona circondata da un’altra incastonata di gioielli; le guarnizioni del cavallo erano d’argento dorato. I borgognoni furono fortemente impressionati: Isabella, regina di Castiglia, era una gran signora.
Per finire, possiamo dire che una delle ragioni che guidano il cuore e la mente di Isabella negli ultimi anni di regno, ormai molto malata, e negli ultimi giorni di vita, come riporta nel testamento, è l’amore e la preoccupazione per sua figlia, la regina Giovanna I. Isabella si preoccupa, soffre e se ne occupa nei giorni prossimi alla morte, e con le disposizioni testamentarie vuole tracciare delle linee d’azione che stabiliscano in modo chiaro i diritti di Giovanna e quelli di suo marito, Filippo il Bello. Isabella continua a cercare di capire le ragioni e/o i torti che muovono il comportamento di sua figlia, e vuole aiutarla e trovare mediazioni tra lei e l’ambiente, a volte francamente ostile, che circonda la principessa. Un ambiente quasi senza donne e uomini di sua fiducia che possano aiutarla e consigliarla nelle difficili decisioni che deve prendere quotidianamente come erede al trono di Castiglia e come principessa consorte del sovrano dei Paesi Bassi, Filippo il Bello. Giovanna, come segnala Bethany Aram, non dispone di una Casa propria, nel pieno senso della parola; o meglio non le hanno permesso di disporre di un corpo di dame e serve e domestiche né di consigliere, consiglieri, consulenti e funzionari che la potessero assistere nella sua Casa, nominate e nominati da lei e di sua esclusiva fiducia. È probabile che Giovanna finisse per sviluppare qualche tipo di comportamento semi-patologico, provocato in parte dagli intrighi permanenti di quanti la circondavano. Suo padre, Fernando, in molti casi agì mosso dalle per lui inappellabili ragioni di stato e da interessi personali, e suo marito, Filippo, fece lo stesso. Giovanna poté contare solo su sua madre; solo sua madre, finché visse, le servì da sostegno e appoggio diretto oppure attraverso le sue consigliere e i suoi consiglieri.
Il testamento di Isabella I rende conto tra le righe, di sbieco, di una permanente reiterazione della cura e dell’affetto da lei poste nelle disposizioni che riguardano sua figlia. Isabella ha mediato tra il re, Fernando, e Giovanna, e continua a farlo nel testamento. Prega e comanda a sua figlia di appoggiarsi all’esperienza politica di suo padre e di accettare le decisioni che egli prenda, insistendo molto sul rispetto e l’amore che lei gli portava e gli portò per tutta la vita, perché servisse di esempio alla principessa Giovanna.
Sarebbe interessante se le allieve e gli allievi valutassero e confrontassero il testamento di Isabella I di Castiglia con quello di suo marito Fernando II d’Aragona. Potranno apprezzare come dietro un formulario diplomatico e un linguaggio stereotipato si percepisca la differenza sessuale nella storia, come si possano trovare le sostanziali differenze tra l’essere donna e l’essere uomo alla fine del Medioevo. Vedranno come il testamento di Isabella si articola in gran parte attorno alla relazione madre-figlia. Il testamento permette di valutare che la cosa più importante è la sua relazione di madre, di regina e di madre, con sua figlia Giovanna. Di madre perché in non poche occasioni i loro modi di fare entrano in conflitto, e di regina perché sa che l’agire di Giovanna non è capito - da lei stessa in certi casi - ma soprattutto dal re Fernando e da altri e altre che hanno molto peso nelle decisioni riguardanti il governo delle donne e degli uomini non solo della Castiglia ma anche delle nuove terre scoperte, e questo può mettere in pericolo Giovanna I come regina e il governo e il futuro della monarchia in Castiglia. Vedranno come Isabella si mette in gioco come donna ed entra in rapporto con un numero notevole di donne e con uomini nell’esercizio del potere di governo e nell’esercizio di autorità, e tutto questo lo fa in lingua materna.
Regno di León.
Regno di Aragona.
Regno di Sicilia. Isabella I portò il titolo di regina di Sicilia per il suo matrimonio con Fernando d’Aragona, re di Sicilia dal 1468, cioè un anno prima delle nozze.
Regno di Granada.
Era stata damigella di Isabella quando Isabella era principessa.
Con questa espressione erano conosciuti i regni di León e di Castiglia.
Il 13 dicembre 1474, a Segovia, Isabella è proclamata “regina e proprietaria” di Castiglia, e Fernando è riconosciuto suo “legittimo marito”. Il patto di Segovia del 15 gennaio 1475 stabilisce le norme per il governo del regno: “Secondo le leggi e il costume usato e tramandato in Spagna, questi regni doveva ereditarli la regina, come figlia legittima del re don Giovanni, benché fosse donna, in quanto era erede in linea diretta discendente dei re di Castiglia e León, e non potevano appartenere a nessun altro erede, benché fosse uomo, se era in linea collaterale. Ugualmente, si stabilì che a lei, come proprietaria, apparteneva il governo del regno” (H. del Pulgar, Crónica de los Reyes Católicos, ed. di J. de Carriazo, 2 voll., Madrid 1943, cap. XXI).
È stata tradizionalmente considerata la data conclusiva dell’annessione dei territori andalusi ai regni di Castiglia e di Aragona, e può essere anche considerata la data d’inizio dell’espulsione della popolazione mussulmana dalle terre della Penisola.
Il trattato di Alcoçavas - 4 settembre 1479 - mette fine alla guerra (interna ed esterna) iniziata dopo la morte di Enrico IV: Isabella e Fernando sono riconosciuti re di Castiglia, Giovanna la Beltraneja rinuncia ai suoi supposti o non diritti e viene obbligata a passare il resto della sua vita in un convento a Coimbra (dove muore nel 1530), la Castiglia accetta l’espansione portoghese in Africa, e si pattuisce il matrimonio dell’infante Alfonso, principe ereditario del Portogallo, con l’infanta Isabella, figlia dei Re Cattolici.
Durante il regno di Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona inizia il lungo esodo obbligato degli uomini, donne, bambini e bambine di religione ebraica ma nativi dei diversi regni in cui era divisa la Penisola. I re firmarono il decreto di espulsione che doveva essere eseguito nel corso del 1492.
L’inquisizione castigliana cominciò a funzionale a partire dal 1478.
Intendendo il concetto nella sua più ampia accezione di insieme di saperi ed esperienze che una generazione trasmette a quella successiva.
Per colonizzazione intendo l’organizzazione territoriale, amministrativa e politico-religiosa delle nuove terre conquistate.
Nel corso degli ultimi secoli medievali e agli inizi dell’età Moderna si verifica quello che noi storiche e storici chiamiamo l’ampliamento dell’orizzonte geografico. Alcuni paesi dell’Europa occidentale prendono l’iniziativa di esplorare l’immensità oceanica, in parte per dare uno sbocco all’arretramento del mondo cristiano occidentale di fronte all’avanzata turca. Durante il XV e il XVI secolo si effettuano numerose spedizioni formate da uomini e da alcune donne che permettono di conoscere nuove terre e che le mettono sotto il dominio politico delle monarchie dei paesi a cui appartengono. Si inquadra in questa dinamica l’annessione delle Isole Canarie alla Corona di Castiglia.
“Fino al sec. XII e oltre la lingua detta molto giustamente materna perché s’impara venendo al mondo e, di solito, da chi ci mette al mondo, era solo parlata. Era la lingua dell’infanzia e della vita quotidiana, sia domestica sia comunitaria, la lingua delle donne, la lingua del lavoro, degli scambi correnti, delle feste non liturgiche, della poesia popolare, dell’amore e dei sogni, e viveva indipendentemente dalla lingua scritta, il latino, che era la lingua della Bibbia, della Chiesa, degli studi, delle leggi, degli atti pubblici, lingua familiare ai pochi che sapevano leggere o scrivere, e ai pochissimi che possedevano libri” (Luisa Muraro, Lingua materna scienza divina, D’Auria, Napoli 1995, pp. 78-79; e “L’allegoria della lingua materna” in E.-M. Thüne (a cura di), All’inizio di tutto la lingua materna, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, pp. 39-56; e L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 37-87). Vedi anche: Chiara Zamboni, “Lingua materna tra limite e apertura infinita”, in E.-M. Thüne (a cura di), All’inizio di tutto, cit., pp. 113-134; M. Milagros Rivera Garretas, “Dos dones divinos: el tiempo y la palabra” in Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria, Barcellona 2001, pp. 61-62.
Come segnala sempre Clara Jourdan della Libreria delle donne di Milano.
Isabella risponde una volta a Fernando: “che mai per nessun motivo aveva voluto causare la benché minima contrarietà al suo amatissimo consorte, per la cui felicità e onore sacrificherebbe degnamente e debitamente non solo la corona, ma la propria salute”. E lo prega “di non separarsi dall’amante sposa, causando la disgrazia di colei che non poteva né voleva vivere lontano dall’amatissimo consorte”. Fernando ascolta gli argomenti e resta accanto alla regina (F. Pérez de Guzmán, Generaciones y Semblanzas, ed. R. B. Tate, Londra 1950, pp. 40-41, cit. in P. K. Liss, Isabel la Católica. Su vida y su tiempo, Madrid 1992, p. 104).
Vid. LYSS, P. K., Isabel La Católica. Su vida y su tiempo, Madrid, Neréa, p. 103.
Isabella e Fernando si vedono per la prima volta nella dimora signorile di Juan de Vivero in cui alloggiava la giovane principessa, e questo edificio ospiterà più tardi la futura cancelleria reale, la Regia Cancelleria di Valladolid.
Anónimo, Crónica incompleta de los Reyes Católicos (1469-1476), ed. Julio PUYOL, Madrid, 1934, p. 145.
PULGAR, H. del, Crónica, cap. 22.
Probabilmente, tra i momenti delicati che dovettero passare nelle loro convivenza andrebbe citato quando la regina viene a sapere delle infedeltà del marito, e con una grande prova di amore e generosità accoglie e si fa carico delle figlie illegittime di Fernando.
A partire dal 1468, dopo la morte del fratellino, l’infante Alfonso, cambia l’intestazione delle sue lettere che ora sarà: Isabella, per grazia di Dio principessa e legittima erede successora di questi regni di Castiglia e León.
Pare che verso la metà del suo regno rinasca nella politica della regina Isabella e dei suoi consiglieri un ideale di crociata, senza dubbio influenzato da quelli e quelle che rappresentavano la parte meno aperta e libera dello spirito religioso castigliano. La storiografia è concorde nel segnalare che la regina ebbe un ruolo importante nel rafforzamento dell’autorità reale e nella guerra di Granada, soprattutto a partire dal 1486; ma non va tralasciata l’influenza di un rigido spirito religioso, poco dialogante e poco aperto, che in certi momenti finirà per impregnare l’attività politica della regina e di alcune e alcuni di coloro che appoggiarono la politica della corona in questi anni. Isabella I diede impulso alla riforma della Chiesa, furono riformati tutti i monasteri, conventi e case di religiose e religiosi, e dal 1478 l’Inquisizione si istallò nei suoi territori. Sembra che questa strada segnata dall’influenza di alcuni ecclesiastici intransigenti abbia condotto gli affari politici del regno, anche se ci vorrà ancora del tempo prima che si spenga la fiamma della libertà conservata e portata da molte donne e uomini religiosi o laici che erano stati, e in parte ancora stavano, vicino alla regina. Ma l’indirizzo riformatore e intransigente si fisserà su due misure che furono particolarmente negative per i suoi regni e avranno profonde ripercussioni, l’espulsione degli ebrei e l’inasprirsi delle misure contro i mussulmani di Granada. La storiografia ha sottolineato in particolare queste due azioni del regno di Isalbella e le ha attribuite esclusivamente a lei. Ma, da un lato, la regina non regnava da sola bensì con il re e un buon numero di consiglieri laici ed ecclesiastici, e, dall’altro, è necessario sottolineare che in altri momenti lei aveva auspicato e appoggiato una politica molto più rispettosa e dialogante. E, sebbene sia possibile che la regina matrocinasse e autorizzasse l’impresa di Colombo inflluenzata dal rinascere dell’ideale di crociata che dominava la politica di buona parte della fine del suo regno, è anche vero che si preoccuperà fino alla fine della sua vita, e in modo esplicito nel testamento, al fine di evitare gli abusi dei colonizzatori delle nuove terre contro gli indiani che ne erano gli abitanti naturali.
Rivolte di Toledo (1449), Ciudad Real (1449 e di nuovo nel 1477), Sepúlveda (1468 e 1472), Segovia (1473, 1474) e in diversi paesi e città dell’Andalusia a partire dal 1473 (Cordova, Cabra, Jerez ecc.).
Dice Diego de Valera -storico, teorico della cavalleria cristiana e maestro di casa della regina Isabella- quando parla di Cordova: “I nuovi cristiani di questa città erano molto ricchi e li si vedeva continuamente comperare cariche pubbliche, di cui si valevano con superbia, in modo tale che i cristiani vecchi non lo potevano sopportare” (cfr. N. López Martínez, Los judaizantes y la Inquisición, Burgos 1953).
Tra altre questioni che attraversano questa epoca storica in tutta Europa, e a mo’ di esempio, vorrei ricordare queste: si mette in discussione, ancora, con maggiore intensità, il ruolo delle creature umane sulla terra, nel mondo (di più, cominciano ad affiorare elementi di contrapposizione tra la fede e la ragione), continuano a svilupparsi nuove forme di potere, e si discute il valore della libertà individuale di fronte al potere dello Stato, ecc.
Isabella scelse di stare con Fernando come donna e come regina, e desidera e vuole stare vicino a lui, se così desidera il re, anche nella tomba. Lo dice nel testamento: “...ma voglio e comando che se il re, mio signore, scegliesse sepoltura in qualsiasi altra chiesa o monastero di qualsiasi altra parte o luogo dei miei regni, il mio corpo sia trasportato lì e sepolto vicino al corpo di sua signoria perché la coppia che formiamo in vita la formino le nostre anime nel cielo e la rappresentino i nostri corpi in terra”.
Lotte che si inquadrano nel conflitto con il Portogallo e i tentativi del monarca lusitano di occupare terre castigliane e anche appoggiare le pretese al trono della nipote di Isabella, Giovanna detta la Beltraneja. Lo scontro si prolunga fino alla sconfitta dei portoghesi ad Albuera nel febbraio 1479.
Fernando sarebbe per Isabella come quei cavalieri cristiani le cui avventure si mantenevano vive nelle romanze e leggende popolari che cominciavano ad essere di moda a Corte. Non sappiamo quante volte Isabella nella sua infanzia a Madrigal e ad Arévalo avrà ascoltato quei poemi orali e anche i racconti di qualche cavaliere -o di qualche soldato della guarnigione di Arévalo- sulle gesta nel conflitto di frontiera contro i mussulmani. Questi racconti, romanze, poemi, leggende e anche cronache trasmetteranno la nostalgia per un passato eroico e non troppo lontano, e il desiderio di imitarlo e di dedicare la vita alla conquista.
Numerosi ritratti o raffigurazioni di Isabella I riprendono questa cura e bellezza della regina, secondo i canoni dell’epoca. Il Maestro de Manzanillo, un pittore castigliano del XV secolo, nella tavola in cui ritrae i re poco dopo le nozze, coglie particolari che sono stati messi in risalto da cronisti e storici: la carnagione bianchissima della regina, i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari. Gli occhi e i capelli scuri di Fernando. Una descrizione particolareggiata della regina Isabella - a vent’anni - la fa il suo segretario, il cronista Hernando del Pulgar: “Ben conformata nella persona e nella proporzione delle membra, molto bianca e bionda; gli occhi tra i verde e l’azzurro, lo sguardo gentile e onesto, i lineamenti del viso ben disposti, il volto tutto molto bello e gaio”. La descrizione di H. del Pulgar e la tavola del Maestro de Manzanillo ci trasmettono un’immagine piuttosto coincidente. Anche un altro ritratto conservato a Madrigal riprende questi anni dell’epoca delle nozze dei giovani monarchi, ben somiglianti ed entrambi vicini di età.
Isabella non si costruì mai un grande palazzo reale, la sua corte fu essenzialmente itinerante; invece, grazie al suo matrocinio abbiamo ricevuto, come lascito all’urbanismo e all’arte, alcune magnifiche costruzioni di ospedali e monasteri. I monarchi castigliani non legarono il loro potere a nessun palazzo, nemmeno durante il regno di Isabella e Fernando: la concezione del palazzo come simbolo del potere reale è più propria di altre monarchie, come la francese, e nella Penisola sarà un’idea che si imporrà nell’Età Moderna. Per rendere conto dell’attività edilizia e artistica in generale matrocinata dalla regina, basta solo ricordare tra i monasteri quello di san Giovanni dei Re di Toledo, e tra gli ospedali quello dei Re Cattolici a Santiago de Compostela e quello della Santa Croce di Toledo. L’interesse della regina per l’assistenza si percepisce chiaramente nella preoccupazione di organizzare quello che - a quanto sappiamo - è stato uno dei primi ospedali da campo della storia: un ospedale installato al fronte, sulla frontiera della lotta contro i mussulmani, per l’assistenza ai feriti. Dietro a questo ospedale ci sarà sempre l’Ospedale della Regina, dove si trova Isabella, per disporre di un’assistenza più accurata. Questi ospedali erano equipaggiati con abbondante materiale sanitario, la cui responsabile era nientemeno che la damigella della regina, Juana de Mendoza. Sappiamo da Pietro Martire d’Angleria, il cronista italiano, che la regina visitava quasi ogni giorno questi ospedali, specialmente quello da campo quando si trovava all’accampamento o al quartier generale del fronte (cfr. J. Dumont, La “incomparable” Isabel la Católica, Madrid, 1993, p. 143).
Anche l’emblema dei re, simbolo del nuovo ordine, della nuova monarchia, mostra la differenza. L’emblema unisce il giogo del potere, simbolo di Fernando, con il fascio di frecce, simbolo della giustizia, emblema di Isabella. Questo emblema, che sarà riprodotto su numerosi monumenti e nella moneta corrente, il reale d’argento, è accompagnato a volte dal motto suggerito a Fernando da Nebrija: Tanto monta [Tanto vale]. Motto che si riferisce al nodo gordiano che Alessandro Magno tagliò dopo aver tentato invano di slegarlo, per cui il senso del motto è “tanto vale tagliare come slegare”.
Vid. RIVERA GARRETAS, M.- Milagros, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000. Barcellona, Icaria, 2001.
Beatriz de Bobadilla fu damigella di Isabella quando la futura regina era principessa di Castiglia; Beatriz le era legata al punto da prometterle di usare la sua daga e uccidere con le sue mani Pedro Girón se Enrico fosse riuscito a obbligare la principessa a sposarlo. Pedro Girón, vecchio e molto ricco, fu uno dei pretendenti della giovane principessa che allora aveva solo quindici anni. Isabella era sicuramente inorridita e senza dubbio questo spinse Beatriz a prometterle di salvarla in extremis dal pericolo. Isabella si occupò, come nel caso di altre dame, di cercarle marito tra i nobili e alti funzionari della Corte e del Regno. Beatriz si sposò con il governatore di Segovia e della sua fortezza, Andrés Cabrera, conte di Moya. L’attività della regina e in qualche caso del re per favorire l’unione di dame della corte con alti funzionari, nobili e personaggi di grandi lignaggi, è ben documentata. La regina, e in questo caso anche il re, furono padrini di battesimo dell’ex governatore mussulmano di Baza, Al-Nayar, quando si convertì al cristianesimo con il nome di Pedro de Granada, e favorirono anche il suo matrimonio con la dama di corte Maria de mendoza: Questa relazione privilegiata di Isabella con alcune delle dame della sua cerchia le permise di governare la Casa e il Regno in un’altra maniera, in una maniera differente da quella di suo padre, da quella di suo fratello, Enrico, e da quella di suo marito, Fernando.
Lo stesso Enrico scriveva: “Molto virtuosa mia signora e sorella [...] vi supplico di ricordarvi sempre di me, dato che non avete persona al mondo che vi ami quanto me...” (Lettera autografa dell’Archivio Generale di Simancas, citata da T. de Azcona, La elección y reforma del episcopado español en tiempo de los Reyes Católicos, Madrid, C.S.I.C., 1960, p. 119).
Cfr. DUMONT, J., La “incomparable” Isabel la Católica, pp. 39-40.
J. M. Calvo, “Madeleine Albright. La mujer que fue Estados Unidos”, El País Semanal, n. 1447, domenica 20 giugno 2004, p. 17.
Isabella iniziò a studiare latino durante la guerra di Granada, e pare che nel giro un anno ne sapesse già abbastanza da poter percepire se qualche predicatore o ragazzo del coro non lo pronunciasse correttamente, e prendere nota per correggerlo in seguito (cfr. P. K. Liss,Isabel la Católica, cit., p. 246).
Lia Cigarini, La politica del desiderio, Parma, Pratiche, 1995.
Diotima, Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 1990.
Ma è stata anche una fortuna per la regina che Isabella non sempre desse retta, o non del tutto, alle ragioni di stato di suo fratello il re Enrico IV, bensì alle ragioni del suo cuore. Farà così quando sceglierà il marito, sfuggendo ad mercato matrimoniale a cui voleva costringela Enrico. Se chi si sposa è lei, sarà lei a scegliere: Isabella si sposerà con chi vuole lei. La principessa è ben informata, ed è una bella donna, e sceglierà un uomo che lei considera attraente, l’erede d’Aragona, Fernando. Riprende così un’idea iniziale dello stesso Enrico, unire Castiglia e Aragona. Può esserci il suo cuore nella decisione, ma le ragioni di stato la sostengono, la sua decisione porterà con sé un grande vantaggio politico. L’Aragona smetterà di appoggiare i gruppi nobliari castigliani che si opponevano all’autorità reale. Isabella farà insieme un matrimonio d’amore e di ragione, come dimostrerà tutta la storia successiva di Isabella e Fernando, chiamati i Re Cattolici.
Non so che rapporto potesse avere Isabella con il Tostado ad Arévalo, ma alla morte di Alfonso de Madrigal, nel 1455, la regina promosse la pubblicazione dei suoi scritti (cfr. P. K. Liss, Isabel la Católica, cit., p. 20).
Tra i libri posseduti dalla regina Isabella compare un trattato contro la magia scritto da Barrientos. Come l’arcivescovo, anche Isabella detestava la magia e la divinazione.
Chacón annota nella sua cronaca l’entusiasmo con cui Álvaro de Luna e lo stesso re Giovanni II accolsero a Corte gli inviati di Giovanna d’Arco; ed evoca la profonda impressione di Luna per le gesta della pulzella d’Orleans, al punto da portare con sé una lettera sua che mostrava a corte come se si trattasse di una reliquia sacra (cfr. P. K. Liss, Isabel la Católica, cit., p. 21).
Rodrigo Sánches de Arévalo aveva frequentato una scuola elementare per bambine e bambini, la scuola dei domenicani a Santa Maria di Nieva, aperta con il matrocinio della regina Carolina, la nonna paterna di Isabella.
Secondo l’umanista Juan de Lucena, il ruolo di esempio della regina era molto grande: “Non vedi quanti cominciano a imparare ammirando sua Maestà? Quello che i re fanno, buono o cattivo che sia, tutti cerchiamo di farlo [...]. Giocava il Re, eravamo tutti giocatori, studia la Regina, siamo ora studenti” (cit. in P. K. Liss, Isabel la Católica, cit., p. 246).
Per esempio, la regina diede impulso alla pubblicazione delle operedi Alfonso de Madrigal el Tostado.
E benché fosse costume che le infante dovessero servire a rafforzare il ruolo del lignaggio e quello della Corona di Castiglia con gli altri regni, non le sottopone a quello che alcune autrici e autori chiamano “il ballo dei mariti”, a cui lei stessa era stata sottoposta dal fratello Enrico.
Sui beghinaggi castigliani e su queste forme di vita e di pietà, vedi Ángela Muñoz Fernández, Mujer y experiencia religiosa en el marco de la santidad medieval, Asociación Cultural Al-Mudayna, Madrid 1988; AA. VV., Las mujeres en el cristianismo medieval. Imágenes teóricas y cauces de actuación religiosa, a cura di Ángela Muñoz Fernández, Asociación Cultural Al-Mudayna, Madrid 1989; Ángela Muñoz Fernández, Beatas y santas neocastellanas: ambivalencia de la religión y políticas correctoras del poder (ss. XIV-XVII), Dirección General de la Mujer, Madrid 1994.
Entrambi i borghi castigliani erano protetti da mura e torri e si trovavano in mezzo a un paesaggio di terre coltivate della meseta castigliana. Per tutti e due passavano vie commerciali di forte transito ed erano anche vicini a Medina del Campo, dove due volte all’anno si svolgeva una delle grandi fiere europee dell’epoca. Nel medioevo le fiere erano un grande avvenimento, e Isabella dovette senza dubbio approfittare e godere di questa fiera. Questi borghi erano ben rappresentativi del regno di Castiglia, in quanto vi si produceva, come in molti altri abitati, una mescolanza di culture e un’ampia rete di rapporti tra gente di diverse religioni e provenienze.
DUMONT, J., La “incomparable” Isabel la Católica, Madrid, 1993, p. 30.
Vid. DUMONT, J., Op. cit., p. 16. Secondo l’autore, in questo beghinaggio visse María Briceño, la prima maestra di Teresa d’Avila (p. 17).
Isabella era una buona amazzone, fin da bambina aveva montato e ricevuto lezioni di equitazione, e le fonti la descrivono o la mostrano su mule di grande statura o cavalli con ricche guarnizioni. Da piccola aveva visto montare suo padre, suo fratello e i più grandi nobili castigliani, e mussulmani di alto rango che venivano in visita ad Arévalo da Granada ed erano ricevuti con tutti gli onori come ospiti della corte; questi ultimi preferivano cavalcare e montare alla moresca, a la jineta, cioè con la sella bassa, le staffe corte e le ginocchia in alto, su cavalli non molto grandi ma molto veloci.
Questi sono alcuni dei tratti plasmati dal Maestro de Manzanillo (secolo XV) nella tavola I Re Cattolici con sant’Elena e santa Barbara. La tavola proviene da una chiesa della provincia di Zamora e faceva parte della porta di un armadio. Ne è stata segata via la parte inferiore, dove pare ci fossero due cuscini con due corone. Isabella vi appare con una delle sue magnifiche collane con grandi perle, ma non sembra si tratti della famosa collana di rubini e perle, regalo di nozze, che era appartenuta a sua suocera, Giovanna Enríquez, e alle regine di Aragona-Catalogna. Il prezioso gioiello assomiglia molto a quello che si vede in un ritratto di Isabella e Fernando, in busto, dove entrambi sono giovani e la regina porta al collo dei fili d’oro da cui pende un magnifico monile con rubini e una perla a forma di lacrima. Quello dipinto sulla tavola del Maestro de Manzanillo è un gioiello importante ma non coincide con la collana presente tra i regali portati dagli emissari del re d’Aragona quando chiese la mano di Isabella per suo figlio Fernando, collana che viene così descritta: un cordone massiccio di fili d’oro, che pesava più di tre marchi [690 gr.] e da cui pendevano quindici pendenti: sette grossi rubini violetti e otto perle ovali grigiastre, tutto questo come cornice all’ornamento centrale, consistente in un rubino grossissimo, forato, che sosteneva una meravigliosa perla a forma di pera. Questa collana fu in seguito impegnata insieme ad altri gioielli a Valencia in garanzia di tre prestiti che arrivavano a 60.000 fiorini d’oro. Non sappiamo cosa avrà pensato la giovane principessa di diciotto anni ricevendo dal suo promesso sposo un simile regalo, ma è improbabile che restasse indifferente, soprattutto conoscendo il suo buon gusto nel vestire e nell’adornarsi. In ogni caso, pare che la tavola del Maestro de Manzanillo ritragga i re in una data vicina alle nozze, e nonostante i limiti tecnici li mostra nello splendore della gioventù.
Questi ambasciatori venivano per stabilire un’alleanza con la Castiglia.
I borgognoni stimarono che dovevano pesare più di 120 marchi [più di 27 kg].
ARAM, B., La reina Juana. Gobierno, piedad y dinastía, Madrid, 2001.
AZCONA, T. DE, Isabel la Católica. Estudio crítico de su vida y su reinado, Madrid: B.A.C., 1993, p. 882.
Nel testamento si legge: “tributandogli e facendogli tributare (si riferisce al re Fernando) tutto l’onore che buoni e obbedienti figli devono tributare al loro buon padre, e seguano i suoi ordini e consigli come da loro si spera che facciano in maniera tale che in tutto quanto riguardi la loro Signoria sembri che io non manchi e che sia viva”. Come dice Diana Sartori, è l’imperativo dell’autorità materna che dice - in questo caso a Giovanna - di agire sempre come se lei fosse presente (Diana Sartori, Tu devi. Un ordine materno, in Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori, Napoli 1995; e La tentazione del bene, in Diotima, La magica forza del negativo, Liguori, Napoli 2005).
Con questa espressione erano conosciuti i regni di León e di Castiglia.
Il 13 dicembre 1474, a Segovia, Isabella è proclamata “regina e proprietaria” di Castiglia, e Fernando è riconosciuto suo “legittimo marito”. Il patto di Segovia del 15 gennaio 1475 stabilisce le norme per il governo del regno: “Secondo le leggi e il costume usato e tramandato in Spagna, questi regni doveva ereditarli la regina, come figlia legittima del re don Giovanni, benché fosse donna, in quanto era erede in linea diretta discendente dei re di Castiglia e León, e non potevano appartenere a nessun altro erede, benché fosse uomo, se era in linea collaterale. Ugualmente, si stabilì che a lei, come proprietaria, apparteneva il governo del regno” (H. del Pulgar, Crónica de los Reyes Católicos, ed. di J. de Carriazo, 2 voll., Madrid 1943, cap. XXI).
È stata tradizionalmente considerata la data conclusiva dell’annessione dei territori andalusi ai regni di Castiglia e di Aragona, e può essere anche considerata la data d’inizio dell’espulsione della popolazione mussulmana dalle terre della Penisola.
Il trattato di Alcoçavas - 4 settembre 1479 - mette fine alla guerra (interna ed esterna) iniziata dopo la morte di Enrico IV: Isabella e Fernando sono riconosciuti re di Castiglia, Giovanna la Beltraneja rinuncia ai suoi supposti o non diritti e viene obbligata a passare il resto della sua vita in un convento a Coimbra (dove muore nel 1530), la Castiglia accetta l’espansione portoghese in Africa, e si pattuisce il matrimonio dell’infante Alfonso, principe ereditario del Portogallo, con l’infanta Isabella, figlia dei Re Cattolici.
Durante il regno di Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona inizia il lungo esodo obbligato degli uomini, donne, bambini e bambine di religione ebraica ma nativi dei diversi regni in cui era divisa la Penisola. I re firmarono il decreto di espulsione che doveva essere eseguito nel corso del 1492.
L’inquisizione castigliana cominciò a funzionale a partire dal 1478.
Intendendo il concetto nella sua più ampia accezione di insieme di saperi ed esperienze che una generazione trasmette a quella successiva.
Per colonizzazione intendo l’organizzazione territoriale, amministrativa e politico-religiosa delle nuove terre conquistate.
Nel corso degli ultimi secoli medievali e agli inizi dell’età Moderna si verifica quello che noi storiche e storici chiamiamo l’ampliamento dell’orizzonte geografico. Alcuni paesi dell’Europa occidentale prendono l’iniziativa di esplorare l’immensità oceanica, in parte per dare uno sbocco all’arretramento del mondo cristiano occidentale di fronte all’avanzata turca. Durante il XV e il XVI secolo si effettuano numerose spedizioni formate da uomini e da alcune donne che permettono di conoscere nuove terre e che le mettono sotto il dominio politico delle monarchie dei paesi a cui appartengono. Si inquadra in questa dinamica l’annessione delle Isole Canarie alla Corona di Castiglia.
“Fino al sec. XII e oltre la lingua detta molto giustamente materna perché s’impara venendo al mondo e, di solito, da chi ci mette al mondo, era solo parlata. Era la lingua dell’infanzia e della vita quotidiana, sia domestica sia comunitaria, la lingua delle donne, la lingua del lavoro, degli scambi correnti, delle feste non liturgiche, della poesia popolare, dell’amore e dei sogni, e viveva indipendentemente dalla lingua scritta, il latino, che era la lingua della Bibbia, della Chiesa, degli studi, delle leggi, degli atti pubblici, lingua familiare ai pochi che sapevano leggere o scrivere, e ai pochissimi che possedevano libri” (Luisa Muraro, Lingua materna scienza divina, D’Auria, Napoli 1995, pp. 78-79; e “L’allegoria della lingua materna” in E.-M. Thüne (a cura di), All’inizio di tutto la lingua materna, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, pp. 39-56; e L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 37-87). Vedi anche: Chiara Zamboni, “Lingua materna tra limite e apertura infinita”, in E.-M. Thüne (a cura di), All’inizio di tutto, cit., pp. 113-134; M. Milagros Rivera Garretas, “Dos dones divinos: el tiempo y la palabra” in Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000, Icaria, Barcellona 2001, pp. 61-62.
Come segnala sempre Clara Jourdan della Libreria delle donne di Milano.
Isabella risponde una volta a Fernando: “che mai per nessun motivo aveva voluto causare la benché minima contrarietà al suo amatissimo consorte, per la cui felicità e onore sacrificherebbe degnamente e debitamente non solo la corona, ma la propria salute”. E lo prega “di non separarsi dall’amante sposa, causando la disgrazia di colei che non poteva né voleva vivere lontano dall’amatissimo consorte”. Fernando ascolta gli argomenti e resta accanto alla regina (F. Pérez de Guzmán, Generaciones y Semblanzas, ed. R. B. Tate, Londra 1950, pp. 40-41, cit. in P. K. Liss, Isabel la Católica. Su vida y su tiempo, Madrid 1992, p. 104).
Vid. LYSS, P. K., Isabel La Católica. Su vida y su tiempo, Madrid, Neréa, p. 103.
Isabella e Fernando si vedono per la prima volta nella dimora signorile di Juan de Vivero in cui alloggiava la giovane principessa, e questo edificio ospiterà più tardi la futura cancelleria reale, la Regia Cancelleria di Valladolid.
Anónimo, Crónica incompleta de los Reyes Católicos (1469-1476), ed. Julio PUYOL, Madrid, 1934, p. 145.
PULGAR, H. del, Crónica, cap. 22.
Probabilmente, tra i momenti delicati che dovettero passare nelle loro convivenza andrebbe citato quando la regina viene a sapere delle infedeltà del marito, e con una grande prova di amore e generosità accoglie e si fa carico delle figlie illegittime di Fernando.
A partire dal 1468, dopo la morte del fratellino, l’infante Alfonso, cambia l’intestazione delle sue lettere che ora sarà: Isabella, per grazia di Dio principessa e legittima erede successora di questi regni di Castiglia e León.
Pare che verso la metà del suo regno rinasca nella politica della regina Isabella e dei suoi consiglieri un ideale di crociata, senza dubbio influenzato da quelli e quelle che rappresentavano la parte meno aperta e libera dello spirito religioso castigliano. La storiografia è concorde nel segnalare che la regina ebbe un ruolo importante nel rafforzamento dell’autorità reale e nella guerra di Granada, soprattutto a partire dal 1486; ma non va tralasciata l’influenza di un rigido spirito religioso, poco dialogante e poco aperto, che in certi momenti finirà per impregnare l’attività politica della regina e di alcune e alcuni di coloro che appoggiarono la politica della corona in questi anni. Isabella I diede impulso alla riforma della Chiesa, furono riformati tutti i monasteri, conventi e case di religiose e religiosi, e dal 1478 l’Inquisizione si istallò nei suoi territori. Sembra che questa strada segnata dall’influenza di alcuni ecclesiastici intransigenti abbia condotto gli affari politici del regno, anche se ci vorrà ancora del tempo prima che si spenga la fiamma della libertà conservata e portata da molte donne e uomini religiosi o laici che erano stati, e in parte ancora stavano, vicino alla regina. Ma l’indirizzo riformatore e intransigente si fisserà su due misure che furono particolarmente negative per i suoi regni e avranno profonde ripercussioni, l’espulsione degli ebrei e l’inasprirsi delle misure contro i mussulmani di Granada. La storiografia ha sottolineato in particolare queste due azioni del regno di Isalbella e le ha attribuite esclusivamente a lei. Ma, da un lato, la regina non regnava da sola bensì con il re e un buon numero di consiglieri laici ed ecclesiastici, e, dall’altro, è necessario sottolineare che in altri momenti lei aveva auspicato e appoggiato una politica molto più rispettosa e dialogante. E, sebbene sia possibile che la regina matrocinasse e autorizzasse l’impresa di Colombo inflluenzata dal rinascere dell’ideale di crociata che dominava la politica di buona parte della fine del suo regno, è anche vero che si preoccuperà fino alla fine della sua vita, e in modo esplicito nel testamento, al fine di evitare gli abusi dei colonizzatori delle nuove terre contro gli indiani che ne erano gli abitanti naturali.
Rivolte di Toledo (1449), Ciudad Real (1449 e di nuovo nel 1477), Sepúlveda (1468 e 1472), Segovia (1473, 1474) e in diversi paesi e città dell’Andalusia a partire dal 1473 (Cordova, Cabra, Jerez ecc.).
Dice Diego de Valera -storico, teorico della cavalleria cristiana e maestro di casa della regina Isabella- quando parla di Cordova: “I nuovi cristiani di questa città erano molto ricchi e li si vedeva continuamente comperare cariche pubbliche, di cui si valevano con superbia, in modo tale che i cristiani vecchi non lo potevano sopportare” (cfr. N. López Martínez, Los judaizantes y la Inquisición, Burgos 1953).
Tra altre questioni che attraversano questa epoca storica in tutta Europa, e a mo’ di esempio, vorrei ricordare queste: si mette in discussione, ancora, con maggiore intensità, il ruolo delle creature umane sulla terra, nel mondo (di più, cominciano ad affiorare elementi di contrapposizione tra la fede e la ragione), continuano a svilupparsi nuove forme di potere, e si discute il valore della libertà individuale di fronte al potere dello Stato, ecc.
Isabella scelse di stare con Fernando come donna e come regina, e desidera e vuole stare vicino a lui, se così desidera il re, anche nella tomba. Lo dice nel testamento: “...ma voglio e comando che se il re, mio signore, scegliesse sepoltura in qualsiasi altra chiesa o monastero di qualsiasi altra parte o luogo dei miei regni, il mio corpo sia trasportato lì e sepolto vicino al corpo di sua signoria perché la coppia che formiamo in vita la formino le nostre anime nel cielo e la rappresentino i nostri corpi in terra”.
Lotte che si inquadrano nel conflitto con il Portogallo e i tentativi del monarca lusitano di occupare terre castigliane e anche appoggiare le pretese al trono della nipote di Isabella, Giovanna detta la Beltraneja. Lo scontro si prolunga fino alla sconfitta dei portoghesi ad Albuera nel febbraio 1479.
Fernando sarebbe per Isabella come quei cavalieri cristiani le cui avventure si mantenevano vive nelle romanze e leggende popolari che cominciavano ad essere di moda a Corte. Non sappiamo quante volte Isabella nella sua infanzia a Madrigal e ad Arévalo avrà ascoltato quei poemi orali e anche i racconti di qualche cavaliere -o di qualche soldato della guarnigione di Arévalo- sulle gesta nel conflitto di frontiera contro i mussulmani. Questi racconti, romanze, poemi, leggende e anche cronache trasmetteranno la nostalgia per un passato eroico e non troppo lontano, e il desiderio di imitarlo e di dedicare la vita alla conquista.
Numerosi ritratti o raffigurazioni di Isabella I riprendono questa cura e bellezza della regina, secondo i canoni dell’epoca. Il Maestro de Manzanillo, un pittore castigliano del XV secolo, nella tavola in cui ritrae i re poco dopo le nozze, coglie particolari che sono stati messi in risalto da cronisti e storici: la carnagione bianchissima della regina, i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari. Gli occhi e i capelli scuri di Fernando. Una descrizione particolareggiata della regina Isabella - a vent’anni - la fa il suo segretario, il cronista Hernando del Pulgar: “Ben conformata nella persona e nella proporzione delle membra, molto bianca e bionda; gli occhi tra i verde e l’azzurro, lo sguardo gentile e onesto, i lineamenti del viso ben disposti, il volto tutto molto bello e gaio”. La descrizione di H. del Pulgar e la tavola del Maestro de Manzanillo ci trasmettono un’immagine piuttosto coincidente. Anche un altro ritratto conservato a Madrigal riprende questi anni dell’epoca delle nozze dei giovani monarchi, ben somiglianti ed entrambi vicini di età.
Isabella non si costruì mai un grande palazzo reale, la sua corte fu essenzialmente itinerante; invece, grazie al suo matrocinio abbiamo ricevuto, come lascito all’urbanismo e all’arte, alcune magnifiche costruzioni di ospedali e monasteri. I monarchi castigliani non legarono il loro potere a nessun palazzo, nemmeno durante il regno di Isabella e Fernando: la concezione del palazzo come simbolo del potere reale è più propria di altre monarchie, come la francese, e nella Penisola sarà un’idea che si imporrà nell’Età Moderna. Per rendere conto dell’attività edilizia e artistica in generale matrocinata dalla regina, basta solo ricordare tra i monasteri quello di san Giovanni dei Re di Toledo, e tra gli ospedali quello dei Re Cattolici a Santiago de Compostela e quello della Santa Croce di Toledo. L’interesse della regina per l’assistenza si percepisce chiaramente nella preoccupazione di organizzare quello che - a quanto sappiamo - è stato uno dei primi ospedali da campo della storia: un ospedale installato al fronte, sulla frontiera della lotta contro i mussulmani, per l’assistenza ai feriti. Dietro a questo ospedale ci sarà sempre l’Ospedale della Regina, dove si trova Isabella, per disporre di un’assistenza più accurata. Questi ospedali erano equipaggiati con abbondante materiale sanitario, la cui responsabile era nientemeno che la damigella della regina, Juana de Mendoza. Sappiamo da Pietro Martire d’Angleria, il cronista italiano, che la regina visitava quasi ogni giorno questi ospedali, specialmente quello da campo quando si trovava all’accampamento o al quartier generale del fronte (cfr. J. Dumont, La “incomparable” Isabel la Católica, Madrid, 1993, p. 143).
Anche l’emblema dei re, simbolo del nuovo ordine, della nuova monarchia, mostra la differenza. L’emblema unisce il giogo del potere, simbolo di Fernando, con il fascio di frecce, simbolo della giustizia, emblema di Isabella. Questo emblema, che sarà riprodotto su numerosi monumenti e nella moneta corrente, il reale d’argento, è accompagnato a volte dal motto suggerito a Fernando da Nebrija: Tanto monta [Tanto vale]. Motto che si riferisce al nodo gordiano che Alessandro Magno tagliò dopo aver tentato invano di slegarlo, per cui il senso del motto è “tanto vale tagliare come slegare”.
Vid. RIVERA GARRETAS, M.- Milagros, Mujeres en relación. Feminismo 1970-2000. Barcellona, Icaria, 2001.
Beatriz de Bobadilla fu damigella di Isabella quando la futura regina era principessa di Castiglia; Beatriz le era legata al punto da prometterle di usare la sua daga e uccidere con le sue mani Pedro Girón se Enrico fosse riuscito a obbligare la principessa a sposarlo. Pedro Girón, vecchio e molto ricco, fu uno dei pretendenti della giovane principessa che allora aveva solo quindici anni. Isabella era sicuramente inorridita e senza dubbio questo spinse Beatriz a prometterle di salvarla in extremis dal pericolo. Isabella si occupò, come nel caso di altre dame, di cercarle marito tra i nobili e alti funzionari della Corte e del Regno. Beatriz si sposò con il governatore di Segovia e della sua fortezza, Andrés Cabrera, conte di Moya. L’attività della regina e in qualche caso del re per favorire l’unione di dame della corte con alti funzionari, nobili e personaggi di grandi lignaggi, è ben documentata. La regina, e in questo caso anche il re, furono padrini di battesimo dell’ex governatore mussulmano di Baza, Al-Nayar, quando si convertì al cristianesimo con il nome di Pedro de Granada, e favorirono anche il suo matrimonio con la dama di corte Maria de mendoza: Questa relazione privilegiata di Isabella con alcune delle dame della sua cerchia le permise di governare la Casa e il Regno in un’altra maniera, in una maniera differente da quella di suo padre, da quella di suo fratello, Enrico, e da quella di suo marito, Fernando.
Lo stesso Enrico scriveva: “Molto virtuosa mia signora e sorella [...] vi supplico di ricordarvi sempre di me, dato che non avete persona al mondo che vi ami quanto me...” (Lettera autografa dell’Archivio Generale di Simancas, citata da T. de Azcona, La elección y reforma del episcopado español en tiempo de los Reyes Católicos, Madrid, C.S.I.C., 1960, p. 119).
Cfr. DUMONT, J., La “incomparable” Isabel la Católica, pp. 39-40.
J. M. Calvo, “Madeleine Albright. La mujer que fue Estados Unidos”, El País Semanal, n. 1447, domenica 20 giugno 2004, p. 17.
Isabella iniziò a studiare latino durante la guerra di Granada, e pare che nel giro un anno ne sapesse già abbastanza da poter percepire se qualche predicatore o ragazzo del coro non lo pronunciasse correttamente, e prendere nota per correggerlo in seguito (cfr. P. K. Liss,Isabel la Católica, cit., p. 246).
Lia Cigarini, La politica del desiderio, Parma, Pratiche, 1995.
Diotima, Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, 1990.
Ma è stata anche una fortuna per la regina che Isabella non sempre desse retta, o non del tutto, alle ragioni di stato di suo fratello il re Enrico IV, bensì alle ragioni del suo cuore. Farà così quando sceglierà il marito, sfuggendo ad mercato matrimoniale a cui voleva costringela Enrico. Se chi si sposa è lei, sarà lei a scegliere: Isabella si sposerà con chi vuole lei. La principessa è ben informata, ed è una bella donna, e sceglierà un uomo che lei considera attraente, l’erede d’Aragona, Fernando. Riprende così un’idea iniziale dello stesso Enrico, unire Castiglia e Aragona. Può esserci il suo cuore nella decisione, ma le ragioni di stato la sostengono, la sua decisione porterà con sé un grande vantaggio politico. L’Aragona smetterà di appoggiare i gruppi nobliari castigliani che si opponevano all’autorità reale. Isabella farà insieme un matrimonio d’amore e di ragione, come dimostrerà tutta la storia successiva di Isabella e Fernando, chiamati i Re Cattolici.
Non so che rapporto potesse avere Isabella con il Tostado ad Arévalo, ma alla morte di Alfonso de Madrigal, nel 1455, la regina promosse la pubblicazione dei suoi scritti (cfr. P. K. Liss, Isabel la Católica, cit., p. 20).
Tra i libri posseduti dalla regina Isabella compare un trattato contro la magia scritto da Barrientos. Come l’arcivescovo, anche Isabella detestava la magia e la divinazione.
Chacón annota nella sua cronaca l’entusiasmo con cui Álvaro de Luna e lo stesso re Giovanni II accolsero a Corte gli inviati di Giovanna d’Arco; ed evoca la profonda impressione di Luna per le gesta della pulzella d’Orleans, al punto da portare con sé una lettera sua che mostrava a corte come se si trattasse di una reliquia sacra (cfr. P. K. Liss, Isabel la Católica, cit., p. 21).
Rodrigo Sánches de Arévalo aveva frequentato una scuola elementare per bambine e bambini, la scuola dei domenicani a Santa Maria di Nieva, aperta con il matrocinio della regina Carolina, la nonna paterna di Isabella.
Secondo l’umanista Juan de Lucena, il ruolo di esempio della regina era molto grande: “Non vedi quanti cominciano a imparare ammirando sua Maestà? Quello che i re fanno, buono o cattivo che sia, tutti cerchiamo di farlo [...]. Giocava il Re, eravamo tutti giocatori, studia la Regina, siamo ora studenti” (cit. in P. K. Liss, Isabel la Católica, cit., p. 246).
Per esempio, la regina diede impulso alla pubblicazione delle operedi Alfonso de Madrigal el Tostado.
E benché fosse costume che le infante dovessero servire a rafforzare il ruolo del lignaggio e quello della Corona di Castiglia con gli altri regni, non le sottopone a quello che alcune autrici e autori chiamano “il ballo dei mariti”, a cui lei stessa era stata sottoposta dal fratello Enrico.
Sui beghinaggi castigliani e su queste forme di vita e di pietà, vedi Ángela Muñoz Fernández, Mujer y experiencia religiosa en el marco de la santidad medieval, Asociación Cultural Al-Mudayna, Madrid 1988; AA. VV., Las mujeres en el cristianismo medieval. Imágenes teóricas y cauces de actuación religiosa, a cura di Ángela Muñoz Fernández, Asociación Cultural Al-Mudayna, Madrid 1989; Ángela Muñoz Fernández, Beatas y santas neocastellanas: ambivalencia de la religión y políticas correctoras del poder (ss. XIV-XVII), Dirección General de la Mujer, Madrid 1994.
Entrambi i borghi castigliani erano protetti da mura e torri e si trovavano in mezzo a un paesaggio di terre coltivate della meseta castigliana. Per tutti e due passavano vie commerciali di forte transito ed erano anche vicini a Medina del Campo, dove due volte all’anno si svolgeva una delle grandi fiere europee dell’epoca. Nel medioevo le fiere erano un grande avvenimento, e Isabella dovette senza dubbio approfittare e godere di questa fiera. Questi borghi erano ben rappresentativi del regno di Castiglia, in quanto vi si produceva, come in molti altri abitati, una mescolanza di culture e un’ampia rete di rapporti tra gente di diverse religioni e provenienze.
DUMONT, J., La “incomparable” Isabel la Católica, Madrid, 1993, p. 30.
Vid. DUMONT, J., Op. cit., p. 16. Secondo l’autore, in questo beghinaggio visse María Briceño, la prima maestra di Teresa d’Avila (p. 17).
Isabella era una buona amazzone, fin da bambina aveva montato e ricevuto lezioni di equitazione, e le fonti la descrivono o la mostrano su mule di grande statura o cavalli con ricche guarnizioni. Da piccola aveva visto montare suo padre, suo fratello e i più grandi nobili castigliani, e mussulmani di alto rango che venivano in visita ad Arévalo da Granada ed erano ricevuti con tutti gli onori come ospiti della corte; questi ultimi preferivano cavalcare e montare alla moresca, a la jineta, cioè con la sella bassa, le staffe corte e le ginocchia in alto, su cavalli non molto grandi ma molto veloci.
Questi sono alcuni dei tratti plasmati dal Maestro de Manzanillo (secolo XV) nella tavola I Re Cattolici con sant’Elena e santa Barbara. La tavola proviene da una chiesa della provincia di Zamora e faceva parte della porta di un armadio. Ne è stata segata via la parte inferiore, dove pare ci fossero due cuscini con due corone. Isabella vi appare con una delle sue magnifiche collane con grandi perle, ma non sembra si tratti della famosa collana di rubini e perle, regalo di nozze, che era appartenuta a sua suocera, Giovanna Enríquez, e alle regine di Aragona-Catalogna. Il prezioso gioiello assomiglia molto a quello che si vede in un ritratto di Isabella e Fernando, in busto, dove entrambi sono giovani e la regina porta al collo dei fili d’oro da cui pende un magnifico monile con rubini e una perla a forma di lacrima. Quello dipinto sulla tavola del Maestro de Manzanillo è un gioiello importante ma non coincide con la collana presente tra i regali portati dagli emissari del re d’Aragona quando chiese la mano di Isabella per suo figlio Fernando, collana che viene così descritta: un cordone massiccio di fili d’oro, che pesava più di tre marchi [690 gr.] e da cui pendevano quindici pendenti: sette grossi rubini violetti e otto perle ovali grigiastre, tutto questo come cornice all’ornamento centrale, consistente in un rubino grossissimo, forato, che sosteneva una meravigliosa perla a forma di pera. Questa collana fu in seguito impegnata insieme ad altri gioielli a Valencia in garanzia di tre prestiti che arrivavano a 60.000 fiorini d’oro. Non sappiamo cosa avrà pensato la giovane principessa di diciotto anni ricevendo dal suo promesso sposo un simile regalo, ma è improbabile che restasse indifferente, soprattutto conoscendo il suo buon gusto nel vestire e nell’adornarsi. In ogni caso, pare che la tavola del Maestro de Manzanillo ritragga i re in una data vicina alle nozze, e nonostante i limiti tecnici li mostra nello splendore della gioventù.
Questi ambasciatori venivano per stabilire un’alleanza con la Castiglia.
I borgognoni stimarono che dovevano pesare più di 120 marchi [più di 27 kg].
ARAM, B., La reina Juana. Gobierno, piedad y dinastía, Madrid, 2001.
AZCONA, T. DE, Isabel la Católica. Estudio crítico de su vida y su reinado, Madrid: B.A.C., 1993, p. 882.
Nel testamento si legge: “tributandogli e facendogli tributare (si riferisce al re Fernando) tutto l’onore che buoni e obbedienti figli devono tributare al loro buon padre, e seguano i suoi ordini e consigli come da loro si spera che facciano in maniera tale che in tutto quanto riguardi la loro Signoria sembri che io non manchi e che sia viva”. Come dice Diana Sartori, è l’imperativo dell’autorità materna che dice - in questo caso a Giovanna - di agire sempre come se lei fosse presente (Diana Sartori, Tu devi. Un ordine materno, in Diotima, Oltre l’uguaglianza, Liguori, Napoli 1995; e La tentazione del bene, in Diotima, La magica forza del negativo, Liguori, Napoli 2005).
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