Il secondo dopoguerra, venne caratterizzato, in tutta l’Europa occidentale, dal ridimensionamento delle superpotenze europee e dalla consolidazione dell’ingerenza Statunitense sui Paesi Europei, attraverso gli aiuti del piano Marshall. Il collocamento dei paesi Europei nell’orbita statunitense comportò, ovviamente, una politica dichiaratamente anticomunista. Come in Spagna, Franco venne lasciato al suo posto, in nome dell’anticomunismo, in Italia, teoricamente Stato democratico, si dovettero cercare altre soluzioni per evitare la salita al potere dei forti partiti di sinistra. In questa situazione va ad immettersi la Sicilia, da sempre legata alla storia Italiana, ma da sempre con una sua storia ed una evoluzione particolari.
Questo lavoro vuole ripercorrere le tappe fondamentali dell’Autonomia Siciliana attraverso, soprattutto, l’analisi dello Statuto nella sua applicazione e nella sua evoluzione, dal dopoguerra agli anni settanta- ottanta.
Lo sbarco alleato risvegliò l’atavica voglia di libertà, che sull’Isola si traduceva immancabilmente in fame di terra. Infatti, il movimento contadino che ne scaturì crebbe imponente e quasi inarrestabile. La violenza mafiosa, infatti, non bastò ad arrestare il movimento, ma la volontà politica, si.
La fine della guerra comportò il risveglio delle ideologie politiche e la conseguente rinascita dei partiti di massa che nell’immediato dovevano dare all’Italia una nuova struttura costituzionale e democratica. Però, l’Italia, nella spartizione di Jalta, venne a trovarsi nell’orbita statunitense, e questo comportava soprattutto il tassativo divieto di far salire al potere le compagini politiche di sinistra ed in particolar modo il Partito Comunista ed il Partito Socialista. In questo frangente, venne approvato il progetto di Statuto Autonomo della Regione Sicilia, che impose, quasi, l’ordinamento regionale allo Stato Italiano. Lo Statuto, nello specifico, permise la legiferazione inerente a settori come agricoltura ed industria, svincolando di fatto l’isola dal controllo statale e rallentando lo sviluppo del tessuto economico isolano. Si andò sviluppando un modello deviato della gestione della cosa pubblica, un progressivo allontanamento della politica dal popolo, e la formazione di un megapartito, la Democrazia Cristiana che inglobò in se stessa tutto l’apparato Regione. Questo comportò la ramificazione di una rete clientelare e una diffusione, mai vista prima, del crimine organizzato.
Le leggi fondamentali che la neo costituita Regione approvò furono soprattutto la Riforma Agraria e la riforma Amministrativa; la prima distrusse si il latifondo, ma creò uno strato di piccoli proprietari terrieri, eludendo la ridistribuzione di terra che si chiedeva, che mal si conformarono all’imporsi del liberismo ed alla nascita dell’Unione Europea e soprattutto fu la causa principale dell’emigrazione massiccia che si verificò dalla Sicilia verso il NordItalia e verso l’Europa Continentale; la seconda e servì per la creazione di una classe sociale, la borghesia di stato, cioè quella classe addetta alla gestione della cosa pubblica, terreno fertile per il clientelismo e corruzione. La Storia della Sicilia Autonoma si sviluppa su queste basi. I mafiosi e gli agrari che si erano arricchiti con la vendita dei latifondi, andarono ad investire i proventi nel nuovo business, l’edilizia. In Sicilia si doveva inventare ex novo tutta una rete di servizi, dalle strade ai quartieri popolari delle tre grandi città siciliane, alle dighe, scuole, reti fognarie, tutto era da costruire. I finanziamenti dell’articolo 38 dello Statuto servirono solo ad ingrassare le tasche di mafiosi e politici e a tutto il loro entourage, lasciando l’Isola con i suoi endemici problemi. Questo processo di fusione di poteri trovò il suo apice negl’anni settanta ed ottanta, dove ormai politica e mafia non si distinguevano più, intercambiandosi, molte volte i ruoli, l’esempio più lampante sono in questi anni i Cugini Salvo, grandi elettori DC, proprietari della maggioranza delle esattorie siciliane e essi stessi capimafia. La Sicilia continua a pagare per le nefandezze compiute dalla sua classe politica, incompetente e collusa. Relegata ad una condizione subalterna nell’economia europea.
La metodologia di ricerca si è basata soprattutto nella consultazione delle biblioteche del Senato italiano, della Camera dei Deputati, della biblioteca Giustino fortunato di Roma e della biblioteca nazionale di Palermo, della biblioteca dell’Assemblea Regionale Siciliana e soprattutto dell’Archivio storico dell’Istituto Gramsci Siciliano. Le fonti a cui ho attinto sono soprattutto resoconti parlamentari, sia nazionali che regionali, indispensabili alla ricostruzione dell’attività politica e legislativa della Regione Sicilia e dello Stato italiano sempre riguardo alla vita isolana. L’analisi di quotidiani e periodici dell’epoca ha permesso la comprensione sia dell’evolversi della società civile sia del grado d’interesse popolare riguardo alle istituzioni e per poter spiegare i numerosi fatti di cronaca che nella storia della Sicilia sono collegati a doppio filo con i poteri forti che la governarono, questo coadiuvato dall’analisi di varie commissioni parlamentari, come quelle antimafia o quella sul caso Sindona. Inoltre si è avuta la possibilità di consultare incartamenti personali di personaggi politici di spicco nel panorama siciliano, come quelli dell’ideologo del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia Andrea finocchiaro Aprile o quelli del segretario regionale del PCI Li Causi, nonché molti documenti originali relativi alla vita economica e sociale della Sicilia come Bilanci di società statali o resoconti del Banco Di Sicilia ed infine si è tenuto presente l’evolversi del dibattito storico relativo all’autonomia Siciliana grazie agl’atti dei vari Convegni tenutisi in Sicilia sull’argomento specifico, nell’arco di sessant’anni. Infine un supporto alla ricerca è stato dato dal materiale digitale come la ricostruzione del maxi processo alla mafia dai giornalisti della telegiornale della terza rete o da inchieste svolte da vari giornalisti televisivi.
La Storiografia o comunque il dibattito storico sull’Autonomia siciliana è vastissimo e molto eterogeneo. Si tende però a considerare lo Statuto e la conseguente autonomia come l’unica fonte d’appiglio per risollevare le sorti della Sicilia. Soprattutto a mio parere il peccato originale della storiografia siciliana fu il credere che lo Statuto fosse stato concesso per la paura separatista, quando alla luce dei fatti quello fu un movimento anacronistico nei personaggi che ne facevano parte e non cosi imponente da poter dettare le linee della politica nazionale ed isolana. Il vero nemico, in Sicilia furono i contadini senza terra ma ad una analisi attenta della storiografia si evince che i due argomenti, il movimento contadino e lo Statuto non sono mai studiati in simbiosi ma sempre come due argomenti scissi l’uno dall’altro.
Questo lavoro, fa parte un progetto più ampio che tende a dimostrare come quella italiana sia stata per anni una democrazia bloccata. La Sicilia e il Suo Statuto tendono ad essere considerati, all’interno di questo progetto, come un pezzo del puzzle della democrazia italiana. Le caratteristiche peculiari della Sicilia portarono all’istituzione della Regione. Ma a Palermo come a Roma o Milano si andò sviluppando quel modello di democrazia deviata che caratterizzò lo Stato italiano per i cinquant’anni posteriori alla fine della seconda guerra mondiale. In Sicilia ci si appoggiò alla mafia. Nel resto d’Italia l’alta finanza, i monopoli, e la DC, in combutta con la P2 ed in seguito con la stessa mafia, che riuscì ad ottenere appoggi anche a livello nazionale, riuscirono ad creare un rete di poteri che di fatto svuotò dei suoi cardini principali l’idea di democrazia, riducendo le stesse elezioni, momento di volontà popolare, ad un semplice rito, sterile ed inutile, in quando le politiche nazionali o internazionali erano gia state prese in altri ambienti. Il progetto vorrebbe continuare questa ricerca individuando i poteri occulti che manovrarono la vita italiana e i legami che intercorrevano fra di loro.