menú principal

volver al programa provisional

X Coloquio Internacional de Geocrítica

DIEZ AÑOS DE CAMBIOS EN EL MUNDO, EN LA GEOGRAFÍA Y EN LAS CIENCIAS SOCIALES, 1999-2008

Barcelona, 26 - 30 de mayo de 2008
Universidad de Barcelona

GENERE E GEOGRAFIA NEI TESTI SCOLASTICI DELLA SCUOLA PRIMARIA ITALIANA 

Fiammetta Martegani
Università degli Studi di Milano – Bicocca
fiammettamartegani@gmail.com

Genere e geografia nei testi scolastici della scuola primaria italiana (Resume)

In che modo i processi culturali influenzano le dinamiche di genere?. In quali contesti tali dinamiche vengono prodotte e riprodotte?. Uno dei più importanti canali di diffusione di stereotipi di genere risulta sicuramente la scuola primaria.

In particolare, uno dei mezzi più pervasivi, nonostante la sua apparente innocenza, risulta il cosiddetto “sussidiario”: il libro di testo con cui i bambini e le bambine della scuola primaria italiana si avventurano nello studio della storia, della geografia e degli studi sociali.

Questi testi infatti, con l’intento di essere il più esaustivi possibile, spesso finiscono col  riprodurre una serie di generalizzazioni e stereotipi, a scapito invece di una, forse più limitata, ma sicuramente più attenta, analisi delle differenze culturali.

Tra i vari stereotipi riprodotti, oltre ai frequenti stereotipi di tipo paesaggistico e razziale, non mancano anche quelli di genere.
L’obiettivo di questo lavoro è dunque  proporre un’analisi critica del processo di produzione e di riproduzione degli stereotipi di genere nella sezione di geografia dei sussidiari della scuola primaria italiana.

Parole chiavi: Educazione, genere, geografia, rappresentazione

Gender and geography  in the primary school textbooks in italy (Abstract)

In which way do cultural processes influence gender dynamics?. In which context are they produced and reproduced?. One of the most important stereotypes diffusion channel is definitely primary school.

In particular, one of the most pervasive tools, though innocent at a first glance, is the so called “sussidiario”: a textbook which daily follows primary school children in the study of history, geography and social studies.

These books often tend to reproduce great generalizations and stereotypes, to the detriment of a perhaps more limited, but definitely more attentive representation of the different cultural specificities.

Among the many stereotypes reproduced, along with the very frequent landscape and racial stereotypes, are the gender stereotypes.
The aim of this work is to develop a critical analysis in producing and reproducing gender stereotypes, in the geography section of the Italian primary school textbooks.

Key words: Education, gender, geography, representation

Genere e luoghi della produzione di genere: la scuola e il “sussidiario” in Italia

Nel suo lavoro del 1999 Gender, Identity and Place, McDowell mette in evidenza come le diverse pratiche di genere siano strettamente legate ai luoghi in cui tali dinamiche si attuano: “it is clear that social practices, including the wide range of social interactions at a variety of sites and places, at work, for example, at home, in the pub or the gym” (McDowell, 1999, p. 7).

In questa prospettiva, la scuola primaria italiana risulta luogo paradigmatico per la produzione e la riproduzione di specifiche pratiche di genere, dal punto di vista sia della trasmissione dei “contenuti”, che delle “forme”.

In tal senso un ruolo peculiare viene rivestito dai libri di testo, in particolar modo dai cosiddetti “sussidiari” (ovvero i libri di testo che accompagnano le bambine ed i bambini della scuola primaria nello studio della storia, della geografia e degli studi sociali) che attraverso i propri testi (i “contenuti”) nonché le proprie immagini (le “forme”) concorrono a costruire quella “comunità immaginata”, per usare le parole di Anderson, che ci permette di immaginarci in quanto italiane ed italiani, con tutte le differenze di genere che ciò comporta.

L’obiettivo di questo lavoro sarà dunque cercare di decostruire tutta quella serie di stereotipi di genere che pervadono, in modo di volta in volta più o meno evidente, all’interno dei sussidiari della scuola primaria in Italia.

In particolar modo l’analisi si concentrerà sulla produzione e la riproduzione degli stereotipi di genere all’interno della sezione di geografia dei sussidiari, con una specifica attenzione nei confronti delle immagini e del ruolo che esse hanno nella costruzione dell’immaginario di genere.

L’interesse nei confronti di tale peculiare modalità di costruzione del genere nasce da una  duplice esigenza: in primo luogo l’analisi dei sussidiari si propone infatti di indagare come lo stesso sistema scolastico, nelle sue diverse declinazioni, risulti di fatto e al tempo stesso prodotto e produttore di stereotipi di genere largamente diffusi nel senso comune collettivo, i quali verranno presi in esame nel secondo paragrafo, con una particolare attenzione al contesto scolastico italiano; in secondo luogo si tenterà di verificare come non ostante tutta la normativa (sia su scala nazionale, che europea, che internazionale), degli ultimi vent’anni abbia sottolineato la necessità di eliminare tali stereotipi di genere a partire proprio da una più attenta cura dei testi scolastici, tale cura,  di fatto, in Italia, salvo rarissimi casi,  non sia mai avvenuta.

Al fine di svolgere questo tipo di lavoro, il terzo paragrafo verrà dedicato all’analisi della normativa che in Italia dall’85 a oggi si è occupata del ruolo centrale svolto dai testi scolastici come “luogo” privilegiato di produzione e riproduzione degli stereotipi di genere, mentre il quarto paragrafo sarà dedicato proprio all’analisi dei testi e delle immagini dei sussidiari, prodotti in un periodo cronologico parallelo a tali normative, le cui direttive sono risultate di fatto disattese.

Nel quinto paragrafo si tenterà infine di porre alcuni interrogativi di ricerca per cercare di capire quali tipi di conseguenze tali stereotipi di genere determinano sul senso comune collettivo,  causando tutta una produzione e riproduzione di stereotipi e pregiudizi universali sull’Altro, che oggi vorremmo invece considerare superati e scomparsi.

“Donne non si nasce, lo si diventa”: la produzione di genere nella scuola italiana

“Donne non si nasce, lo si diventa”. Con questo incipit si apriva il capitolo sull’infanzia dell’opera del 1949 di Simone de Beauvoir ormai passata alla storia: Il secondo sesso.

Se all’ora le riflessioni di de Beavoir sul ruolo della formazione nella produzione di genere risultavano pionieristiche, alla soglia del terzo millennio la situazione, specialmente in Italia, non sembra essere molto mutata.

Se infatti, come messo in luce efficacemente da McDowell: “while sex depicts biological differences, gender in contrast describes socially constructed characteristics.” (McDowell, 1999, p.13) tra i diversi contesti in cui vengono prodotti e soprattutto riprodotti modelli di genere, la scuola primaria risulta senz’altro uno dei luoghi privilegiati.

La storia della scuola italiana risulta per tanto centrale nell’analizzare la storia della costruzione dei modelli di genere in Italia.

Le donne entrano infatti ufficialmente nel sistema scolastico italiano nel 1859 con la Legge Casati, che prevede sia la formazione delle maestre attraverso apposite scuole, sia il loro ingresso nella professione come docenti delle scuole elementari femminili, ma le radici dell’ingresso di massa delle donne nell’insegnamento di base e della femminilizzazione del corpo docente in quel settore stanno nel contemporaneo sorgere dello Stato unitario e nel suo bisogno di personale laico da sostituire al clero (Ulivieri, 2001, pp.23-24).

Nell’arco del primo quarantennio dunque le donne vanno a costituire la stragrande maggioranza dell’intero corpo docente della scuola elementare, mentre le scuole secondarie, per non parlare del mondo accademico, rimangono strettamente nelle mani dei professori uomini.

Sarà soltanto in seguito ai movimenti del ’68 che le donne inizieranno ad avere un accesso di “massa” alle scuole superiori e all’università, sia in quanto studentesse che in quanto corpo-docenti.

Tuttavia va qui sottolineato che più di una conquista si ha forse a che fare con una “concessione”. Anche nell’insegnamento, infatti, varrebbe la costante secondo la quale le donne di fatto altro non avrebbero ottenuto che subentrare nei settori lavorativi da cui gli uomini si allontanano, poiché meno prestigiosi economicamente o come status. Come messo in luce da Sullerot “è difficile giudicare se le donne hanno fatto o non hanno fatto veramente dei progressi reali come si sostiene abitualmente. Molto spesso sono entrate soltanto là dove gli uomini hanno voluto ammetterle, perché non hanno più intenzione di difendere questa posizione, e si preparano anzi ad abbandonarla. Questo mestiere allora, da feudo maschile accanitamente difeso, diventerà un mestiere femminile: non sempre dunque, si tratta di una conquista, ma più spesso di una concessione, e talvolta addirittura di un abbandono. A condizione però di lasciare inviolati altri feudi. L’insegnamento è stato chiuso alle donne per secoli: oggi abbiamo visto che si femminilizza largamente, salvo che nei gradini superiori, che conservano ancora il prestigio legato alle funzioni universitarie.” (Sullerot, 1977)

Ragion per cui, se oggi si può affermare che molti obiettivi, o almeno quelli di una maggiore scolarizzazione femminile, secondaria e universitaria, siano stati realizzati, non si può altrettanto affermare, che la riuscita scolastica determini al tempo stesso una reale riuscita in termini socio-economici.

Se infatti come afferma McDowell, parafrasando Faucault, “gender is constructed and maintained through discourse and everyday actions” (McDowell, 1999, p.22), è proprio attraverso le pratiche quotidiane, a livello interscalare, dalla casa alla scuola, dal mondo del lavoro all’apparato legislativo amministrato dallo Stato, che il “discorso” educativo italiano, più che trasmettere con opportune correzioni il costume educativo, tende al contrario a riprodurre acriticamente il passato, senza rompere il pregiudizio, ricreando nella famiglia e nella scuola, palestre della vita futura, precisi e differenziati ruoli sessuali e quindi sociali, dove al privilegio maschile corrisponde una netta inferiorizzazione femminile (Ulivieri, 2001, p.13).

La storia dell’emancipazione della donna in Italia si costruisce dunque proprio a partire dai banchi di scuola ed è in tal senso che negli anni Ottanta si muoverà il movimento femminista, parallelamente alle istituzioni, per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini, a cominciare dall’istruzione.

Dove cominciano le “pari opportunità”?

Nel suo sviluppo il movimento femminista era sempre stato lontano dalle istituzioni, considerate sede di un potere estraneo e ostile.

D’altro canto il movimento femminista in Europa negli anni Ottanta comincia  ad agire sempre più in parallelo al cantiere di quella che presto diverrà l’Unione Europea.

La “Risoluzione del Consiglio e dei ministri dell’istruzione” del 1985 si avvia così a redigere un  “programma di azione per la promozione dell’uguaglianza di opportunità per le ragazze ed i ragazzi in materia di istruzione”.

La Risoluzione è il primo documento ufficiale, elaborato in sede di Commissione Europea, che propone una serie di azioni per la realizzazione delle pari opportunità all’interno dei sistemi di istruzione nazionali.

Tra i diversi obiettivi proposti dal piano d’azione, risulta particolarmente interessante dal punto di vista dell’attenzione alle “forme” di  produzione e di riproduzione di pratiche di genere il punto 8: “Eliminazione degli stereotipi tuttora presenti nei libri scolastici, nel complesso delle proposte pedagogiche e didattiche, negli strumenti di valutazione e orientamento” (Mapelli e Seveso, 2003 p. 307).

Al fine di eliminare tali stereotipi “nei libri scolastici e in ogni strumento pedagogico e didattico”, nel comma a. dello stesso punto viene esplicitamente proposto di associare “tutte le parti interessate (editori, insegnanti, autorità pubbliche, associazioni di genitori)” e nel comma b. di “incoraggiare la sostituzione graduale del materiale contenente stereotipi con materiale non sessista” (Mapelli e Seveso, 2003 p. 307 -308)

La formazione di organismi di pari opportunità, che vennero istituiti in Italia a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, significò l’ingresso formale di nuove presenze femminili e della tematica di genere nelle amministrazioni nazionali e locali. E’ in questo contesto che si costituiscono Commissioni e Comitati di pari opportunità, prima presso la Presidenza del Consiglio e poi presso i vari Ministeri e gradualmente nelle varie Regioni, Province e Comuni.

Il Comitato per le pari opportunità presso il Ministero della pubblica istruzione viene istituito nel 1989 mentre è del 1993 il Primo Piano Nazionale per le pari opportunità fra gli uomini e le donne nel sistema scolastico italiano 1993-1995, nella cui Introduzione leggiamo: “Aprire la scuola al discorso delle pari opportunità donna-uomo significa far incrociare la scuola con i temi della modernità e della post-modernità (…) educare ragazzi e ragazze ad assumere con più matura consapevolezza il proprio posto e le proprie corrensponsabilità nel mondo” (Mapelli e Seveso, 2003 p.297).

Anche in questo caso osserviamo come il ruolo dei testi scolastici risulti paradigmatico: il Piano era infatti articolato in più sezioni, di cui una dedicata interamente a cultura ed educazione, nelle cui Raccomandazioni la direttiva g) raccomanda esplicitamente “agli editori scolastici la revisione dei libri di testo e dei sussidi didattici e la produzione di nuovi strumenti di lavoro, affinché vengano eliminati gli stereotipi legati ai ruoli tradizionali di donne e uomini e venga assegnato spazio adeguato alle esperienze e alla cultura femminili” (Mapelli e Seveso, 2003 pp. 327-330).

Negli anni Ottanta e Novanta, nel corso dei quali il femminismo italiano, anche attraverso i percorsi di pari opportunità, entra maggiormente in contatto con le politiche europee, e si rende più significativo e fitto lo scambio tra i movimenti, gli studi e le ricerche delle donne dei vari Paesi, si svolgono anche le ultime due delle quattro Conferenze mondiali delle Nazioni Unite sulle donne, tenutesi rispettivamente nel 1985 a Nairobi e nel 1995 a Pechino.

E’ durante la Conferenza di Pechino che viene prodotta una piattaforma d’azione sulle iniziative che avrebbero dovuto essere intraprese da governi, organizzazioni internazionali e società civile, suddivise in 12 obiettivi strategici: povertà, istruzione, salute, violenza contro le donne, conflitti armati, economia, processi decisionali, meccanismi istituzionali, diritti umani, media, ambiente e condizione delle bambine. I temi dell’istruzione e della formazione delle donne rappresentano, dunque, subito dopo la lotta alla povertà, il secondo obiettivo strategico.

Nella pubblicazione italiana degli atti della Conferenza, all’interno dell’Obiettivo strategico Istruzione e formazione delle donne, ritroviamo segnalato in più punti il peculiare rapporto tra testo scolastico e costruzione di genere: nel punto 71. si segnala infatti che “la discriminazione contro le bambine per ciò che concerne l’istruzione è molto diffusa in molte aree a causa di materiali didattici inadeguati e fondati su pregiudizi sessisti”; nel punto 72. si auspica a “la creazione di un ambiente sociale ed educativo sano” attraverso “strumenti educativi che promuovano immagini non stereotipate di donne e di uomini”; nel punto 74. si sottolinea che “i programmi scolastici e i materiali didattici rimangono in larga misura pervasi da pregiudizi sessisti e raramente essi sono sensibili alle esigenze particolari delle bambine e delle donne. Ciò rafforza i ruoli tradizionali delle donne e degli uomini e preclude alle donne il raggiungimento di una piena e uguale partecipazione alla vita della società.”; nel punto 75. viene infine messo in luce come “i libri di testo scientifici non riconoscono il valore delle scienziate” (Mapelli e Seveso, 2003 pp. 331-336).

Il problema della revisione e innovazione dei libri di testo, tradizionalmente portatori di una cultura presentata come neutrale, ma in realtà rappresentativa del solo genere maschile, è tema ricorrente nelle Raccomandazioni della Commissione europea e terreno di molti interventi e azioni dei paesi membri. L’Italia resta però a lungo inadempiente rispetto a questi impegni, al punto di ricevere, nel 1997, una specifica raccomandazione da parte del Comitato ONU responsabile del monitoraggio della Cedaw (Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne): “Il comitato ha espresso preoccupazione per l’inadeguatezza degli sforzi compiuti per combattere gli stereotipi attraverso l’istruzione e (…) ritiene essenziale che i libri di testo e i materiali formativi vengano esaminati e revisionati, con l’obiettivo di presentare il ruolo delle donne e degli uomini in maniera non stereotipata.”

Nasce così il progetto “Polite”, di cui è il principale promotore il Dipartimento per le pari opportunità con l’Associazione Italiana Editori.

Il principale esito del progetto è un Codice di “autoregolamentazione”, che è stato approvato e  sottoscritto dai principali editori scolastici, costituito da Quattro Regole di comportamento: la prima auspica “una specifica attenzione allo sviluppo dell’identità di genere e della cultura delle pari opportunità”; la seconda raccomanda all’editore “nel rispetto dell’impostazione culturale e scientifica di ciascuna opera” che abbia “cura di verificarne l’idoneità” e che soddisfi “le esigenze di coloro a cui è rivolta”; la terza auspica che l’editore promuova “un’attività di ricerca scientifica ed espressiva che può vedere coinvolti donne e uomini”; la quarta infine si raccomanda che l’editore consegni alla parte contraente, all’atto della stipula del contratto, una copia del Codice Polite e il relativo documento accompagnatorio, secondo cui le caratteristiche auspicabili di un libro scolastico “attento all’identità di genere” sarebbero:

  1. evitare al massimo gli stereotipi sessuali
  2. fornire rappresentazione equilibrate delle differenze
  3. promuovere la formazione a una cultura della differenza di genere
  4. ripensare il linguaggio
  5. aggiornare e adeguare la scelta delle illustrazioni

In particolare, per quanto riguarda le illustrazioni, viene sottolineato come: “E’ opportuno che le illustrazioni mostrino donne e uomini in  modo equilibrato, sia per quanto riguarda le loro individualità, sia per quanto riguarda le collocazioni professionali. A tal fine è bene che anche nelle illustrazioni vengano rappresentati: donne  e uomini in attività sia professionali sia domestiche; la compresenza di donne e uomini in situazioni e ruoli analoghi” (Mapelli e Seveso, 2003, p.347).

Proprio a partire da un’analisi delle illustrazioni adottate nella sezione di geografia dei sussidiari della scuola primaria, vedremo come, non ostante la mole di raccomandazioni prodotte sia a livello ministeriale che editoriale, gran parte degli obiettivi proposti agli editori per promuovere le pari opportunità tra i generi fin dai primi anni della formazione, siano di fatto rimasti disattesi.

Il mestiere del “geografo”

Sulla copertina di “Quaderno di Geografia” (il fascicolo relativo alla sezione di geografia di un sussidiario del 1998) troviamo un ragazzino, guidato da un adulto (presumibilmente un padre o un nonno) alla scoperta del mondo, simbolizzato da un’immagine cartografica.

Quest’immagine di copertina risulta assolutamente paradigmatica nel descrivere la tendenza decisamente trasversale in tutte le sezioni di geografia dei sussidiari della scuola primaria nel rappresentare il mestiere del “geografo” come un’attività declinata al maschile.

Il “geografo” infatti è sempre uomo, a partire dai titoli che spesso vengono dati agli stessi sussidiari, come ad esempio: “L’uomo e il suo cammino”.

Tra gli obiettivi proposti dal progetto “Polite” ripensare il linguaggio era uno dei traguardi principali, poiché “la lingua è la principale forma di comunicazione e le parole spesso trasmettono molto di più del loro significato superficiale”, tanto che per questo veniva esplicitamente segnalato di evitare:

a) gli stereotipi

b) l’esclusione di uno dei due generi

c) l’irrilevanza e l’insignificanza dell’appartenenza di genere

d) il carattere neutro dell’informazione incoraggiando invece “l’utilizzo di un linguaggio attento ai generi, senza che esso risulti artificiale” (Mapelli e Seveso, 2003, p.346).

E’ infatti a cominciare dalla sessualizzazione del linguaggio che molti stereotipi di genere vengono prodotti e riprodotti nel senso comune dei bambini e delle bambine sin dai primi anni di scuola. Per questo un’attenta educazione al genere dovrebbe avere inizio proprio a partire da un utilizzo appropriato del linguaggio: “cominciando a nominare il mondo al femminile, a  dire nelle classi ‘bambine e bambini’, ‘ragazze e ragazzi’, a  mostrare autrici e non solo autori, a  costruire genealogie  femminili, a mostrare autrici e non solo autori, a costruire genealogie femminili, a dire al femminile le donne nelle professioni e nei luoghi che contano”  ( Piussi, 2001, p. 212).

Perché il “geografo” e l’“esploratore”, anche quando vengono rappresentati da personaggi della fantasia come Peter Pan o Robinson Crosue, sono sempre maschi e non vengono mai rappresentati da Mary Poppins piuttosto che Pippi Calzelunghe?

Ricordiamo che, stando alle specifiche indicazioni del progetto “Polite”:

b.1. Nei testi scolastici occorre introdurre un a rappresentazione equilibrata di donne e di uomini (…) sia come individui, sia in contesti collettivi.

b.2. E’ importante che nei libri di testo (…) entrambe i sessi appaiano in un ‘ampia varietà di situazioni in ambiti professionali, pubblici e privati (…)

b.3. occorre superare ogni rappresentazione legata a vecchi e nuovi stereotipi relativi a presunte propensioni e caratteristiche innate di ragazzi e ragazze.

c.2. La visibilità delle donne in qualsiasi disciplina è un punto nodale. Occorre fornire modelli di identificazione a ragazze  e ragazzi (Mapelli e Seveso, 2003, p.345).

Ciò che si verifica nei sussidiari è invece un’estrema dicotomizzazione delle professioni svolte da i due generi: se gli uomini vengono rappresentati nelle loro attività di “geografi”, “architetti”, “professori”, le donne (quando non vengono semplicemente rappresentate come “madri”) vengono invece rappresentate quasi sempre come “impiegate”, o spesso come “artigiane”.

In tal senso il ruolo dell’“artigiana” risulta paradigmatico nell’utilizzo che della donna viene fatto come rappresentativa degli “usi e costumi” di un dato territorio.

La donna in quanto “lavoratrice” viene infatti spesso rappresentata quando si occupa dell’artigianato locale piuttosto che del lavoro della terra e dei suoi prodotti “tipici”, quasi come se la donna, in quanto tale, facesse parte del “paesaggio” (di volta in volta regionale, nazionale o continentale) preso in esame: così donne “toscane” si dedicano alla raccolta dell’uva, donne “indiane” alla raccolta del riso, donne “africane” al lavoro dei campi; sempre e comunque la loro rappresentazione avviene attraverso una stereotipizzazione di tipo al tempo stesso rurale, orientalista e arcaicizzante: donne indiane avvolte nel “tipico” shari, piuttosto che donne lombarde, norvegesi o macedoni rappresentate coi presunti abiti “locali”.

Questo tipo di rappresentazioni tenderebbero dunque a descrivere il corpo e il ruolo della donna come elemento costitutivo del paesaggio, “collocato come oggetto agli occhi del soggetto” (de Beauvoir, 1949, p.189) che l’uomo, invece, in quanto “esploratore”, ha il diritto di esplorare, osservare, fare proprio.

Se dunque all’uomo, in quanto esploratore e osservatore, viene riservato il primato del “soggetto”, la donna, “osservata” assieme al paesaggio di cui fa parte, risulterebbe in ultima analisi mero “oggetto” da osservare, “conservare” (assieme al paesaggio) e congelare, in una sorta di dimensione astorica e atemporale.

Come messo in luce da Enrico Squarcina, “la geografia insegnata alle piccole e ai piccoli utenti della scuola primaria viene solitamente presentata come una descrizione oggettiva della superficie della Terra. Proprio questa presunta oggettività ne fa uno straordinario strumento di diffusione del senso comune e di quell’insieme di valori, significati, miti, interpretazioni storiche, costruzioni intellettuali e chiavi di lettura degli avvenimenti, che penetrano così profondamente la cultura diffusa di una società da divenire fondamento su cui costruire le diverse identità collettive, giustificare il sistema politico vigente” (Squarcina, 2007), tracciare il limite tra rigide e arbitrarie categorie come “nord” e “sud”, “oriente” e “occidente”, “donna” e “uomo”, “Noi” e l’“Altro”.

La costruzione dell’“Altro”

“Dal momento che il soggetto cerca di affermarsi, l’altro che lo limita e lo nega gli è necessario; il soggetto non si realizza che attraverso questa realtà estranea. (…) La donna è considerata non positivamente, in ciò ch’ella è per sé; ma negativamente, come appare all’uomo. La sua ambiguità è l’ambiguità stessa dell’idea dell’Altro: è quella della condizione umana in quanto si definisce nel rapporto con l’Altro” (de Beauvoir, 1949, pp.187-191) .

A distanza di oltre mezzo secolo, l’allora pionieristico pensiero di de Beauvoir pare essere ancora molto attuale, tanto che anche nel progetto “Polite” è presente un’indicazione specifica riguardo al pericolo degli stereotipi e dei pregiudizi di genere in quanto veicolo privilegiato con cui costruire un “Alterità” che di volta in volta può legittimare la volontà di porre dei confini tra il “Noi” e il suo opposto che ci permette di definirci come tali: “occorre che autori e autrici dei libri di testo prestino attenzione e sensibilità al fatto che il sessismo rappresenta la forma originaria, il primo apprendimento di ogni stereotipo, anche di altra natura, culturale, razziale, di pregiudizio sociale” (Mapelli e Seveso, 2003, p.344).

Quando nei sussidiari ci viene proposta l’immagine della donna indiana avvolta dal shari, piuttosto che di una donna “africana” intenta nel lavoro nei campi, ciò che viene prodotto non è soltanto uno stereotipo di genere, ma anche di razza: “noi, uomini, bianchi e occidentali” siamo riusciti infatti ad andare persino sulla Luna, mentre nei cosiddetti “Paesi del Terzo Mondo” le tecniche di agricoltura sono ancora “arretrate” (Mondo aperto, 5, pp. 224-225). Attraverso stereotipizzate rappresentazioni di genere ciò che viene fornito dai testi scolastici a bambine  e bambini sono dunque altrettante stereotipizzate rappresentazioni razziali e ideologiche, legate a una visione del “progresso” secondo la quale il modello di sviluppo “occidentale” risulterebbe il modello unico di riferimento a cui dovrebbero inevitabilmente puntare i cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, non lasciando posto in questo paradigma “per il rispetto della natura preteso dagli ecologisti e per il rispetto dell’essere umano reclamato dagli umanisti”, mentre l’alternativa, secondo Latouche, non può esprimersi attraverso un modello unico, bensì il “dopo-sviluppo” dovrebbe necessariamente essere plurale: “Si tratta di cercare modi di crescita collettiva che non privilegiano un progresso materiale devastante per l’ambiente e per i legami sociali” (Latouche, 2001).

La visione del mondo “sviluppista” sembra inoltre rimanere indissolubile anche all’interno dei discorsi più “politicamente corretti” relativi ad esempio ai fenomeni solitamente raccolti sotto l’ormai sdoganata etichetta del “multiculturalismo”, che all’interno della sezione di geografia dei sussidiari delle scuole primarie sembra addirittura aver trovato un suo “paragrafo”, come ad esempio: “Una grande varietà di gruppi umani”, dove assistiamo ad arbitrarie e sfasate classificazione identitario-razziale piuttosto che “I popoli della terra”, in cui vengono rappresentati “Boscimani”, “Inuit” e “donne a Calcutta” (corsivo nostro), ma in cui non viene mai mostrato alcun “rappresentante” del popolo “occidentale”, e in ogni caso i popoli che vengono mostrati sono sempre rappresentati secondo una lettura di tipo tribalista-arcaicizzante. Lo stesso tipo di produzione discorsiva sembra riprodursi anche quando si cerca di affrontare il discorso dei diversi credo religiosi, dove nel paragrafo “Le religioni”, ad esempio, vengono mostrate soltanto immagini rappresentanti l’Islam, considerata religione “altra”, a discapito dell’assenza di altre immagini rappresentanti, ad esempio, il cristianesimo, come se poi l’“altro” fosse solo “altrove” e non anche all’“interno” del nostro Paese.

Pur con l’intento di promuovere la possibilità di “integrazione” tra le diverse culture, ciò a cui spesso di assiste attraverso le immagini dei sussidiari è per tanto la riproduzione di tutta quella serie di stereotipi razziali e di genere che di fatto trovavamo già all’interno dei romanzi d’avventura ottocenteschi, opere che per altro, come sottolinea dell’Agnese, “vengono tuttora riproposte dal mercato editoriale in modo non critico, con il rischio di veicolare vecchi stereotipi, che oggi vorremmo considerare superati e scomparsi”. A distanza di più di un secolo infatti talvolta le cose non sembrano essere cambiate del tutto rispetto ad allora, quando il paradigma interpretativo di riferimento era quello del colonialismo, “talora declinato nel senso di ‘missione educativa’ nei confronti delle ‘povere creature selvagge’, la cui trasformazione in pieni esseri umani rappresentava l’‘onere dell’uomo bianco’, in altri casi semplicemente articolato in termini di conquista e dominazione. Ragion per cui il protagonista delle cosiddette ‘robinsonade’, vale a dire di quei racconti d’avventura proliferati in epoca tardo-ottocentesca, non era solo maschio, ma anche bianco e possibilmente inglese” (dell’Agnese, pp.36-39, 2004).

In between: superare le dicotomie

Come efficacemente messo in luce da Butler nelle sue prime opere degli anni Novanta, la  produzione discorsiva e al tempo stesso data per scontata sul genere si è sempre articolata attraverso una lettura rigidamente dicotomica dei una realtà ben più complessa (Butler, 1990, 1993).

McDowell sottolinea come “the belief in binary gender divisions has remained a key element of contemporary social practices” e come ciò abbia anche influenzato la struttura tipicamente binaria delle scienze sociali in Occidente (McDowell, 1999, p.11) che, come abbiamo visto, sono le stesse che hanno da sempre legittimato tutto quel tipo di produzione discorsiva di tipo occidentecentrico, tesa all’autoreferenzialità e non in grado di sviluppare un terreno di dialogo “mediante il libero riconoscersi di ciascun individuo nell’altro” per usare le parole di de Beauvoir “ciascuno ponendo insieme sé e l’altro come oggetto e come soggetto in un movimento reciproco” (de Beauvoir, 1949, p.187).

Dall’analisi che abbiamo condotto della sezione di geografia dei sussidiari della scuola primaria in Italia, ci accorgiamo che all’alba del terzo millennio antichi e ormai considerati superati stereotipi di genere, sembrano, non soltanto continuare ad esistere, ma rischiano soprattutto, essendo i libri di testo della scuola primaria uno dei fondamentali veicoli di socializzazione e di produzione culturale delle dinamiche di genere, di continuare ad essere prodotti e riprodotti anche dalle generazioni future.

Le immagini “scelte” dai sussidiari non soltanto non dovrebbero essere “date per scontate” ma potrebbero piuttosto risultare un’importante occasione di riflessione in classe per cercare di mettere in luce e decostruire pericolose stereotipizzazioni e pregiudizi sull’Altro.

Tra i tanti “supporti” con cui è stata costruita la memoria collettiva italiana da ormai più di un secolo vi sono senz’altro i manuali scolastici e tra questi, come abbiamo avuto modo di osservare nel corso di questa breve analisi della sezione di geografia dei sussidiari delle scuole elementari, vi sono appunto i sussidiari, con le loro immagini e le loro rappresentazioni di genere.

Ogni immagine, con tutta la sua forza comunicativa nonché retorica, non soltanto ha il potere di dirci “qualcosa” di culturalmente e storicamente situato, ma ha soprattutto il potere di andare a costruire il nostro senso comune e la nostra memoria collettiva.

Con questo tipo di prospettiva, un approccio più critico nei confronti degli immaginari geografici costruiti attraverso i sussidiari potrebbe dunque aiutare le bambine ed i bambini, e prima ancora le insegnanti e gli insegnanti, a cominciare ad ampliare il proprio sguardo sul mondo e a poter così finalmente costruire quello spazio in between,  per usare le parole di Bhabha, i grado di sovvertire antagonistiche opposizioni binarie fra maschile e femminile, “sviluppo” e “sottosviluppo”, “noi” e gli “altri”, dominati e dominanti,  permettendo così l’emergere di un third place, come spazio di resistenza.

E forse un giorno, per concludere con le  parole di Bhabha, “esplorando questo Terzo Spazio, potremo eludere la politica delle dicotomie e apparire come gli altri di noi stessi” (Bhabha, 1994, p. 60 nell’ed.it).

Bibliografia

BHABHA, H.K. The location of culture, London-NY: Routledge,  1994.

BUTLER, J. Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, London-NY: Routledge, 1990.

DE BEAUVOIR, S. Le deuxième sexe, Paris: Gallimard, 1949.

DELL’AGNESE, E. Immaginazioni ed immagini nella didattica della Geografia Ambiente, Società e Territorio – Geografie nelle scuole, 2004, nº 5.

COMMISSIONE NAZIONALE PER LE PARI OPPORTUNITA’, Pechino 1995. Dichiarazione e programma di azione, Roma: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996.

LATOUCHE, S., Sviluppo, una parola da cancellare. [En línea]. <www.manifesto.it/mondediplo/lemonde-archivio/maggio2001>, 2001.

McDOWELL, L. Gender, Identity and Place, Minneapolis: University of Minnesota Press, 1999.

MAPELLI, B. e SEVESO, G. Una Storia imprevista, Milano: Guerini, 2003.

PIUSSI, A.M.Oltre l’uguaglianza:  farsi passaggio. In AA.VV. Con voce diversa, Milano: Guerini, 2001.

SQUARCINA, E. Un mondo di carta e di carte. Analisi critica dei libri di testo di geografia per la scuola elementare, Milano: Guerini, 2007.

SULLEROT, E. La donna e il lavoro, Milano, Bompiani, 1977.

ULIVIERI, S. Genere e formazione scolastica nell’Italia del Novecento. In AA.VV. Con voce diversa, Milano: Guerini, 2001.

Referencia bibliográfica:

MARTEGANI, Fiammetta . Genere e geografia nei testi scolastici della scuola primaria italiana. Diez años de cambios en el Mundo, en la Geografía y en las Ciencias Sociales, 1999-2008. Actas del X Coloquio Internacional de Geocrítica, Universidad de Barcelona, 26-30 de mayo de 2008. <http://www.ub.es/geocrit/-xcol/163.htm>

Volver al programa provisional