REVISTA BIBLIOGRÁFICA DE GEOGRAFÍA Y CIENCIAS SOCIALES Universidad de Barcelona ISSN: 1138-9796. Depósito Legal: B. 21.742-98 Vol. XIX, nº 1062, 15 de febrero de 2014 [Serie documental de Geo Crítica. Cuadernos Críticos de Geografía Humana] |
Arch. Liliana Fracasso
PhD Geografia
Accademia di Belle Arti di Foggia
Recibido: 3 de octubre de 2013; Devuelto para revisión: 11 de noviembre de 2013; Aceptado: 25 de noviembre de 2013
I luoghi inquieti. Nuove tecnologie per l’arte e la città (Riassunto)
Rivisitando il contributo di diversi autori che si occupano di territorio e città, nell’articolo si approfondisce il concetto di luogo inquieto e si definisce quello di tras-luogo mettendolo in relazione con quello di smart cities.
Il tras-luogo, costituito da tracce e indizi, rappresenta un fatto estetico a volte efficacemente narrato non solo a parole ma anche nelle arti visive, nelle mappe o altre forme di trascrizioni urbane che usano nuove tecnologie. Il tras-luogo rappresenta l’altra faccia della mobilità, si caratterizza sia in termini percettivi che cognitivi e merita di essere considerato in fase di diagnosi e di definizione del progetto urbano.
Parole chiave: spazio pubblico, città intelligenti, arte pubblico, luogo, esplorazioni urbane, tras-luogo, post-luoga, luogo inquieto, Smart City
Restless places. New technologies for art and the city (Abstact)
Revising the contributions of several authors that deal with the topics of territory and the city, the article goes deep into the concept of ‘restless/unquiet place’ and defines the concept of ‘trans-place’, linking it together with the so-called smart cities.
The trans-place, the other side of mobility, made out of traces and prints, is an esthetic fact that is sometimes narrated in an effective way not only by the use of words, but by means of visual art, maps or other forms of urban transcriptions using new technologies. Because of its characterization in cognitive and perceptive terms, the trans-place deserves to be considered in the diagnosis and definition of urban projects.
Keywords: Public space; smart city; public art; place; urban explorations; restless site; trans-place
Los lugares inquietos. Nuevas tecnologías para el arte y la ciudad (Resumen)
Revisando la contribución de varios autores, que tratan el tema del territorio y de la ciudad, en el articulo se profundiza el concepto de “lugar inquieto” y se define el concepto de "tras-lugar" poniéndolo en relación con el de smart cities.
El tras-lugar, es un espacio que consta de rastros y huellas, es a su vez un hecho estético a veces narrado de forma eficaz, no solamente con el uso de palabras, sino en las artes visuales, los mapas u otras formas de transcripciones urbanas que utilizan las nuevas tecnologías. Por caracterizarse en términos perceptivos y cognitivos, el tras-lugar, la otra cara della movilidad, merece ser considerado en el diagnóstico y en la definición de los proyectos urbanos.
Palabras clave: espacio público, ciudades inteligentes, arte público, lugar, exploraciones urbanas, tras-lugar, post-lugar, lugar inquieto, Smart City
In Italia, il previsto accrescimento di piattaforme abilitanti per la comunicazione, l’intercambio di informazioni e di servizi in città, determinato dalle politiche di sostegno alle smart cities, ha aumentato anche le aspettative di produrre nuove narrative, idee e sperimentazioni urbane.
Specialmente nelle aree periferiche o di frangia, nelle quali la progettualità aveva rinunciato ad affrontare i problemi generati dal quotidiano vivere, ci si domanda oggi se l’idea di una smart city possa realmente apportare novità alla produzione negli spazi pubblici o se invece l’essere “smart” non significhi altro che l’opportunità di ricevere finanziamenti in tempo di crisi e una mera acquisizione di un nuovo “marchio”, subordinato a operazioni di marketing territoriale del tipo “urbanalizzante”: paesaggi comuni e luoghi globali, ovvero paesaggi indipendenti dai luoghi[1].
Nell’ipotesi di una possibile area di co-progettazione fra architettura del paesaggio, progettazione urbana e arte urbana, motivata dalla volontà di generare nuove realtà cittadine più intelligenti e “performanti”, la performance diviene un fulcro d’interesse e d’attenzione a tutto campo, dal tecnologico, al gestionale, al culturale.
Il saggio affronta in primis il tema della costruzione dell’identità territoriale e narrativa, a partire dalle performance urbane e artistiche. Enuclea gli argomenti attorno a cinque punti, definiti “(s)punti” perché riprendono argomenti già trattati da altri autori, rivisitati e riconsiderati con lo scopo principale di argomentare, per gradi successivi, l’esistenza di un tras-luogo da cui apprendere, per essere davvero più intelligenti o “smart”.
La mobilità, condizione sine qua non della globalizzazione, fa si che ogni cittadino viva di fatto un “luogo inquieto”[2], caratterizzato da dislocazioni fisiche ma anche psichiche ed emotive, spesso motivate dall’instabilità economica o da spostamenti forzati, in cerca di nuove opportunità di lavoro e di vita. La mobilità, che connota il mercato globalizzato e la scala globale, diventa allora molto significativa anche per il luogo-mondo della vita e questo grazie alle tracce che in esso vi permangono.
Si tratta di post (nel linguaggio di internet) o di pòst- (prefisso che indica posteriorità nel tempo) che, nel loro complesso ri-significano incessantemente l’abitato o il visitato, il reale e il virtuale[3].
L’idea centrale sulla quale si sviluppa l’articolo è che a ogni dislocazione spazio-temporale (mobilità) corrisponda un tras-luogo (che ingloba il post, nelle suddette accezioni , e il trans-o tras- come situazione di passaggio) una dimensione di soglia, di compresenza del virtuale e del reale, ancora poco considerata e studiata.
In quanto fatto estetico - oltre che ecologico, in grado di generare degrado - il tras-luogo si caratterizza sia in termini percettivi che cognitivi e, grazie all’uso di nuove tecnologie, è in grado di entrare a pieno titolo nelle fasi di diagnosi e di definizione del progetto urbano. La maniera per farlo è suggerita da certe forme di artivismo[4], mappe e trascrizioni urbane che più di altre pratiche urbane sanno come mettere-in-forma lo sguardo.
Nella letteratura, tra le diverse definizioni di smart cities quella che maggiormente sembra fugare ambiguità, superare il “determinismo tecnologico” e approdare a una definizione più operativa e condivisa è la seguente:
“A city to be smart when investments in human and social capital and traditional (transport) and modern (ICT) communication infrastructure fuel sustainable economic growth and a high quality of life, with a wise management of natural resources, through participatory governance”[5]. (Una città può essere definita smart quando gli investimenti in capitale umano e sociale e nelle infrastrutture tradizionali (trasporti) e moderne (ICT) alimentano uno sviluppo economico sostenibile ed una elevata qualità della vita, con una gestione saggia delle risorse naturali,attraverso un metodo di governo partecipativo).
Nella suddetta accezione di smart city già è stato rilevato come di fatto, il paradigma ecologico (che si rifà alla società del rischio di Beck Ulrich) e quello informazionale (che si ricollega al pensiero della società in rete di Manuel Castells) sembrano incontrare un terreno comune[6].
Per dare ulteriore operatività al concetto di smart cities una
serie di “assi[7]” e
“indicatori” (figura 1) hanno permesso a Body Cohen - esperto in cambiamenti
climatici (climate strategist) e in economia sostenibile - di redigere
graduatorie per identificare, in diversi ambiti geografici – Stati uniti,
Europa, Asia – le prime dieci smart citie[8]. Sebbene i criteri di classificazione risultino essere diversi[9], in ogni caso, come ci si
potrebbe attendere, la graduatoria include città di paesi sviluppati e ciò
sembrerebbe determinato dall’uso o meno di specifiche tecnologie smart.
Figura 1. Smart Cities Whell.[on line] |
Fonte: Body Cohen http://www.fastcoexist.com/1680538/what-exactly-is-a-smart-city 11 novembre 2012 [Consultato: 01 ottobre 2013] |
In America Latina solo recentemente l’argomento delle smart cities sembra riguardare alcune città: Rio de Janeiro (per le infrastrutture previste in occasione delle prossime Olimpiadi); Buenos Aires, dove si riconoscono l’uso di interessanti tecnologie low tech; Santiago del Chile, per un progetto che vede la collaborazione di Chilectra; Bogotà e Medellin invece sono citate tra le città che promettono di essere leader del processo smart.
In realtà pur non essendo nessuna di queste città latino americane inclusa nella graduatoria, vi sono esempi di progetti di eccellenza e sicuramente “intelligenti”. Pensiamo, ad esempio al progetto sulla mobilità urbana nella città di Medellin (Colombia) – opera dell’architetto Alejandro Echeverri con l'agenzia Empresa de Desarrollo Urbano a Medellín – che di fatto realizza, attraverso un sistema di funivie, l’ integrazione del Nordest della città. Già dal 2004 il progetto ha di fatto migliorato le connessioni tre le aree e la comunità, fino ad allora marginale e marginata. L’esito del progetto è stato tale che si è meritato l'undicesimo Veronica Rudge Green Prize in Urban Design consegnato da Harvard Graduate School of Design (GSD).
In Italia - in coerenza con gli orientamenti europei di "Horizon 2020", dell'Agenda Digitale Europea, il Piano Nazionale di E-Government, le azioni in atto nel quadro dell'Agenda Digitale Italiana - la progettazione per la realizzazione di Smart Cities è tutt’ora in fase di promozione.
Il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca nel 2012 ha decreta due importanti bandi nazionali[10] con lo scopo di finanziare “Idee Progettuali di ricerca industriale e sviluppo sperimentale”.
I cospicui finanziamenti provengono dalla Commissione europea che, per rispondere alla recessione innescata dalla crisi finanziaria del 2008, adotta specifici “pacchetti di stimolo” per rimettere in moto l'economia.
Importanti società, università e centri di ricerche per le Regioni a Obiettivo convergenza (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) hanno dato risposta al primo Avviso 84/Ric del 2 marzo 2012, Asse II Sostegno all’innovazione, Obiettivo operativo: “Azioni integrate per lo sviluppo sostenibile e per lo sviluppo della società dell’informazione”, candidando un totale di 17 progetti, ammessi poi a finanziamento per un impegno di circa 400 milioni di euro[11].
Il successivo “Avviso per la presentazione di Idee progettuali per "Smart Cities and Communities and Social Innovation"” (D.D. prot.n. 391/Ric del 5 luglio 2012, scaduto a fine 2012), è rivolto a imprese, centri di ricerca, consorzi e società consortili, nonché organismi di ricerca con sedi operative su tutto il territorio nazionale per i quali il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca assegna 655,5 milioni di euro (di cui 170 M euro di contributo nella spesa e 485,5 M euro per il credito agevolato).
Il compito dei progetti ammessi a finanziamento è risolvere i problemi di scala urbana e metropolitana in ambiti diversi ad alto valore strategico: sicurezza e territorio, invecchiamento della società, tecnologie welfare e inclusione, domotica, giustizia, scuola, gestione e valorizzazione dei rifiuti (waste management), tecnologie del mare, salute, trasporti e mobilità terrestre, logica last-mile, smart grids, architettura sostenibile e materiali, cultural heritage, gestione risorse idriche, cloud computing technologies per smart government.
La logica della città smart trova fondamento nella visione delle città ideali che ha la sua massima espressione nel Rinascimento italiano, connubio di bellezza, organizzazione sociale, governo illuminato. Non esiste una definizione univoca e condivisa di smart city. L’appellativo smart, nell’arco di un decennio, ha identificato la città digitale, poi la città socialmente inclusiva, fino alla città che assicura una migliore qualità di vita[12].
Ci si attende che le piattaforme abilitanti per la comunicazione evoluta e l’interscambio di informazioni e servizi, producano dati importantissimi per il monitoraggio delle città: una potenza narrativa senza precedenti della quale si serviranno tutte le smart communities – per “intercettare problemi emergenti” e, una volta definiti i progetti, “accedere ai budget” senza sprechi alcuni[13].
Nel contesto poc'anzi delineato, le aree di frangia urbana e i processi di rigenerazione di intere parti di città costituiscono un ambito specifico su cui confrontarsi e una importante opportunità di co-progettazione smart che interessa architetti, pianificatori e artisti dello spazio pubblico.
Quali caratteristiche debbano assumere gli spazi pubblici aperti di una città “smart” rappresenta una questione di importanza sostanziale, analizzata e dibattuta con gli studenti di architettura e di belle arti di Torino nell’ambito del workshop “Arte e la città. Smartworkshop di architettura gentile”-. Il seminario-workshop, realizzato del Dipartimento Architettura e Design del Politecnico di Torino ha inteso promuovere forme di architettura meno aggressive e violente, quindi percepibili dagli abitanti come “gentili”.
L’incontro si è realizzato in collaborazione con il Comune di Torino, l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e l’Associazione italiana di Architettura del Paesaggio-Sezione Piemonte e Valle d’Aosta, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Torino. Si è sviluppato, dal 24-29 settembre 2012, al Castello del Valentino, come parte specifica di un più articolato programma di appuntamenti ed eventi concepiti nell’ambito del Festival di Architettura in città.
Per il 2012 il programma si ricollegava all’idea di città come spazio di sperimentazione con espliciti riferimenti alle teorie dell’architettura radicale italiana, attiva dal 1963 al 1973. Significativa la mostra Radical City che ha riunito i progetti teorici di gruppi radicali che raccontano la deriva della metropoli degli anni Sessanta, nella logica del mercato e del consumo.
Il Festival di Architettura 2012 sembra aver stimolato una vivace e suggestiva rassegna di progetti, significativi per carattere innovativo e semplicità di concezione. Se “semplice” significa sintesi di un percorso talvolta anche molto complesso[14], se ne può apprezzare l’importanza e il valore e, soprattutto, la differenza da ciò che può essere ritenuto “facile”. I progetti urbani semplici si contrappongono per definizione alla faciloneria di altri progetti urbani “facili”, ispirati da logiche di “urbanalizzazione”[15], in grado, a volte, di trasformare una città in una icona ma, per dirla con le parole dell’antropologo Franco La Cecla, “se trasformi la tua città in un logo, prima o poi è meglio che vai a vivere altrove”[16].
Per non trasformare in Italia il concetto di smart city in un marchio “facile”, che non tiene in conto la realtà del contesto e dell’identità territoriale (intesa anche come grado di ricettività alle trasformazioni di un territorio), ritengo sia utile riportare il concetto di smart o di “intelligenza” all’etimo della parola, come cercherò di fare a continuazione.
Nell’ambito del citato seminario-workshop “Arte e la città. Smartworkshop di architettura gentile” la riflessione proposta, che qui si sviluppa sull’ipotesi di una possibile “zona di co-progettazione” fra architettura del paesaggio, progettazione urbana e arte urbana, è il proseguimento di un lavoro già avviato in un analogo incontro con gli studenti di architettura del Politecnico di Torino e di Belle Arti dell’Accademia Albertina e di altre Accademie di Italia per il quartiere di Barriera di Milano[17].
La trattazione muove da una sostanziale considerazione: essere “smart”, ovvero “intelligenti”, significa, dalla etimologia stessa della parola, essere in grado di “leggere dentro” o “leggere tra”[18], cercando ogni volta una risposta critica ai problemi, chiedendosi come (e dove) questa capacità di discernimento possa o no avere-luogo (e avere-un-luogo).
Nel senso sopra specificato, si riconosce nel concetto-chiave di “performatività” un interessante trait d’union da esaminare considerando i diversi punti di vista che professionalità e studiosi a confronto manifestano su specifiche pratiche urbane[19]. Chiaramente il concetto di performatività viene riferito soprattutto alle rappresentazioni e alle performance urbane e artistiche e affrontato enucleando gli argomenti attorno a cinque punti (o sarebbe meglio definirli s-punti) critici:
(S)punto 1. La città in ogni cosa
(S)punto 2. Le aree e gli spazi più critici
(S)punto 3. I “luoghi inquieti”
(S)punto 4. I racconti del movimento e della persistenza
(S)punto 5. La forma dello sguardo
L’attribuzione di senso e identità al luogo rappresenta la questione soggiacente con la quale ci si è confrontati in ogni punto ma, come si vedrà più avanti, il concetto di “identità” sarà meglio declinato su quello di identità narrativa.
Le conclusione mettono in sequenza gli elementi salienti apparsi in ogni s-punto per raccomandare, in summa, che, se da una parte, allo sguardo va dato forma, dall’altra lo sguardo va in-formato.
La parola performance esprime un pensiero intrinsecamente controverso, di cui ci si serve spesso per usi divergenti. Metafora centrale e utensile critico, com’è stato definito[20], il concetto di performatività è utile per lo studio di una grande varietà di aspetti dell’attività umana nella contemporaneità. I diversi campi a cui si applica spazierebbero dalla produttività nei luoghi di lavoro (performance professionale), alla funzionalità degli apparati tecnologici, all’arte sperimentale.
Nell’ipotesi di una teoria generale delle performance, a cui starebbe lavorando Jon McKenzie, che tiene conto di tutti i campi dell’attività umana nel quale trova impiego, il termine starebbe ad indicare una nuova ‘formazione di potere e conoscenza’ dominante e globale, disseminata in tre grandi territori: quello delle performance culturali (cultural performance), quello delle performance nel mondo delle organizzazioni (management performance o anche organizational performance) e quello delle performance tecnologiche (technological performance).
Nel primo caso (performance culturali), essa si misurerebbe in termini di efficacia, negli altri due casi (performance tecnologiche e nel mondo delle organizzazioni) –basati entrambi sulla massimizzazione del rapporto costi/benefici- la performance si misurerebbe, rispettivamente, in termini di rendimento e di efficienza. Le performance culturali agirebbero nei confronti delle altre due come un “contro movimento”, una sorta di “controbilanciamento” nei confronti della tecnologia e dei sistemi di gestione o, in senso lato, di governo[21].
Come già è stato evidenziato da F. Deriu, la nozione di performance se espressa in italiano a partire dal verbo inglese to perform può essere intesa secondo tre differenti accezioni del termine: “rendere” , nel senso di fornire una prestazione ad un certo livello, ”eseguire” ed infine “rappresentare “ o “recitare” nel senso indicato dal sociologo ed antropologo Erving Goffman.
La performance come metafora è utilizzata in sociologia (Erving Goffman e Clifford Geertz) per analizzare tutto ciò che l’uomo compie assumendo i diversi ruoli sociali. In antropologia ed etnologia (con gli studi di Victor Turner) la performance è utilizzata quando si studiano i diversi riti, sia nelle società primitive (i riti di iniziazione, i riti della nascita, della morte), sia nelle società evolute (la spettacolarizzazione degli eventi politici, religiosi). In linguistica (Noam Chomsky, ad esempio) si parla di performance linguistica come capacità di adoperare la lingua, la discorsività, la retorica diventando attore nelle diverse situazioni sociali della vita quotidiana[22].
Senza dimenticare la forza incisiva del pensiero di Baudrillard, che definisce la nostra come una società del consumo basata sulla cultura della simulazione e non della rappresentazione, può essere utile servirsi del concetto di performance, intesa come rappresentazione teatrale, per studiare la vita sociale
E. Goffman prende la rappresentazione teatrale come base dello studio dell’individuo, e poi del gruppo: come presenta se stesso e le sue azioni agli altri. La «rappresentazione » viene qui adoperata per indicare tutta quell'attività di un individuo (o equipe), che si svolge durante un periodo caratterizzato dalla sua continua presenza dinanzi a un particolare gruppo di osservatori e tale da avere una certa influenza su di essi.
“Il palcoscenico presenta delle finzioni; presumibilmente, invece, la vita presenta cose vere (…) in teatro un attore si presenta nelle vesti di un personaggio che si riflette nei personaggi proiettati dagli altri attori (…) il pubblico costituisce un terzo elemento dell'interazione: elemento essenziale, che, tuttavia, se la rappresentazione fosse realtà, non avrebbe occasione di esistere. Nella vita quotidiana i tre elementi si riducono a due soli; la parte rappresentata da un individuo è adattata alle parti rappresentate dagli altri, ma questi, a loro volta, costituiscono anche il pubblico[23]”.
Il paesaggio può essere inteso come teatro, nel quale ognuno recita la propria parte facendosi al tempo stesso attore e spettatore, e questa condizione è descritta da Turri. Le concezioni estetico-visionaria degli artisti, funzionalistica degli urbanisti, di significato spaziale dei geografi, o di documento d'epoca degli storici, vengono messe da parte e il paesaggio viene univocamente ricondotto alla sua essenza di «riflesso della realtà fenomenica», di medium del rapporto tra cultura e natura, di referente primo, per l'uomo, del suo agire territoriale.
La metafora del paesaggio come teatro sarebbe utile per rendersi conto che solo smettendo di agire e soffermandosi a guardare da spettatori, si può cogliere il senso che la nostra azione ha nella natura e operare di conseguenza.
La parte che l'uomo recita nel paesaggio gli viene suggerita dal suo farsi spettatore, cioè dalla coscienza del ruolo che egli gioca nel corso della propria esistenza, in quanto membro di una società. Di questa infatti non è solo o semplicemente un produttore, l'homo economicus, ma anche l'interprete di quell'universo di miti, simboli, idee, in cui «abitano le nostre menti»[24], dal quale derivano le rappresentazioni che, ispirando e improntando l'azione, consentono all'uomo un'autonomia creativa (autopoiesi).
Il nostro agire è sempre un recitare, per gli altri e per noi stessi.
L'importanza dell'atto di estraniamento, o allontanamento da sé, che induce l'uomo a farsi spettatore di se stesso, è ricordato da Turri facendo riferimento al pensiero di Paul Valéry il quale sostiene che è proprio dell’estraniamento che nasce «il pensiero del pensiero».
“Paesaggio-teatro è quello che si scopre in certi momenti magici della propria esistenza (…) che esaltano la nostra partecipazione al mondo”[25].
Il gioco della territorialità si espleta grazie alle pratiche urbane, come sostiene Angelo Turco[26], denominate appunto performance. La performance, in tal senso, è come una pratica urbana che ha avuto successo o che, se non l’ha avuto, vale la pena di essere progettata ed esperita. Tali performance sono centrate sul soggetto, “su coloro che se la raccontano piuttosto che su coloro a cui viene raccontata”, si concentrano sugli attanti, “in una accezione che integra l’azione e la narrazione” pertanto, una teoria delle performance urbane corrisponde necessariamente a una teoria della soggettività urbana.
Performance di successo è la vicenda personale, ad esempio, quella di un grande avvocato nella città-questa o del miglior ristoratore nella città-quella. Performance è anche ciò che io ho costruito, nonostante le avversità del contesto. Pensiamo ad esempio alle epopee narrate da capitani coraggiosi, emigranti italiani originari di Terrasini che da cinque generazioni vivono a Gloucester, sul bordo dell’Atantico. Il film dell’antropologo urbano Franco la Cecla, “In altro mare”, ne restituisce il racconto da cui emergono esperienze riuscite ma anche sconfitte.
Nell’auto rappresentazione narrativa dei protagonisti del film di La Cecla, drammaturgie come la sfida, la prova, la scommessa, subiscono un ribaltamento nella storia che mostra, a tratti, un’inaspettata metamorfosi: da una storia vincente a un’altra perdente.
Nel film “In altro mare” emerge ciò che Turco enuncia: la possibilità della performance di essere esperita individualmente ma, allo stesso tempo, di essere vissuta come condivisione, collettivamente, perfino come lotta. Nel caso del film di La Cecla la lotta è tra pescatori, di pesca artigianale e pesca industriale, contro la depredazione insostenibile dei mari, in altri casi, la lotta è urbana.
Per esempio nel caso di Park Fiction, progetto nato in Germania nel 1995, dove attori "attivi - creativi" usano lo strumento artistico (video, performance artistica, produzioni di immagini) per denunciare gli interventi di speculazione immobiliare. Oppure, in quello di Plataforma Salvem el Cabanyal , del Comune di Valencia in Spagna, un progetto che impegna molte persone, da diversi anni, nella difesa di un paesaggio urbano (il quartiere dei pescatori) minacciato da un progetto comunale di trasformazione urbana ad alto impatto. Gli artisti hanno avuto, in entrambi i progetti, un ruolo importante nella lotta. Nel caso specifico di Valencia, attraverso l’iniziativa Portas Obertas, che ha portato gli artisti a creare le loro opere nelle case dei pescatori, con lo scopo di aprirle al pubblico per sensibilizzare e rendere tutti partecipi del problema e, si spera, della soluzione.
Nel pensiero del geografo A. Turco le morfologie urbane funzionano come assetti paratattici, ovvero giustapposizione o coordinazione di fatti e cose diverse (artefatti materiali, storia ufficiale, estetica dominante, ecc.) in grado di sviluppare però anche modelli liminari (di soglia), fluidi, immaginativi di percezione, introiezione e uso della città. La creatività costituisce in tal senso il fondamento della vita urbana. Una creatività che va però intesa come “diffusa”, non elitaria, aperta a progettazioni simboliche, che rende possibile il protagonismo dei soggetti della loro storia; si tratta appunto, della qualità “iscrizionale” delle performance.
Le tattiche acquisitive, descritte da Turco come frammentazione delle pratiche urbane (che intensificano, moltiplicano, pluralizzano il contatto tra i diversi attori) in realtà prefigurano una reticolarizzazione delle rispettive performance. Non esistendo uno schema nella rete di performance essa costituisce una costruzione sociotopica cangiante, multi stabile, non in equilibrio e una semplice “interfaccia” di comportamenti.
“La reticolarizzazione delle performance, mettendo in comune racconti che - come in un’antologia - restano irriducibilmente singolari, proietta nondimeno la storia individuale in un’esperienza collettiva. L’identità narrativa non riguarda un individuo chiuso in se stesso, ma è costitutivamente quella di un soggetto partecipativo”[27].
Anche l’apprezzamento estetico, l’esperienza estetica, è performance, in grado poi di produrre attaccamento al mondo e formazione di un habitus. Nel pensiero di F. Desideri il fatto estetico non è solo una percezione “speciale”, bensì una percezione riflessa: una percezione capace di tornare su se stessa. Questo ritorno assume un carattere performativo appunto e non puramente speculativo o auto-contemplativo.
Orizzonte percettivo e orizzonte linguistico-categoriale sembrano dunque stringersi nel fatto estetico in un unico nodo. Tale idea si fonda sulla considerazione che il “fatto estetico” non è astrazione lontana, che separa i fatti dal loro significato, ma è parte eloquente della vita concreta, è ‘mondo della vita’ nelle sue dimensioni emotive e cognitive. Questo doppio profilo dell’esperienza estetica, emotivo e cognitivo, è dato dalla circostanza secondo la quale, una volta focalizzata l’attenzione sul fatto, la percezione della persona non è mai “percezione pura”, essa attiva due tipi di fattori, quelli di tipo ‘interno’, propri del feedback emotivo, e quelli di tipo ‘esterno’, propri della sua articolazione linguistico-categoriale (vocabolario).
Franz Boas fu il primo antropologo a mettere l'accento sulla relazione intercorrente fra linguaggio e cultura e lo fece nel più semplice ed ovvio dei modi: analizzò il lessico di due lingue, e fece vedere come dal confronto risultassero le differenze di cultura di due popoli. Per esempio, per la maggior parte degli americani, che non passano certo la loro vita sugli sci, la neve é solo un elemento meteorologico: e così il vocabolario americano la può denotare con due soli termini diversi: snow e slush ("neve" e "neve sciolta e/o fangosa"). L'esquimese é invece ricco di molte parole: ognuna designa la neve in una condizione determinata e specifica. Tale ricchezza di termini appropriatamente descrittivi ci rivela che per gli esquimesi la neve non é un mero elemento meteorologico, ma la più importante delle caratteristiche ambientali[28].
“Il giudizio estetico (e l’esperienza che implica) anticipa la dimensione cognitiva dell’esperienza (a partire, ovviamente, dal suo necessario nucleo percettivo); l’anticipa attivamente: orienta verso di essa (…) Nei confronti dello sviluppo dell’atteggiamento cognitivo (…), la dimensione estetica dell’esperienza sta prima, sia in un senso temporale (dal punto di vista evolutivo) sia in un senso strutturale”[29].
Si spiegherebbe così il motivo per il quale i problemi estetici non si possono risolvere solo in termini psicologici.
“I nostri usi di bello e affini, i nostri giudizi estetici - osserva (…) Wittgenstein - implicano forme di vita e con esse un’intera cultura: un modo di vedere e organizzare sensatamente il mondo (…) Se dico che “qualcosa è ripugnate o attraente”, implico necessariamente che lo vedo (o l’ho visto) come tale: implico, insieme ad un apprezzamento (estetico) nei confronti di un oggetto (di un ritaglio di mondo), la memoria di un’esperienza percettiva di esso e di una risposta emotiva nei suoi confronti”[30].
In primo luogo sembra necessario chiedersi che cosa sia oggi la città dato che essa non può più essere pensata come un “oggetto spaziale definito e auto evidente, che si identifica per opposizione ad altri oggetti, che rappresentino il suo contrario”[31].
“La città è ovunque e in ogni cosa“[32]perché globalmente connessa e perché tende ad espandersi di continuo.
In quanto città-diffusa suscita un interessante e polemico interrogativo che solleviamo facendo riferimento alle parole del geografo Horacio Capel, espresse nel 1991 in occasione del Laboratorio Europeo di Urbanistica organizzato dalla Escuela Técnica Superior de Arquitectura di Barcellona sul tema “Progettare le periferie”. Il laboratorio affrontava il tema della nascita di una nuova forma di urbanizzazione, la città diffusa appunto, e della correlata idea positiva di valorizzare le periferie[33].
Le periferie, che considerate in quel contesto erano intese come territori da “onorare” ma comunque “territori architettonici”, apparivano suscettibili di attenzioni “troppo corporative” tanto da suscitare in Capel il sospetto che si trattasse di un “rinnovato interesse di finanzieri e politici per lo spazio urbano di espansione delle città”. Per questo, con riferimento alla città diffusa, Capel si chiedeva: “Hasta dónde de difusa? La respuesta es importante para conocer las dimensiones de la tarea[34]” (fino dove diffusa? La risposta è importante per conoscere le dimensioni del compito).
I territori “vuoti” delle periferie, nei quali si può lasciare che “voli liberamente l’immaginazione”, luoghi considerati dell’ “indeterminazione”, allora come ora, richiedono in realtà un approccio progettuale prudente e quanto mai attento alle preesistenze, alla realtà delle indicazioni ambientali.
In tal senso, sono da considerare interessanti le analisi del biologo, naturalista ed ecologo Ramón Margalef sulla questione urbana. La teoria dell’evoluzione rappresenta un punto di svolta e di interpretazione del mondo e della natura. L’uomo non è separato dal mondo ma ne è geneticamente connesso. Nonostante ciò non sarebbero in tanti a ricordarsene e la maggior parte della cultura, e di chi si occupa delle città, sarebbe del tutto ignorante circa la visione biologica del mondo.
“La mayor parte de las personas que se ocupan de planificación, construcciones, transportes, etc., buscan muy poco su inspiración en la naturaleza y, sin embargo, en ella se puede encontrar una gran cantidad de inspiraciones; tenemos los mismos problemas” [35]. (La maggior parte delle persone che si occupano di pianificazione, costruzioni, trasporti, ecc., cercano pochissima ispirazione nella natura, tuttavia en essa si possono incontrare molte fonti d’ispirazione; proprio perché presenta gli stessi nostri problemi).
Dal punto di vista dell’organizzazione dello spazio Margalef ci ricorda che alcuni organismi posizionati nella cuspide dell’evoluzione hanno risolto in maniera esemplare i problemi energetici. Le piante terrestri o i coralli, ad esempio, per produrre il proprio alimento “mungono” l’energia senza doverla “mangiare”, si organizzano spazialmente in modo tale da ottenere efficientemente tutti gli elementi nutritivi di cui hanno bisogno. Nella città, l’organizzazione dello spazio non può essere concepita sull’organizzazione dell’individuo, la pianificazione va associata alle caratteristiche sociali dell’uomo e questo soprattutto perché l’uomo non solo utilizza energia esosomatica[36] in grandi quantità ma si circonda di artefatti esosomatici: le case, le strade, ecc.
Le città sono in toto artefatti esosomatici ed esiste una stretta correlazione tra la dimensione delle città, la effettività delle reti di comunicazione, strade o altre vie, e il forte consumo di energia. La crescita di grandi conurbazioni, grandi maglie, è associata ad una valore medio-alto di consumo di energia esosomatica.
Tra gli studiosi del territorio, esiste consenso nel considerare che i confini della città sono ormai divenuti troppo permeabili ed estesi, sia geograficamente che socialmente, ciò rende impossibile pensare la città come una totalità; essa non ha più un’integrità, un centro e parti definite. La città è invece “un insieme di processi spesso disgiunti e di eterogeneità sociale, un luogo di connessioni vicine e lontane, una concatenazione di ritmi; ed è sempre in movimento verso nuove direzioni”[37].
Il sociologo Bauman ci parla di un mondo post-moderno in totale movimento, “ma di un movimento disordinato, dove un cambiamento di posto non è diverso da un altro, e dove comunque non è possibile decretare differenze in quanto non è più possibile iscrivere una dimensione temporale in una distanza spaziale, e sia lo spazio sia il tempo non sono più sistemi ordinati e internamente differenziati”[38].
“Ogni progetto territoriale deve partire da una mappa di queste fluidità che in dati momenti interrompono qua e là il tessuto consolidato dell’ordine spaziale. E una mappa di questo tipo richiede, oltre a quella sensibilità della congiuntura storica, che va sotto il nome di “immaginazione scientifica”, una pratica di esplorazione trans-scalare dello “spazio”: dal locale al globale e quindi dal consolidato al fluido, dall’ordine al disordine, dall’omogeneo al differenziata, dal necessario all’indeterminato, dal metrico al topologico, dalle rappresentazioni normali ai loro scostamenti dal vissuto reale”[39].
La città contemporanea, sosteneva l’urbanista Secchi, ha perso la tradizionale linea di divisione fra città e campagna, suscita un profondo stato d’angoscia, determinato essenzialmente dal suo aspetto dissipato e frammentato di fronte al quale si verifica un' impasse teorica e una sfiducia nelle generalizzazioni. La città contemporanea presenta un carattere frazionato, si disperde nel territorio e tende ad inglobare altre popolazioni; in essa vi è disordine ed eclettismo, incertezza e la probabile assenza di un punto di vista condiviso[40].
Meno angosciato dell’urbanista sembrerebbe oggi lo sguardo sulla città ad opera di design, artisti o creativi per i quali pare sempre possibile una lettura urbana attraverso i segni culturali, sia espliciti che impliciti. Come con tali segni sia possibile trovare la giusta via per un design urbano inclusivo e responsabile è una questione ancora in dubbio[41]. Tuttavia, è possibile leggere e restituire collettivamente l’“immagine della città” attraverso nuove mappature: ‘texture culturali’ che consentono di decodificare i linguaggi insiti nei luoghi urbani e di trasferirli nel progetto, spesso sotto forma di una “scrittura scenica” volta a definire una nuova narrazione[42].
Le argomentazioni di J. Bruner circa il pensiero dell’essere umano riportano due differenti modalità di gestione del pensiero: da una parte quello razionale, che è logico-scientifico o paradigmatico e ha una forma lineare, sequenziale, razionale; dall’altra quello narrativo, che assume la funzione connettiva di costruzione di senso delle azioni attraverso lo sviluppo di processi interpretativi della realtà. Il pensiero narrativo non è lineare, ma reticolare e costruisce il ragionamento attraverso inferenze e indizi scelti nella lettura della realtà.
C. Petrucco, trattando l’argomento del digital storytelling[43], cita J. Bruner ricordando che l’espressione portante del pensiero narrativo è il discorso narrativo grazie al quale il vissuto può divenire comprensibile, comunicabile e può essere ricordato. Il pensiero narrativo può esplicitarsi attraverso molteplici forme testuali e relative modalità di fruizione e poiché per “testo” è da intendersi un qualsiasi mezzo di comunicazione, le espressioni del discorso narrativo saranno pertanto oralità, scrittura alfabetica, racconto iconico, racconto filmico, racconto digitale, narrative multimediali.
Per interagire nella rete, servendosi quindi del computer, nell’opinione di C. Petrucco, gli strumenti della costruzione del discorso narrativo saranno del tipo sincronico (simili al parlato) e consentiranno di interagire indipendentemente da vincoli spazio-temporali (posta elettronica, mailing list, bacheca elettronica, web forum, blog), oppure del tipo asincronico e consentiranno l’interazione indipendentemente dalla condizione fisica degli spazi ma vincolando la comunicazione alla simultaneità (chat, l’instant messenger, l’audio e video conferenza, mondi virtuali interattivi).
Jerome S. Bruner sosteneva che “il mondo appare diverso a seconda di come lo si pensa”; in tal senso, nel pensiero narrativo la concezione della realtà non è più da intendersi come cosa data ma come presupposizione, indizio, narrazione, appunto, e corrisponde ad una interpretazione soggettiva.
Nella post-modernità la città meccanica e organica è diventata città di flusso e movimento, ciò nonostante gli spazi urbani non possono che essere localizzati, specifici e vissuti. La comunità non è una identità conosciuta, fissa e unitaria ma è piuttosto una continua aspirazione a rifarsi mediante negoziazioni conflittuali e confuse.
Da una parte l’urbanistica teme le trasformazioni della città di flusso, non coglie l’impossibilità della disciplina di gestirle autonomamente e lascia poco spazio all’astuzia, all’improvvisazione, alle combinazioni e alle esperienze della città vissuta[44]. Dall’altra, il “paradigma” della mobilità d’accordo con un approccio olistico, ribadisce l’inadeguatezza delle rappresentazioni dei fenomeni urbani. Come mappare e calcolare il movimento? Diverse sono le scale e tipi di movimento di cui si parla, dal corpo umano alla finanza. Il movimento coinvolge esseri umani, idee e oggetti: come avviene che essi si muovono in maniera interconnessa e come l’uno può abilitare o intralciare l’altro? Un’attenzione crescente si presta al luogo e all’individuo: ciò che è in movimento non può che percepirsi in relazione a ciò che è in stato di quiete.
Chi vive la città si serve delle tecnologie e dei media per la comunicazione e l’informazione. L’interattività degli utenti telematici crea luoghi specifici, spazi pubblici virtuali per condividere conoscenze, informazioni ed emozioni. Nelle piazze virtuali il pensiero viene scritto e condiviso da diverse persone. Nuove mappe mentali descrivono gli spazi esperiti con procedimenti di co-cartografia o community mapping; le web communities contribuiscono alla creazione di “realtà aumentata” o di specifiche tassonomie (folksonomy) che referenziano geograficamente, attraverso social tagging e social mobile tagging -informazioni da condividere. Spesso le suddette produzioni collettive digitali si utilizzano per descrivere lo “stato” del territorio in tempo reale, utilizzando mappe per segnalare all’amministrazione pubblica problemi e questioni relazionate con l’impegno civile e favorire così la ricerca partecipata di soluzioni rapide ed efficaci[45].
L’eredità diretta della tradizione flânerie trova nelle nuove tecnologie espressioni inedite del discorso narrativo oltre a un preciso campo di formazione, di ricerca-azione e di produzione artistica (urban exploration o Urbex).
Tra i grandi cambiamenti della città postmoderna Bernardo Secchi aveva sottolineato quattro importanti fattori di trasformazione: l’autonomia dell’individuo, la concentrazione/dispersione urbanistica, la nascita della dimensione “quotidiana” e la democratizzazione dello spazio. Il sorgere del quotidiano è da intendersi sia come dimensione corporea che temporale della città.
Ma la tardiva comprensione della quotidianità nell’urbano, avrebbe generato l’abbandono da parte del progetto di intere parti di città lasciate a se stessa. Parti appunto periferiche e di frangia, diverse dall’essere “città”, lasciate in assenza di un progetto e di significato perché considerate una forma di degenerazione della città moderna.
Nella città-diffusa e poi nella città-flusso, l’aumento vertiginoso della diversità di situazioni determina nuove pratiche quotidiane, nuove dimensioni temporali, nuove relazioni spaziali. La dimensione quotidiana della città contemporanea è quella della moltitudine, della molteplicità e dell’autonomia dei soggetti. In esse il quotidiano non può essere banalizzato, vi sono troppi aspetti interessanti e astratti che vanno considerati attentamente: la relazione tra l’esperienza personale, la memoria individuale e quella collettiva, il tempo individuale, il tempo collettivo e lo spazio.
Lo spazio urbano, reale o virtuale, diventa momento per l’invenzione di nuove pratiche, nuove forme di sviluppo, nuove forme di apprendimento. Pensiamo solo alla potenza della cognizione distribuita, concetto di Howard Gardner, allievo del già citato Jerome S. Bruner, a cui hanno fatto poi riferimento Pierre Lévy -Professore in Comunicazione all’Università di Ottawa- e Derrick De Kerckhove -Direttore McLuhan Program in Culture & Technology dell’Università di Toronto- per argomentare, rispettivamente sull’esistenza di forme di intelligenza collettiva e connettiva.
“Anziché considerare la cognizione come un fenomeno isolato che si produce all’interno della testa, bisognerebbe vederla come un fenomeno distribuito, che supera i limiti delle singole persone per comprendere il suo ambiente, i suoi strumenti, le sue interazioni sociali e le sue culture”[46].
Se la città è in ogni cosa, che cosa è dunque il non urbano? Una questione spinosa che riguarda direttamente le frange urbane e le potenzialità intrinseche che esse custodiscono, sia in termini di pianificazione ecologica, che di riforma urbana o di progetto.
“El área que rodea las ciudades es una de las más críticas de la Tierra”[47] (l’area che circonda le città è una delle più critiche della Terra).
Tale criticità la dimostrano i peculiari caratteri di questi luoghi di transizione, tra città e campagna, zone di frontiera ad altissima complessità, in cui la perdita e il degrado dei valori identitari sembrerebbero più accentuati. Carenza di organizzazione, velocità di trasformazione, contrasto tra elementi e spinte contrapposte centrifughe e centripete, in cui permangono caratteri di incompiutezza[48], sembrano essere i tratti generalmente caratterizzanti le aree di frangia[49].
Ciononostante, in termini generali, favorire un “patto città-campagna” sarebbe possibile, ristabilendo le necessarie sinergie tra città e territorio circostante e ricostruendo quelle relazione in grado di risolvere la crisi della qualità ambientale. Tale patto si baserebbe essenzialmente sulla definizione dei nuovi confini urbani e sull’idea, appunto, di progetto degli spazi aperti[50].
Le città potrebbero crescere come alberi creando opportuni nessi tra produzione di energia, acqua e cibo[51] ma, per dirla con le parole di Margalef, le città, come gli alberi, non sono fatte per crescere indefinitamente. Inoltre, l’organizzazione dello spazio non può essere concepita sull’organizzazione dell’individuo.
In contrasto con quest’ultimo punto sono apparse invece nuove pratiche urbane dal significato emblematico. Ad esempio nella città di Barcellona sono apparse le “sedie per autistici” fotografate da Capel nel Jardìn del Clot de la Mel. Si tratta della sostituzione di panchine pubbliche con sedili mono-posto posizionate spesso in modo da evitare il contatto visivo tra chi le usa. Questi elementi di arredo costellano diversi spazi pubblici della città, dimostrando in maniera sintomatica le contraddizioni nella politica urbana - specialmente evidenti in piazze, giardini e parchi urbani e metropolitani - e la criticità del “modello Barcellona”.
Di ben altra opinione è l’antropologo La Cecla, riferendosi sempre a Barcellona e al suo modello di sviluppo urbano, opina che le “sedie per autistici” sono una geniale invenzione, “l’invenzione della panchina singola, quella in cui ci si può leggere in pace il giornale”; egli si dice “meravigliato di una cultura cittadina che non scambia il diritto a sedersi e a vivere seduti per strada come una pratica da barboni”[52].
Sebbene la città debba essere per principio “tutta di tutti”, come sostiene A. Turco, il carattere pubblico della città e dei suoi spazi pubblici aperti appare profondamente in crisi, negato in tutti i suoi elementi, come sottolinea E. Salzano. “A cominciare dal suo fondamento: la possibilità della collettività di decidere gli usi del suolo, o attraverso lo strumento patrimoniale (proprietà pubblica dei suoli urbanizzabili (…), appartenenza pubblica del diritto a costruire), oppure attraverso quello di una pianificazione urbanistica efficace, autorevole, condivisa da chi esercita il governo in nome degli interessi generali[53]”.
Anche il potere economico nella città, così come il suo aspetto, è diffuso, sfuggente, imperante, basato prevalentemente su un’economia di circolazione che vede i luoghi essenzialmente come nuovi soggetti e agenti economici.
Oriol Bohigas sostiene provocatoriamente che in realtà si esalta il caos come un valore, poiché non sembra esserci, tra gli addetti ai lavori, nessuna intenzione ad intervenire nella trasformazione della società; l’etica si limita alla disciplina (urbanistica), e i modelli estetici e filosofici risultano inadeguati. Per Bohigas il disegno della città è una forma di produttività sociale, culturale e politica ma la rilevanza sociale e culturale del disegno non può essere scambiata con l’azione di un gestore illuminato, un riformatore eroico, altrimenti si rimane ancorati alle posizioni di Le Corbusier, che diventano di ingegneria sociale, totalitarie e di puro formalismo estetico dato che concepiscono la “città come macchina”.
Bohigas solleva questioni non di poco conto, e precisi interrogativi: lo spazio pubblico, il cambio sociale e il progetto culturale costituiscono un’ultima utopia? L’arte nella città e l’appropriazione dello spazio costituiscono un progetto ancora moderno? In termini di storia e modernità, può lo spazio pubblico fondere il futuro ed il passato? L’arte in relazione alla natura degli spazi pubblici è ancora chiusa nella torre d’avorio? Lo spazio pubblico, da residuo della speculazione può divenire protagonista e motore dello sviluppo urbano?
L’ambiente costruito ha un ruolo importante nella forma e nel condizionamento del vivere ma da ciò non si può dedurre erroneamente che i cambiamenti pianificati in quello stesso ambiente siano sufficienti per produrre trasformazioni nella percezione, nella vita mentale, nelle abitudini e nei comportamenti delle persone. La città-vissuta è molto differente dalla città-pianificata e dalla città-concetto. Il punto di vista dell’antropologo Fernando Diaz, ad esempio, considera che lo spazio urbano corrisponde in sostanza a particelle di terreno messe in vendita e il disegno urbano a questione di gusto e fantasia personale. Più interessante ed effettivo sarebbe rintracciare nelle contraddizioni la possibilità di sussistenza della società e di promuovere il proprio sviluppo.
I principi che regolano il già citato patto tra città e campagna radicano nei concetti del milieu locale e milieu innovateur, ovvero “nei fenomeni di sviluppo spaziale [interpretati] come effetto dei processi innovativi e delle sinergie che si manifestano su aree territoriali limitate”. Si tratta dunque di un insieme di relazioni che portano un sistema locale a unità di produzione - costituito da un insieme di attori , rappresentazioni e cultura imprenditoriale - che genera un processo dinamico, localizzato, di apprendimento collettivo”[54].
Non approfondirò qui l’argomento, piuttosto cercherò il punto di vista che, da una parte, è ereditato dalle tradizioni dell’urbanesimo, che si sono servite di metafore per cercare di leggere e descrivere la città nella sua dimensione quotidiana, dall’altra é determinato dal “bisogno di narrativa” emerso da più campi disciplinari e che si servono della multimedialità e dell’ipertesto come nuovo strumento del comunicare.
Per ciò che concerne l’uso di metafore, per leggere e descrivere la città anche nel quotidiano, vale la pena sottolineare con le parole di G. Dematteis che “la concezione metaforica permette di trattare questo problema [rapporto Terra e società umane] senza negare che gli uomini vivono sulla (e della) Terra e senza considerare il mussulmano come un deviante”[55] Quanto espresso riconduce dunque l’argomento a questioni di valore sociale, di natura geografica e di rappresentazione dei processi in atto.
Studiosi e analisti urbani hanno cercato nei segni (impronte urbane e identificazioni), nei ritmi (il senso del luogo e del tempo), nella transitività (flânerie e psicogeografie), di comprendere cosa e come si generi la vitalità della città, o il suo contrario, ovvero come si è giunti alla morte di parti di essa, a partire proprio dalla morte della strada.
La strada “assassinata”, lo è non solo nel suo significato compositivo più autentico, come sosteneva Secchi, “determinato cioè da una coerenza formale tra delimitazioni e definizione dello spazio aperto ed edificato, l’uno contiguo all’altro senza interruzioni”[56]. Concepita come “una vita che adesso per la prima volta è … destinata a sparire” oppure come uno “spazio de-materializzato”, la strada “si configura come incerta zona di frontiera, di ostacoli, di rischi. Diventa emblema della paura che la divora e che la fa esplodere (…) spazio di coagulo di una “alterità” che rifiuta ogni radicamento nei luoghi e nelle norme condivise (…) indica la rottura nei confronti di una idea classica dell’abitare e dello “stare per strada”; fattore propulsivo di aggregazione, spazio fruito senza identificazione, luogo del nomadismo urbano” [57].
Eppure è proprio sulla strada che si realizzano studi e processi artistici che rivelano, attraverso drammaturgie e memorie, altre e più complesse criticità nei luoghi dell’abitare e della transculturalità.
Dal lavoro di ricerca e di produzione artistica di Francisco Cabanzo ad esempio, la suddetta criticità dei luoghi emerge dall’incrocio di più dati “glocal”: 1) il racconto del paesaggio e dell’immaginario cheyenne presente nei versi del poeta Tsististas (Cheyenne del Sud) Lance Henson[58]; 2) la testimonianza di vita di questo poeta nativo d’America, reduce dalla guerra in Vietnam e vittima assieme ai suoi avi di una atroce processo di colonizzazione; 3) i luoghi esperiti durante il viaggio Oklahoma/Nararachi vissuto da Francisco Cabanzo, Lance Henson, Federico Lanchares per girare il documentario artistico[59] e rivelare la drammatica trasformazione del paesaggio e dell’immaginario. Gli esiti dell’imponente lavoro di ricerca sono stati presentanti in una suggestiva installazione multimediale[60] che rende palesi la tesi e il concetto di “densità significativa” di cui si avvale. Si tratta della “mappa” di luoghi “invisibili” apparsi nei poemi di Henson, lungo la strada del peyote: situazioni, momenti, evocazioni, memorie che si ricavano soltanto attraverso il viaggio e che danno significatività al territorio.
“Un urbanesimo del quotidiano deve penetrare nell’intreccio fra carne e pietra, umano e non umano, cose immobili e flussi, emozioni e pratiche”[61]
La maniera come si forma l’identità territoriale, nei suoi caratteri tipologici e individuali/paesistici è spiegata da Alberto Magnaghi nei termini seguenti: “la formazione dell’identità territoriale (…) avviene tenendo presente che i cicli di territorializzazione successivi al primo si trovano di fronte ad un ambiente naturale già trasformato culturalmente in territorio; ogni ciclo costruisce la propria territorializzazione interagendo ognuno con i segni, le tracce o i sedimenti (permanenze o persistenze) dei precedenti, e con neoecosistemi (tessuti agrari, boschi piantumati, colline terrazzate, acque regimentate, infrastrutture, città, borghi, ecc.) non più con l’ambiente naturale originario. Questi sedimenti sono frutto di lunghi processi selettivi e coevolutivi, dunque sapienti nella loro forza di permanere nel tempo “[62].
La territorializzazione a cui si riferisce Magnaghi, e che ricorda le operazioni di “risignificazione” della “città testo” come si vedrà più avanti, è meglio definita dal geografo A. Turco come “un grande processo, in virtù del quale lo spazio incorpora valore antropologico”[63]. In tal senso, il luogo è un “dispositivo di individualizzazione spaziale configurativo della territorialità”[64].
Figura 2. Cicli di
territorializzazione. Fonte: Elaborazione propria a partire da A. Magnaghi e A. Turco |
Figura 3. Forme di controllo sul territorio Fonte: Elaborazione propria a partire da A. Magnaghi e A. Turco |
“L’appropriazione intellettuale è l’atto originario che conferisce a ciò che è dato, lo ‘spazio naturale’, un valore antropologico e lo rende per tale via un artefatto, ossia un ‘territorio’”[65].
La capacità di descrivere, interpretare e rappresentare l’identità e le peculiarità dei luoghi, costituisce la base del progetto urbanistico e territoriale. Descrivere e rappresentare l’identità dei luoghi, nell’opinione di A. Magnaghi, significa eseguire “un percorso analitico complesso che può avvalersi di approcci percettivi olistici: l’immagine pittorica, la fotografia, il racconto, la poesia, la biografia; possono articolarsi nella descrizione grammaticale e sintattica degli elementi che compongono la struttura linguistica del paesaggio che vediamo”[66]. Per interpretare “attivamente ed in maniera operante” l’identità di un luogo, sembra imprescindibile però procedere per scomposizioni analitiche, che consentono di interpretare ciò che vediamo (o, più in generale, percepiamo con i sensi) e considerarlo “come esito complesso, stratificato, dinamico di un processo storico in cui si dà un susseguirsi di processi coevolutivi fra società insediata e ambiente”[67].
Il controllo materiale del territorio[68] e quello organizzativo[69] identificati da A. Turco, non rappresentano che due dei tre importanti aspetti del processo di territorializzazione. Il terzo è relativo al controllo simbolico, e riguarda i significati del mondo, come esso ci appare visivamente, come lo si percepisce, in “tutti” i sensi e come lo si rappresenta. Quest’ultima forma di controllo si realizza tramite il ricorso al linguaggio e soprattutto, il ricorso alla parola, con l’uso della denominazione appunto: “dire la terra e/è farla”[70].
Declinare il concetto di identità territoriale sull’identità narrativa significa per noi riporre l’attenzione sulla performatività nei termini espressi nel primo capitolo e sull’esistenza di qualche reciprocità tra pratiche artistiche e le pratiche urbane. Tale reciprocità si fonda sull’esigenza condivisa di rendere “abitabile” un luogo, ristabilendone il nesso tra la società locale e il proprio contesto - come vorrebbe fare oggi l’architetto o pianificatore, ampliando di conseguenza i modi in cui lo spazio potrebbe essere abitato[71] - oppure, come vorrebbe fare l’artista, riconducendo il senso del luogo “ai sensi”, facendo emergere in questo modo la necessità e la essenzialità dell’invisibile.
L’identità narrativa rappresenta il prodotto di un rapporto di trasmutazione che si stabilisce tra territorio e paesaggio. Il paesaggio è un medium della comunicazione performativa e l’identità narrativa è il modo in cui il soggetto si auto-rappresenta e si rappresenta come protagonista di una storia che egli vive nella città. La scena urbana si trasforma in paesaggio solamente ad opera di una azione drammaturgica, di iscrizione di una storia nello spazio, esattamente come avviene in un’opera teatrale (figura 4).
Figura 4. Landscaping. |
Fonte: elaborazione propria a partire da A. Turco |
Un’opera teatrale
intesa però come performatività in senso lato, il cui significato si può
cogliere, ad esempio, nelle parole di A. Balzola, P. Rosa e nelle produzioni
artistiche di Studio Azzurro.
“La drammaturgia si rinnova oggi nella performatività cross-mediale e interattiva, straripa dalla scena teatrale e si rivela capace di attraversare tutti i territori e i linguaggi, creando habitat e dispositivi tecnologici in grado di produrre esperienze reali contemporanee e concrete, elaborare narrazioni che esprimano il presente, e quindi capace di trasformarsi in un laboratorio antropologico diffuso”[72].
Le azioni drammaturgiche vanno considerate come espressività multimediali, trasmediali o ipertestuali e come potenti strumenti di mediazione educativa che si affiancano alla narrazione[73].
La mobilità, condizione sine qua non della globalizzazione, fa si che ogni attante viva di fatto un luogo mobile, caratterizzato spesso da identità in transito. Siamo diventati tutti viandanti, turisti, vagabondi dice Bauman e, come ci ricordano Perla Zusman e Cristina Hevilla, l’esperienza del viaggio trasforma –implicitamente o esplicitamente - le visioni che i soggetti posseggono dei propri luoghi di origine, dei luoghi di destinazione, delle popolazioni che vi risiedono e anche delle loro proprie identità[74].
La globalizzazione spinge le economie a produrre l'effimero, l'instabile, per l’obsolescenza - reale o percepita - dei dispositivi e degli oggetti, il precario, posti di lavoro temporanei, flessibili, a tempo parziale[75]. “Anche se non affrontiamo strade o non saltiamo da un canale all'altro, siamo in movimento in un altro senso, più profondo, non importa che ci piaccia farlo o che lo detestiamo (…). Non si può «stare fermi» sulle sabbie mobili”[76].
Il luogo mobile è espressione dell’articolazione di multiple appartenenze, incrocio di riferimenti locali e globali, propri e alieni, dentro e fuori, vicino e lontano, che rimettono in discussione la relazione tra valori, credenze, fantasia e immaginari con la materialità degli oggetti dei rispettivi luoghi.
Il luogo “inquieto” è mobile e poi ibrido, multiplo, cambiante e solo da qualche anno oggetto di studio geografico in quanto luogo in movimento.
Figura 5. Correlazione dei termini e asse della riflessione. |
Fonte: Elaborazione propria |
Consapevoli che la
qualità topica del luogo è fondante l’agire e che da essa discende l’azione,
viene da chiedersi, come fa A. Turco, se stiamo “liberando il luogo dalla sua
prigione referenziale”. In tal caso, Turco le conseguenze le ha già
prospettate: ci si aspetta da questa liberazione la metamorfosi delle pratiche
discorsive e un accrescimento dell’importanza della capacità di
rappresentazione.
L’essenziale della suddetta metamorfosi consiste “nell’esplosione di un’energia informazionale e comunicativa accumulata e veicolata dalle parole che, uscendo alla servitù di un uso immediato e diventando finalmente dei costrutti, amplificano l’intelligenza dei fatti, delle situazioni e, perché no, delle “cose”, [aiutandoci] (…) così a spiegare e comprendere”[77].
Nel luogo inquieto è ancora più esasperata la tensione tra ciò che è mobile e ciò che è immobile. Tensione che si stabilisce naturalmente tra una concezione di “abitare” e l’altra di “appropriarsi” di un luogo, ben riferita dall’antropologo F. La Cecla e simpaticamente espressa nel testo di una canzone catalana di Jaume Sisa “ Oh! Benvinguts, passeu, passeu. de les tristors en farem fum. A casa meva és casa vostra,si és que hi ha casa d’algú[78]”.
“Piaccia o meno, noi siamo condannati, come tutti gli esseri viventi, a dover fare i conti con la nostra fisicità e con quella dell’ambiente”[79].
Se da una parte mobilità e velocità, insiti nella realtà occidentale postmoderna, generano una tale distrazione da rendere invisibile il mondo percepibile, dall’altra la tele-osservazione - secondo la quale l'osservatore non è più in contatto immediato con ciò che osserva - rende ugualmente “trasparente” la realtà.
Nel pensiero di F. La Cecla, la dimensione quotidiana dell’abitare non sarebbe influenzata più di tanto dall’ “ebbrezza della velocità” ma “il vero problema della velocità è che oggi non ci è più dato di occuparne lo spazio (…) Un ostacolo alla narratività è che lo spazio è diventato discreto (…) frammentato, è impossibile renderne la dimensione continua. La paura che ci fanno le città è paura di scivolare lungo i bordi, di cadere nell’inframezzo, paura di perdersi nella terra di nessuno, sui bordi tra un quartiere e l’altro, tra una città e l’altra, nell’indistinto tra luoghi che conosciamo e luoghi che necessariamente dobbiamo ignorare, trasformare in tempi di percorrenza”[80].
Come spiega Turco, la produzione di senso del paesaggio, comunque legata alla materialità dello spazio (intesa come materialità dello spazio identitario) ha a che fare con percezioni, evocazioni, sensibilità estetiche o “morali”, sentimenti, affetti, religioni, ideologie. Tra gli stati materici dello spazio e quelli emotivi non vi sarebbe però un rapporto diretto, ma transazioni metaforiche che avvengono sia nella sfera materiale che in quella simbolica mediante culture visuali. Lo sguardo dei giovani che è educato dal cinema e dalla televisione in massima parte, solleva, in tal senso, interessanti quesiti a proposito del modellamento intellettuale in atto nella società contemporanea.
Nel pensiero di Paul Virilio la dimensione fisica perde progressivamente il suo significato e il suo valore analitico, in quanto diviene suddivisione e smontaggio della realtà percettiva “ l'assenza di percezione immediata della realtà concreta ingenera uno squilibrio pericoloso fra sensibile e intelligibile”, crea la “deregulation delle apparenze”. Ciò avrebbe un effetto paradossale: la trasparenza generata dalla trasmutazione dell’apparenza sensibile degli oggetti in tele-osservazione e telecomunicazione dei dati dell'immagine[81].
Dare voce all’ineffabile, rendere tangibile l’invisibile, dimostrare indirettamente che non esistono una sola forma o una sola voce per partecipare e contribuire all’interminabile processo di creazione di senso della realtà rappresenterebbero l’eroico sforzo dell’artista contemporaneo.
Di fatto, nell’opinione di Bauman, l’arte di oggi condividerebbe la stessa sorte della cultura postmoderna ovvero, coerentemente con la definizione di Baudrillard, sarebbe simulazione piuttosto che rappresentazione pertanto, più che preoccuparsi della realtà, sarebbe lei stessa realtà.
L’opera d’arte creerebbe così il proprio spazio, le visioni ma anche il loro significato, conferendo senso o identità a qualcosa privo di senso, di riferimenti e di identità. Come una delle tante alternative della realtà, l’arte si configurerebbe dunque con il proprio repertorio di premesse, di meccanismi e di procedure per “inverare” tali premesse e auto riprodursi.
Baudrillard come il filosofo Yven Michaud pensano che nell’attualità la grandezza dell’arte si misurerebbe dalla sua diffusione. Bauman concorda, considerando che l’importanza dell’arte è determinata non dalla forza della voce o dalla potenza dell’immagine, ma dalla potenza degli altoparlanti e dall’efficienza delle stampanti; gli artisti non avrebbero però potere né sugli uni né sulle altre.
Il luogo può costituire una realtà intensamente mutante e in continua dismissione? E in tal caso di che tipo di luogo si tratta?
La mobilità, oltre a connotare l’ambito globale, può essere significativa anche per il luogo, e in che termini?
Esiste una dimensione “intima” del luogo tale da poter essere indossato come un “abito” (come direbbe Virilio con riferimento all’habitat) però da levare poi all’occorrenza?
Se attanti, viandanti e nomadi lo siamo tutti, e attraversiamo continuamente nel nostro andirivieni luoghi e nonluoghi è dunque plausibile pensare una proliferazione di spazi saturi di “post”: nuovi antefatti per i seguenti viandanti in transito? Le tracce degli atti[82] consumati da chi è andato, possono costituire nuovi e mutanti paesaggi urbani per chi vi sopraggiunge?
Il luogo è memoria[83] e il no-luogo[84] indifferenza e anonimato, ma può esistere un tras-luogo, un post-luogo, fatto sostanzialmente di rotture e discontinuità?
Post = ‹póust› s. ingl. (propr. «posta, corrispondenza»; pl. posts ‹ póusts›), usato in ital. al masch. – Nel linguaggio di Internet, messaggio (un articolo vero e proprio o un breve intervento), lasciato dai frequentatori di blog, forum o altri spazî di discussione, in risposta a una domanda, a commento di un determinato argomento, ecc.[85]
pòst- = [dal lat. post, post- «dopo, dietro»]. – Prefisso di molte parole composte, derivate dal lat. o, più spesso, formate modernamente, nelle quali indica per lo più posteriorità nel tempo, col senso quindi di «poi, dopo, più tardi». Tranne pochi casi in cui ha funzione avverbiale (come quando è premesso a verbi), ha di solito funzione prepositiva rispetto al secondo elemento, che può essere un sostantivo o, più spesso, un aggettivo (postpliocene, postmoderno, postoperatorio)[86].
tras- = [dal lat. trans «al di là, attraverso»]. – Prefisso che entra in composizione di molte parole (soprattutto verbi) derivate dal latino o formate modernamente. Può indicare: 1. a. Movimento oltre qualche cosa, passaggio al di là: trasgredire; quindi passaggio da un punto a un altro: trasferire e traslazione, trasfondere e trasfusione, traslocare, trasmettere, ecc.; quindi, fig., passaggio da una condizione a un’altra, cambiamento, mutamento: trascrivere, traslitterare; trasfigurare, trasformare, ecc., con i rispettivi derivati. b. Passaggio attraverso un corpo, un materiale o un oggetto: traslucido, trasparente, traspirare. 2. Dal sign. di passare oltre può evolversi quello di non curare: trasandato, trascurare; o quello di superamento di un limite: trascendere. Con quest’ultimo senso, premesso a un agg., ebbe anche, nell’uso ant., un valore accrescitivo (per es., trasricchire, da tras- più ricco), funzione che nell’uso mod. è stata assunta dal prefisso stra- (straricco). V. anche tra- e trans-[87].
Il termine tras-luogo vuole indicare con un neologismo[88] ciò che rimane dopo che un soggetto, individuo o collettivo, si appropria fugacemente di un luogo. Rappresenta ciò che rimane di quello spazio dopo che il soggetto si è “accomodato” e lo ha “abitato”; è l’impronta che l’azione, individuale o collettiva, lascia in esso. Abitare un luogo, anche se per appena qualche ora (ma forse sono sufficienti pochi minuti) significa trasformarlo. Abitare un luogo anche solo in modo “effimero” significa renderlo differente, poiché in esso vi permangono energie, aura … , vi si cospargono minuscoli o grandi indizi, tracce che non lasciano mai indifferente chi vi sopraggiunge. Uno spazio così trasformato, “si vede” ma soprattutto “si sente” emotivamente, si percepisce, con una potenza proporzionale all’intensità con la quale quel posto è stato vissuto, in un dato momento.
L’interesse per la percezione del mondo, ricostruita attraverso l’osservazione delle tracce lasciate come memoria delle esperienze quotidiane, emerge di recente nel campo del design della comunicazione[89]. Ciò sembrerebbe determinato dall’incremento delle possibilità tecnologiche di registrare o di annotare queste tracce, così come di interpretare questi artefatti fisici in registrazioni significative.
“Sono diversi i modi attraverso cui si tiene traccia dell’esperienza quotidiana. Le tracce, come tacche, crepe di muro, giallo di nicotina sulla dita del fumatore, l’impronta di un animale sulla neve, la ritualità, le tracce riconoscibili tecnologicamente (…) In un contesto urbano, le tracce possono comporre dei pattern comportamentali creati dalla ripetizione involontaria di diversi azioni di più soggetti (…) Osservare questo fenomeno è importante perché caratterizza il momento in cui la soggettività, uscendo fuori di sé, costituisce atti sociali e inoltre permette di conferire una certa fisicità e credibilità ad alcuni dati dell’esperienza sociale spesso intangibili e inconsistenti”[90].
L’artista messicano Gabriel Orozco, che “interpreta la propria cultura e la propria tradizione in modo contemporaneo unendo lo sguardo dell’individuo globale allo sguardo locale”[91] ha colto in tal senso l’idea di spazio e la relazione tra gesto e immagine. Le sue opere fotografiche ci tornano utili per la grande efficacia con cui trasmettono visivamente l’idea e la suggestione del tras-luogo o post-luogo.
Nell’opera fotografica Waiting Chairs (1998) [92], collezione del The Metropolitan Museum of Art di New York, Gabriel Orozco fotografa in un viaggio in India, una fila di sedie di plastica disposta come quelle in uso nelle “sale” di attesa ricavate negli atri di molte stazioni italiane. Le sedie, addossate a una parete in marmo, per l’uso ripetuto e le impronte di teste unte di grasso che hanno macchiato la parete, rivela con tracce spettrali la presenza umana attraverso l'assenza. La foto stimola la curiosità e la pietà per tutti quelli che hanno atteso appoggiando, in un atteggiamento di abbandono, la testa indietro frustrati, stanchi, annoiati, forse arresi; in un solo scatto, la precarietà della condizione umana.
Figura 6. Gabriel Orozco. Waiting Chairs (1998) [on-line]. |
Fonte:Fotografia. Dimensioni: 40,6 x 50,8 cm. The Metropolitan Museum of Art http://www.metmuseum.org/Collections/search-the-collections/282769? [Consultato: 01 ottobre 2013] |
Nell’opera Extension of Reflection, 1992 , il tras-luogo si legge nelle impronte lasciate sull’asfalto dalle ruote di bicicletta che hanno segnato in circolo e più volte lo stesso luogo. “Usando l’acqua riportata delle pozzanghere come il colore e le ruote della sua bicicletta come il pennello, l’artista ha dipinto sulla strada tante circonferenze che si sovrappongono e si intersecano. Il riflesso dell’acqua viene esteso nel cerchio, simbolo di un infinito e ciclico ripetersi destinato però ad asciugarsi e scomparire al sole”[93].
Nell’opera Dog Circle, 1995 è invece lo scodinzolare di un cane seduto sul pavimento impolverato che lascia la traccia di un semicerchio. “In questo caso la fotografia non documenta una situazione ma diviene rappresentazione concreta di un fenomeno transitorio e spesso invisibile”[94].
Ma è forse nell’opera My Hands Are my eart, 1991 che la suggestione del tras-luogo si rivela in maniera chiara e significativa, con due scatti. Nel primo due mani, in primo piano, all’altezza di un torace glabro, stringono, si intuisce, una materia plasmabile configurando nel gesto un cuore. Nel secondo scatto, le mani si schiudono e lasciano vedere la materia plasmata, marcata anche dall’intensità emotiva del gesto. “Il calco delle mani dell’artista sulla terracotta non è un’immagine finita ma testimonia, nella sua fisicità il rapporto tra materia, spazio ed intenzione. La sequenza fotografica mostra il cuore contemporaneamente come soggetto e oggetto, forma e processo, origine dell’idea ed effetto della sua metamorfosi. Se nell’uso della terracotta è implicito il riferimento al passato, nella sua essenza organica e mutevole è racchiuso lo scorrere del tempo”.[95]
Singolari metodologie di esplorazione sono sorte in materia di information visualization che palesano l’interesse per il potere di trasformazione delle tracce in informazioni concatenate, con capacità di rappresentazione visiva e/o materiale dei fenomeni astratti.
Figura 7. Gabriel Orozco. Extension of Reflection (1992) [on line]. |
Fonte: Fotografia C-print, Dimensioni: 40,6 x 50,8 cm. The white review
http://www.thewhitereview.org/art/gabriel-orozco-cosmic-matter-and-other-leftovers/extension-of-reflection/
31 marzo 2011 [Consultato: 02 ottobre 2013] |
Nel progetto Farbenmeer, Paint Attack[96], ad esempio, ritorna il concetto di Orozco ma con altre finalità: le ruote di bicicletta e le tracce dei pneumatici delle automobili imbrattate da colori diversi segnano i percorsi lungo le strade urbane, rilevando i flussi di traffico per quantità e direzione, producendo progressivamente un esteso lavoro artistico partecipato.
Nel video Pedestrian Levitation Research di Thomas Laureyssens (2005)[97] sono i pedoni di Place Flagey, a Bruxel, che attraversando liberamente le strade nel traffico marcano movimento su movimento (quello delle auto e quello dei pedoni), la traccia delle individualità nello spazio pubblico. La registrazione a volo-di-uccello e l’uso di un software che rielabora fotogramma per fotogramma il percorso di ciascun pedone, mostrano con una linea verde evidenziata nel video, la distanza tra la progettazione (del percorso ad opera dell’urbanista) e l’uso reale della città da parte degli abitanti e tutta una serie di condizionamenti imposti al naturale procedere (mai lungo una linea retta) di un persona. Thomas Laureyssens è artista, ricercatore e interaction designer, che si interessa di giochi e interventi ludici nello spazio urbano e di come questi possano poi essere utilizzati per creare ambienti urbani più socievoli.
Nella tabella 1 si riportano alcuni esempi di tracce che Nogueira[98] ha esaminato per la valenza informativa in esse contenuta.
Tabella 1. Tracce e information visualization |
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Fonte: D. Nogueira |
Tuttavia, le tracce di un tras-luogo costituiscono l’indizio di un “abitare fluttuante”, che si manifesta con forme nuove, effimere, cangianti; un posto piccolo o grande, privato o pubblico, intimo o estraneo nel quale però si è realizzata una breve ma intensa compenetrazione spazio-temporale.
Per chi vi sopraggiunge e le osserva, il riconoscimento delle “tracce” nel tras-luogo è la manifestazione di una rottura della relazione distratta, indifferente o apatica con lo spazio sensibile e “trasparente” di cui ci parla Virilio. Rottura che si genera nel momento in cui viene captata la complicità uomo-luogo, complessità, seduzione del luogo e, allo stesso tempo, la fragilità relazionale di co-adattamento psichico-fisico-emotivo-spirituale.
Ciò che si dà nel tras-luogo è un’esperienza personale, soggettiva e, al contempo, un fatto estetico da individuare in termini percettivi e cognitivi con lo scopo di mettere-in-forma-lo-sguardo, come vedremo più avanti.
Nel tras-luogo o post-luogo, chi c’era non c’è più, chi ha partecipato è già andato via; se c’era una festa o una riunione, essa si è già svolta, se era una sfilata di moda, i fatti sono già successi e se c’era la finzione, la messa in scena di un gioco da bambini, la fantasia è scemata[99].
Il tras-luogo è spazio liminare: in esso non è sufficiente l’osservazione empirica e lo studio si basa sulla qualità dell’interrogazione (teorie) e delle congetture (metodi)[100].
Il tras-luogo è metonimia: come in un viaggio è l’atto di passare da un luogo/noluogo ad un altro ma è anche l’effetto generato dall’abbandonare il luogo/noluogo appena “abitato”.
“Quanto distante è lontano?” si chiede Franco La Cecla, analogamente ci chiediamo -quanto dura il tempo di un tras-luogo?. Non c’è ritorno nel tras-luogo, neppure facendo mente locale. Forse appellandosi alla memoria delle sensazioni o nell’eventualità di un rituale ma, recuperare pienamente cioè che nel tras-luogo si è lasciato, riprendere le cose dallo stesso punto, rincontrarsi con uno stesso posto è impossibile.
Will Eisner, conosciuto fumettista statunitense, diceva che raccontare storie è qualcosa di profondamente radicato nel comportamento sociale dei gruppi umani, sia antichi che moderni, ma raccontare storie richiede talento. Le storie aggiungono uno spessore drammatico alle relazioni sociali e ai problemi della vita, trasmettono idee o incarnano fantasie. Le storie sono usate per insegnare il modo in cui ci si deve comportare all'interno della comunità, per discuterne i valori e la morale, per soddisfare una curiosità.
L’importanza e l’interesse della narrazione è riconoscibile in diversi campi disciplinari delle scienze umane, per le implicazioni identitarie e di integrazione sociale, educative e formative, di terapia e cura psicologica, sia a livello individuale che socioculturale.
Andrea Fontana, esperto in storytelling e narrazione di impresa, fondatore in Italia della prima società italiana nel campo della consulenza narrativa d’impresa sostiene che “le storie sono potenti. Invadono le nostre vite. Ci rimangono per anni nell’animo e poi esplodono nelle nostre realtà ”. I risvolti pratici di un simile approccio anche nella pubblicità si hanno, ad esempio, nelle storie virali, ovvero nei racconti di marca capaci di diffondersi in modo esplosivo nel web, oppure nei racconti costruiti ad hoc per vendere e ottenere consenso.
Le narrazioni urbane sembrano invece stimolate dall’esigenza di “dicibilità” dei processi e dei sistemi complessi, di configurazione spaziale, rispecchiamento o costruzione dell’appartenenza sociale, interrogandosi sulla rappresentabilità o no-rappresentabilità dei fenomeni.
La costruzione della città attraverso la comunicazione, il racconto e il coinvolgimento degli abitanti potrebbe essere ricondotta ad uno specifico modello di pianificazione, quello del “communicative turn” descritto da Patsy Healey negli anni novanta, che ravvisava nella teoria dell’agire comunicativo di Jürgen Habermas il fondamento per pianificare la città e il territorio in maniera partecipativa o collaborativa, attraverso il dibattito[101].
L’argomento è stato affrontato nella mia tesi di dottorato in geografia “La partecipaciòn en los procesos de planificaciòn. Los casos del la Agenda 21 de Cartagena de Indias y del Parque del Montseny”. Il lavoro sosteneva che è possibile imparare a pianificare meglio il territorio ripercorrendo criticamente i discorsi e le narrazioni che sostanziano il processo stesso di pianificazione, specie se volente ( nel caso di Cartagena de Indias) o nolente ( nel caso del Parque del Montseny), esso si svolge in maniera più aperta e dialogica dell’ abituale. Chi scrive ha partecipato direttamente al processo di pianificazione della gestione ambientale e dell’Agenda 21 di Cartagena percui la tesi di dottorato ha rappresentato una opportunità concreta anche per un intimo lavoro di autovalutazione.
Il “come” ripercorrere il discorso del processo di pianificazione si è rilevato il punto più critico dibattuto tra gli esperti intervenuti nella discussione della tesi, suscitando una riflessione dialettica[102] tra chi sosteneva, sulla base di un pensiero razionale, la possibilità di un’analisi del discorso e di una “scienza del testo”, credendo possibile tale approccio per favorire i processi di pianificazione partecipata e chi, invece, sulla base di un pensiero narrativo, vedeva nella retorica (aristotelica) un’altra forma di conoscenza[103] e di generazione dei processi di pianificazione deliberativa.
“Los tres tópicos retóricos aristotélicos ethos, pathos, lógos son elementos heurísticos que alientan la atención y la comprensión de los hechos en toda su complejidad”[104] (I tre topici della retorica aristotelica ethos, pathos, lógos sono elementi euristici che favoriscono l’attenzione e la comprensione dei fatti nella loro complessità).
Il “Linguistic Turn” degli anni Ottanta, il “communicative turn” e “spatial turn” degli anni novanta fino al tentativo dell’ultimo decennio del “Mobilities turn”[105]significano dal punto di vista geografico, da una parte, un contributo all’ordinamento territoriale e dall’altra, un bisogno reale di descrivere e narrare per agire sulle nuove forme di “spazialità” della globalizzazione, della cultura[106] e dell’economia postmoderna[107], superando gli approcci tradizionali.
Il bisogno di esprimersi sui fenomeni in maniera nuova e più dinamica, ad esempio, spinge la ricerca al superamento delle rappresentazioni dei sistemi cartografici tradizionali, per catturare il dinamismo dei sistemi e le forme immateriali di territorializzazione determinanti per le nuove idee dello spazio-“processo”[108]. In tal senso, anche il Web rivela i “ quasi-luogo ” che conformano specifici “paesaggi” in Internet e rende possibile la costruzione partecipata di nuove rappresentazioni.
Il diffondersi di storie raccontate con l’uso delle nuove tecnologie e della rete (digital storytelling o narrative multimediali) determinano specifici ambiti di produzione artistico-scientifico-tecnologico. Nel campo scientifico, danno forma a un focus metodologico e di azioni collegate alla conoscenza, alla riflessione e all’esplorazione della realtà. Nel campo artistico, le narrazioni digitali si esprimono attraverso il film e le produzioni video, l'interattività, l’ipertestualità (o il racconto nel web), l'animazione, la pubblicità, il trans media o forme di comunicazione non convenzionale. Le nuove tecnologie permettono la produzione di veri e propri ambienti virtuali immersivi e interattivi: multimedialità necessaria per valicare le narrazioni letterarie.
Il singolo medium non ci appare più sufficiente per raccontare o descrivere l’esperienza (quale linguaggio?); anche il cinema, che interseca elementi dei linguaggi verbale, musicale, figurativo, performativo, fotografico e altro ancora, appare insufficiente e inadeguato alla realtà. Come del resto appariva insufficiente e inadeguato nella storia del pensiero artistico occidentale la sintesi delle esperienze artistiche, nonostante i molti esperimenti delle avanguardie e dei precursori delle arti multimediali digitali.
Peter Greenaway, ad esempio conosciuto regista e pittore, da diversi anni sta cercando un modo alternativo per poter raccontare in modo efficace una storia, ad esempio “narrando una vicenda con una sequenza cromatica o con diversi sfondi musicali che accompagnano i personaggi nel loro spostarsi da un luogo all’altro, risemantizzando in modo decisivo le parole che gli attori pronunziano” [109]. Egli sostiene che in occidente a causa di un sistema culturale depauperato, la maggior parte della gente è analfabeta visuale[110]. Per Greenaway il cinema è degenerato in “testi illustrati” e rappresenta oggi un medio per raccontare storie agli adulti prima di andare a dormire, alla stessa stregua dei libri illustrati. Questo “cordone ombelicale” testo-cinema, non è stato ancora reciso e il “testo” assieme al “contesto”, l' ”attore” e la “fotocamera” rappresentano per il citato regista le quattro tirannie del film.
Il nesso che unisce l’arte, l’architettura e il cinema è stato efficacemente esplorato da Giuliana Bruno che ci riconduce alla ricerca di un collegamento dei sensi con la città, poi raccontato dalle sinestesie. L’aptico viene inteso come il fattore di formazione dello spazio, sia geografico, sia culturale, e, per estensione, di articolazione delle stesse arti spaziali, tra cui Bruno include il cinema.
“Secondo l'etimologia greca, aptico significa "capace di entrare in contatto con” (...) Caratteristica fondamentale del tatto, che influenza evidentemente la natura stessa delle interfacce aptiche, è la bidirezionalità nello scambio di informazioni. La percezione avviene con uno scambio di energia meccanica e di informazioni tra il corpo e l'ambiente che lo circonda (…) il regno dell'aptico gioca un ruolo tangibile, nel nostro “senso” comunicativo della spazialità e della mobilità, modellando la trama dello spazio abitabile e, in definitiva, tracciando i nostri modi di essere in contatto con l’ambiente”[111].
Le interfacce aptiche (HI Haptic Interface) e l’uso di software di grafica 3D ci permettono di creare ed esplorare un mondo virtuale completando le percezioni visive con quelle audio e tattili.
Ciononostante, in qualunque modo si cerchi di narrare, se si tratta di storytelling il nocciolo resta la correlazione che si instaura nella rappresentazione narrativa della realtà tra i processi di interpretazione, quelli di proiezione e quelli di riflessione. La narrazione è sempre un atto conoscitivo e comunicativo e si svolge con la riappropriazione del vissuto (attribuzione di senso ai fatti) e condivisione della conoscenza acquisita, e la rappresentazione attraverso l’utilizzo di artefatti linguistici.
Narrare significa anche mettere in moto -specie nel racconto autobiografico- un processo di trasformazione di Sé. I racconti dell’esperienza personale e i racconti del senso comune aiutano a conoscere e rinsaldare i legami sociali.
Quando anche la città viene concepita come un “testo”[112] (o ipertesto), si mette in evidenza “almeno un’altra qualità[113], (…) di un dispositivo di comunicazione o di registrazione che interviene nei rapporti sociali con quella caratteristica efficacia simbolica che è propria dei segni. I testi sono rilevanti nella vita sociale non solo per ciò che sono materialmente, ma per la loro capacità di richiamare altro da sé”[114].
Nella metafora “città testo”, i luoghi possono essere considerati come centri di addensamento comunicativo e di sovrapposizione di significati nel territorio, pertanto non avrebbero valore in sé, ma solo in riferimento a un certo sistema di credenze, aspettative e conoscenze. In base a questa logica, il senso dei luoghi cambierebbe per il senso che vi è proiettato dalla società, esso sarebbe dunque sempre storicamente collocato e incessantemente "risignificato".
Nella maggior parte dei casi non esisterebbe, dunque, un senso originale del luogo o comunque esso non sarebbe immediatamente accessibile, per via della stratificazione culturale. In tal modo, la progettazione e ristrutturazione delle città sarebbe sempre più vista come uno strumento della comunicazione, del potere e delle città, considerate queste ultime come soggetti competitivi sul piano economico, turistico e culturale (secondo il paradigma del marketing territoriale)[115].
“In quanto testo della cultura”, Jurij Lotman sintetizza il concetto della città testo nei termini seguenti: “proprio il poliglottismo semiotico, che in linea di principio caratterizza ogni città, la rende campo di conflitti semiotici diversi, impossibili in altre condizioni. Riunendo insieme codici e testi nazionali, sociali, stilistici diversi, la città realizza vari ibridi, ricodificazioni, traduzioni semiotiche, che la trasformano in un potente generatore di nuove informazioni”[116].
La figura 8 mostra i tweets geolocalizzati relativi alle proteste del movimento 15M o indignados scesi in piazza il 15 ottobre, a New York, San Francisco, Barcellona e Madrid e altre capitali del mondo occidentale.
Figura 8. Oscar Marin Miro, Alejandro Gonzalez, et. alt. 15th October on Twitter Global Revolution ‘Mapped’ [On line] |
Fonte: Paradigma Labs NYC, SFO, MAD and BCN Twitter coverage 15 October 2011 protests http://vimeo.com/61251974 19 Dicembre, 2011 |
“Non è forse evidente che non appena la sequenza lascia il posto alla simultaneità, si entra nel mondo della struttura e della configurazione?” M. McLuhan
Il centro “LABoral” di Gijón, in Asturias, Spagna è un centro di arte e creazione industriale inaugurato nel 2007 come spazio interdisciplinare per favorire lo scambio artistico e stimolare le relazioni tra società, arte, scienza, tecnologie e industrie creative[117] (tabella 2A).
Il progetto multipiattaforma “Cartografía ciudadana”, promosso dal suddetto centro, utilizza la mappatura come il principale strumento di lavoro. Si basa sui processi sociali attivati da cittadini che, auto-organizzandosi in maniera libera e volontaria, producono contenuti/saperi e dispositivi espressivi di comunicazione. Le produzioni si realizzano mediante pratiche sociali che mobilitano saperi, scienze e tecnologie varie. Nell’ambito di Cartografía ciudadana si generano nuove conoscenze che permettono a chi le produce di essere in grado di evolversi ed innovare dal punto di vista sociale, organizzativo e/o tecnologico sviluppando la mappatura del territorio (fisico e/o digitale, topografico e/o semantico) e favorendo le relazioni tra gli agenti che lo trattano (tabella 2).
L’elaborazione di mappe intese come spazi collaborativi costituisce un interessante progetto di MEIPI Spazi collaborativi. Si tratta di uno strumento open source, con cui gli utenti possono aggiungere informazioni e contenuti in un punto qualsiasi sul globo terrestre. Ogni meipi ha un particolare contesto che può essere locale (quando l'argomento riguarda un'area specifica), o tematico (quando si tratta di una particolare idea) (tabella 3).
Diverso per concezione, anche se muove da analoghi presupposti, è il progetto R.U.A. Realitat Urbana Augmentada – Cartografia social: Zones de Compensació che ricerca trasformazioni urbane mediante sistemi di cartografia sociale. Si realizza attraverso mappe artistiche che elaborano e trasmettono le informazioni come il riflesso di una visione soggettiva del mondo. Mappe di suoni, odori, sentimenti, sensazioni, stati d’animo sono così considerati altrettanto necessari come possono esserlo le mappe topografiche, delle strade o delle reti di comunicazione. La filosofia del progetto è collaborativa, con lavoro di campo realizzato coinvolgendo anche persone che abitano nei dintorni del settore urbano esplorato. Il risultato è inteso in termini di “piattaforma di produzione artistica di scambio di conoscenze territoriali locali, con la finalità di offrire risposte globali”[118] (tabella 2).
Tabella 2 Urban explorer - community mapping. Progetti/opere esaminate. |
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Fonte: Elaborazione propria |
Altre interessanti sperimentazioni artistiche si servono delle nuove tecnologie per realizzare la mappatura di realtà invisibili della città. MediaLab e il programma “Red Libre, Red Visible. Realidad aumentada y redes inalámbricas”[119], ad esempio, con l’uso dell’applicazione Carnivore e dell’utilizzo dei punti di accesso libero ad Internet, rende possibile raccogliere i flussi di informazione che si generano dentro una zona determinata e contrassegnata nel Centro Cultural Conde Duque di Madrid. Mediante dispositivi di realtà aumentata si può visualizzare il fluire tra le reti wirless, trasformando lo spazio pubblico in un foro di comunicazione virtuale e reale. E’ possibile partecipare ai laboratori organizzati in questo modo e poter registrare messaggi o musiche che ricordano le sensazioni, i sentimenti o le azioni avvenute in quel luogo specifico, assegnando nel contempo un ruolo morfologicamente attivo alla città (tabella 2).
Numerose sono poi le produzioni on-line di mappe emotive o progetti che propongono l’utilizzo di applicazioni tipo IPhone che permettono di scattare, ad esempio nel “grigiore” della città di Milano, fotografie oppure scrivere commenti, associandoli a un’emozione precisa.
“Luoghi reali che rievocano luoghi interiori grazie a ricordi personali e alle memorie di valenza emotiva, che persistono nel tempo e vanno ad arricchire la personale mappa della geografia della memoria. Narrando la propria esperienza individuale la si memorizza e la si fissa per formare una memoria sociale, in grado di raccontare l’anima dei luoghi e parlare degli individui e delle loro società. I luoghi analizzati in questa chiave compongono un dispositivo/contenitore che invita il fruitore a scoprire la città in base alle indelebili emozioni di chi, quella città, la vive tutti i giorni”[120].
Il progetto delle mappe ricamate El tejido urbano di Liz Kueneke è piuttosto singolare per approccio; l’artista tra il 2008 e il 2010 ha realizzato in maniera partecipata mappe urbane in cinque città dei cinque continenti: Fès (Marocco), Quito (Equador), Bangalore (India), New York (Stati Uniti), Barcellona (Spagna). Le mappe sono cucite, o meglio ricamate, dalla gente, uomini e donne, anziani e giovani, in situazioni di suggestiva convivialità[121] (tabella 2).
Il Laboratório de Cartografias Insurgentes di Rio de Janeiro (tabella 2 )rappresenta un altro esempio di costruzione partecipata di mappe che funziona sia come uno spazio di sperimentazione e dibattiti sulla riconfigurazione delle città e delle dinamiche di resistenza ad essa correlate o articolate, sia come laboratorio in rete (Rio de Janeiro - Amazzonia - America Latina) su politica, estetica e cultura[122].Il sito web del laboratorio è ricco di link su numerosi esempi di cartografie nel mondo: sentimentali, di ansia per il nucleare, mappa collaborativa della corruzione in Brasile, di critica contro il processo del Forum de las Culturas de Barcelona 2004: Fotut2004 ed altri esempi ancora.
Un peculiare motore di ricerca è costituito da Pleens, un altro esempio di mappe in rete che non può essere definito propriamente un motore di ricerca per prossimità geografica, ma lo è in termini di continuità narrativa. Gli autori del sito lo descrivono in questi termini: “le storie geolocalizzate possono includere suggestioni di prova e acquisto purché coerenti con lo spirito narrativo ed emotivo del contesto. Le storie geolocalizzate hanno un inizio, ma non una fine: non sono scritte da un autore consapevole, ma da una community emotivamente coinvolta da un social object molto particolare: i propri ricordi legati a una coordinata geografica (il love-in)” (tabella 2).
Gli esempi di produzioni collettive e sperimentazioni nella rete si moltiplicano, come nel progetto “Espacio-Red de Prácticas y Culturas Digitales” dell’Universidad Internacional de Andalucía solo per citare un ulteriore esempio, significativo per aver aperto una linea di lavoro permanente sulle pratiche e culture che stanno emergendo a partire dall’uso sociale delle tecnologie digitali[123] (tabella 2).
Oppure Digicult, una piattaforma culturale nata nel 2005 che esamina l'impatto delle tecnologie digitali sull'arte, il design, la cultura e la società contemporanea. Analogamente all’approccio basato sulle mappe e la rappresentazione cartografica, i metodi creativi di ricerca, esplorazione, analisi e design urbano stanno rendendo possibile la visualizzazione, ad esempio, di dati-topografie ambientali sconosciuti della città, ovvero i campi elettromagnetici. Il lavoro combinato di studenti di architettura, urbanistica, media digitali e artisti sta sfidando i tradizionali metodi di analisi urbana ed i confini disciplinari, stimolando l’inventiva e l’originalità per “rivelare in modo creativo i vari spazi interstiziali e le dinamiche di apparizione che nascono da un campo di complessità stratificate, da stati transitori di trasformazione e di scambio spaziale” [124].
Tabella 3 Urban explorer - community mapping. Progetti/opere
esaminate |
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Fonte: Elaborazione propria |
“La nozione di ‘trascrizione’ ha ispirato lo sviluppo di strategie combinate di disegno, stratificazione e ricerca urbana che si servono di vari strumenti e processi di visualizzazione, documentazione e output (…) Lavorando con la stratificazione e con la percezione, si è avuta la possibilità di analizzare il modo in cui agisce la percezione quando è legata alla vista e all’esperienza, in relazione ai processi di disegno, dei media digitali come ad esempio la visualizzazione digitale, la creazione di modelli e diagrammi architettonici, di fotografie e video in 3D per cogliere lo spazio e l’immaterialità della città in vari modi creativi”[125].
Il lavoro di analisi e visualizzazione delle reti complesse - dalla biologia ai social networks[126] - è diventata una vera opera d’arte grazie a Manuel Lima, un interaction design che da qualche anno lavora al suo progetto Visual complexity[127]: un mondo interessato anche all'estetica delle reti, definito dell'infographics - capace di costruire rappresentazioni visuali ed eventualmente interattive di informazioni.
In materia di Digital Humanities, ad esempio, la visualizzazione attraverso lo strumento Gephi dei principali dati contenuti nel Catalogue of Life ha permesso a Elijah Meeks, Stanford University (2011) di “dipingere” meravigliose composizioni che ricordano i quadri di Mirò. Eric Fischer (2010) ha visualizzato i transiti a diverse velocità nello spazio pubblico di San Francisco, restituendo una rete stradale a più colori, mentre Mahir M. Yavuz, 2011 ha invece rappresentato il comportamento nello spazio pubblico del flusso di taxi a Vienna, rivelando immagini inedite della città.
Visual complexity, Infographics, community mapping, information visualization, digital storytelling, rappresentano un interessante ambito di sovrapposizione e cooperazione tra arte e scienza, un terreno comune di tecniche e metodologie molto stimolante per la progettazione artistica e urbana, in grado di sfidare la complessità dei “sistemi vivi”[128], naturali o artificiali[129] che siano, sfruttando tutte le forme di pensiero possibile (narrativo, razionale, interattivo, collettivo, connettivo, analogico, ecc.)[130]. All’arte, l’importante compito di svolgere una funzione di conoscenza e di correzione della tecnocrazia, già in grado di riflettere “fuori di se” sulla mobilità e aleatorietà dei confini[131].
Tabella 4 Urban
explorer - community mapping Progetti/opere esaminate. |
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Fonte: Elaborazione propria |
Nato nel 2004 presso il Department of Urban Studies and Planning, nonché in collaborazione con il MIT Media Lab, il SENSEable City Laboratory, MIT, Massachusetts, Institute of Technology, di Cambridge, (USA) rappresenta un altro significativo esempio di laboratorio interdisciplinare, che indaga sulla relazione tra persone, tecnologia e città. In esso confluiscono i contributi di esperti in diversi campi quali urbanistica, architettura, design, ingegneria, informatica, scienze naturali ed economia. I soci del laboratorio sono costituiti da imprese (AT&T, General Electric, Audi, ENEL, SNCF), municipi (Copenaghen, Londra, Singapore, Seattle, Firenze), produttori del settore industriale.
Tra i progetti più significativi ricordiamo Trash_Track del 2008 che lavora sulle tracce individuali di rifiuti urbani, utilizzando centinaia di piccoli, intelligenti, tags applicati, ad esempio su un televisore, che ne rilevano la posizione. Ciò permette ad un sistema di gestione dei rifiuti della città, di svelare il viaggio. Gli oggetti d’uso quotidiano - che si trasformano in spazzatura - grazie all’uso di GSM (Global System for Mobile Communications ) per il telefono cellulare, palesano la loro posizione attraverso i tags. Misurando l'intensità del segnale rispetto a torri di telefonia cellulare, con un sistema di triangolazione, se ne mappa la posizione, rendendo poi possibile la visualizzazione del destino in tempo reale. Il progetto è stato esposto al The Architectural League di Nueva York e nella Biblioteca Pubblica di Seattle.
Il progetto The Copenhagen Wheel che concepisce l’uso di una ruota speciale per una normale bicicletta che prontamente si trasforma in una bicicletta “ibrida”, elettrica, dotata di un dispositivo per ottimizzare l’uso di energia a partire dalle frenate del ciclista. La bicicletta si serve di sensori che permettono di conoscere la qualità dell’aria, è dotata di una unità GPS e di un sistema per inviare attraverso Bluetooth informazioni ad altri ciclisti[132]. Il progetto fu presentato nella Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambio Climatico nel 2009.
Si tratta solo di due esempi molto eloquente di tecnologia pervasiva, basata sulla crescente diffusione di sensori e tecnologie mobili, in grado di trasformare radicalmente il modo di percepire e descrivere le città.
Le creazioni prodotte da il SENSEable City Laboratory, MIT riguardano anche opere architettoniche intelligenti le cui facciate si trasformano in interfacce comunicanti con le persone. Pensiamo ad esempio al Digital Water Pavilion, progettato per l'Expo 2008 di Saragozza, Spagna.
Il padiglione è costituito da uno spazio flessibile e multifunzionale, in cui scompare il concetto di partizione fissa, c’è discontinuità tra aperture e parete dato che la facciata si apre e chiude in modo interattivo e responsivo. Viene utilizzata l'acqua, elemento dinamico che permette di creare con il getto (grazie all’uso di dispositivi di controllo numerico) rappresentazioni grafiche, patterns, testi e di modificare il layout dell’edificio in tempo reale, dando così risposta agli input e alle azioni esterne che provengono dell'osservatore. “La presenza di persone è infatti rilevata dal padiglione, ne permette la reazione, generando onde e distorsioni nel pattern di facciata”[133].
Dagli argomenti esposti nei capitoli precedenti, scaturisce che lo spazio pubblico effettivo (e affettivo) risulta avvilito per certi aspetti dalla “morte” della strada, mentre lo spazio pubblico virtuale o mediatizzato[134] appare in pieno vigore. D’accordo con questa ipotesi ci domandiamo se possa esistere in una città smart un progetto in grado di creare un nesso positivo tra l’una e l’altra realtà[135]. La possibilità si rende plausibile dal momento in cui viene concettualmente superata ogni dicotomia e si assume l’urbano come un luogo inquieto e “ibrido”.
The concept of ‘technoscape’, derived from Arjun Appadurai, emphasizes ‘that contemporary landscapes are shot through with technological elements which enrol people, space, and the elements connecting people and spaces, into socio-technical assemblages – especially the transportational technologies, such as roads, rail, subways and airports, but also the informational technologies such as signs, schedules, surveillance systems, radio signals, and mobile telephony’ (Sheller and Urry, 2006a: 9). Both people and information, bodies and data, move through these technoscapes within the softwareembedded and digitally augmented urbanism that some describe as ‘remediated’ space (Graham), ‘hybrid space’ (De Souza e Silva), or ‘networked place’ (Varnelis and Friedberg). Screens and sensors emerge everywhere, moving with us as we move, such that computing will ‘become a pervasive part of the urban environment, with even the most mundane device having some computing power and some ability to communicate with other devices, so producing a constant informational hum’[136].
Il progetto per una città smart dovrebbe essere adatto a una società liquida, realizzato sicuramente con tecnologia adeguata e informazioni liquide, ma soprattutto dovrebbe basarsi sul principio dei vasi comunicanti secondo cui, il contenuto (liquido) di due contenitori, anche se posizionati su livelli diversi -metaforicamente parlando, uno materiale e l’altro immateriale- possa raggiunge lo stesso livello grazie ai nessi, dando vita ad un'unica “superficie equipotenziale”. Una sorta di “urbanismo aumentato” composto da spazi ibridi, da “messe in scena” e forme d’arte digitale multimediale[137].
Secondo alcuni ricercatori, non vi sarebbe una differenza sostanziale fra il modo in cui vanno analizzati i luoghi reali e quello che si applica ai luoghi delle finzioni, della letteratura o della fiction, ciò proprio grazie all'idea che le città siano in qualche modo testi, luoghi di inscrizione, reiscrizione, erosione di segni e di valori, perciò soggetti a interpretazioni e reinterpretazioni continue ad opera delle comunità che vivono e operano in quella specifica città.
La strada, la piazza, le frange urbane costituiscono in primis le aree più critiche della città contemporanea, che domandano nuove rappresentazioni o mappature: delle fluidità, delle ri-mediazioni[138] della realtà, delle risignificazioni (che ricollega significante -segni- e significato -oggetto o concetto del mondo reale -). Più che una questione di forme, sarà una questione di significazione.
Come già lo abbiamo ricordato, in passato, la tardiva comprensione di alcune dimensioni dell’urbano e della quotidianità ne avevano determinato per molti decenni l’abbandono da parte del progetto. Oggigiorno nuove narrative, mappature e rappresentazioni partecipate accessibili a tutti ci permettono di conoscere la mobilità dei processi sociali, emozionali o, in tempo reale, i modi d’uso di specifici spazi pubblici: come può un progetto urbano disattendere questi dati?
La rappresentazione grafica e la visualizzazione dei dati costituisce un aspetto centrale del design olistico o del Design for All e orienta forme di progettazione sostenibile: “scrivere in modo interattivo, apprendere dialogando, costruire rapporti operativi con i portatori di interesse (…) il principio di sosteniblità richiede di mettere in relazione una molteplicità di elementi sociali, fisici e naturali, questo implica superare il sistema di scrittura tradizionale, articolato per singoli rapporti specializzati e ispirati ad uno schema di espressione gerarchico, a favore di un sistema di scrittura circolare capace di recepire simultaneamente una molteplicità di apporti (…) le mappe mentali [rappresentano in tal senso] un sistema di scrittura: “progressivo”, ossia implementabile in modo continuo; multidimensionale, ossia capace di recepire apporti disciplinari diversi; multimedia, ossia alimentato da ogni tipo di supporto: testi,immagini, film” [139].
Un ampio, importante e attuale corpus documentario è in continua produzione e sembra poter suggerire nuove idee-strumento per l’architettura e il design urbano dello spazio pubblico. Come sostiene l’architetto Franco Purini:
“La struttura ideale dello spazio, quel modello che passa nella mente rendendo astratta l’esperienza concreta dei luoghi, è costruita dall’accostamento di figure chiuse, semplici, e complesse. Queste figure dal perimetro continuo coprono tutta la superficie terrestre senza lasciare vuoti interstiziali.
L’architetto deve sviluppare una sensibilità acuta per la comprensione del sistema dei recinti che organizzano lo spazio. Recinti reali e recinti virtuali (…) alcuni materializzati, altri invece costituiti da tracce invisibili o discontinue, (…) recinti immateriali misurati da collimazioni ottiche o da traguardi geografici”[140].
Tuttavia, se consideriamo lo sguardo parte sostanziale di una pratica essenzialmente interpretativa, dare forma allo “sguardo” può significare ampliare il problema del progetto oltre la ricerca delle forme o della composizione architettonica, ed estenderlo a tutta una cultura visuale, per ricucire storie, performance e identità.
“Quale è il tipo di cultura visuale che informa –mette-in-forma-, letteralmente- il mio sguardo. Qual è l’intensità della sua mediazione (…) la corrispondenza che si stabilisce tra la rappresentazione che mi faccio di me stesso come protagonista di una storia, il dispiegamento della performance e, infine, l’identità narrativa della città”[141].
In tal senso, scienza, arte e nuove tecnologie giocano all’unisono un ruolo determinate per immaginare il progetto dando innanzitutto forma allo sguardo (analitico/interpretativo). A partire proprio dall’elaborazione di mappe urbane “speciali”, multimediali e multidimensionali, in grado di rappresentare i “tras” e “post” luoghi si potrebbe presto giungere, per esempio, a forme di design urbano concepite in rete; progettate, realizzate e vissute in maniera collettiva e collaborativa, assumendo finalmente che i luoghi sono essenzialmente inquieti per tutti.
La città-flusso rappresenta la metafora della città contemporanea, caratterizzata da confini permeabili ed estesi, che permea il territorio materiale e immateriale e che si basa sull’esistenza di processi spesso disgiunti, di grande eterogeneità sociale, a diversa mobilità e velocità.
A fronte di tale metafora, esiste nella pratica urbanistica una inadeguatezza delle rappresentazioni dei fenomeni urbani, specialmente quelli determinati dalle molteplici dislocazioni spazio-temporali delle persone, mosse fisicamente ma anche psichicamente ed emotivamente dalla instabilità economica e dagli effetti sociali della globalizzazione. Ciò è rilevante se si pensa che in occidente, come conseguenza della globalizzazione e dell’informatizzazione planetaria, l’interattività degli abitanti è data molto più spesso dalle utenze telematiche che dagli incontri in piazza o per strada, condizione che si intende favorire in una prospettiva di smart community.
Di fatto, sembrano nascere più facilmente e con maggiore vitalità le “piazze” virtuali che quelle reali; le prime hanno però un legame sostanziale con la qualità topica dei luoghi fisici, vissuti materialmente e direttamente dagli abitanti. La condivisione delle conoscenze, delle informazioni, delle opinioni e delle emozioni nelle piazze virtuali si serve della rete, si basa nel racconto (ipertestuale) e nella produzione (multimediale) di testi o opere digitali spesso autoprodotte. Crediamo che tutto ciò rappresenti un aspetto importantissimo nella costruzione dell’identità territoriale e dell’identità narrativa.
Ciononostante, il nesso tra spazi pubblici virtuali e reali nel progetto urbanistico e nelle pratiche urbane non è stato ancora sufficientemente studiato o composto. In tal senso, emergono invece da progetti artistici individuali e collettivi interessanti approcci esplorativi e costruttivi che si servono proprio delle nuove tecnologie per prendere forma.
D’altro canto, nella pratica urbanistica, l’eccessiva propensione a voler leggere e interpretare la città contemporanea a partire fondamentalmente dal “paradigma” della mobilità, spesso non permette di considerare che il movimento può essere colto solo in relazione con ciò che è in stato di quiete.
La compresenza nel paesaggio urbano di luoghi quieti e “inquieti” caratterizza la nostra quotidianità ma è nella dimensione liminare, di soglia tra l’uno e l’altro che possiamo esercitare la cultura visuale, la creatività e verificare l’efficacia delle nostre “estensioni” quali strumenti del comunicare e dell’agire (cloud computing e ogni sorta di dispositivo touch screen).
Se accade che all’ immagine di una città-flusso non corrisponda di fatto una adeguata capacità di descrivere, interpretare e rappresentare l’identità e la peculiarità dei luoghi urbani, è perché nella pratica non siamo ancora in grado di apprendere dall’estetica del post-luogo e di servirci in tal senso dell’arte e delle nuove tecnologie per metterne in risalto la componente “invisibile” o “immateriale”.
Credo che ad ogni dislocazione corrisponda sempre un post-, un tras- o un trans-luogo, si tratta di dimensioni liminari che tutt’ora non rivestono il dovuto interesse, né in fase di diagnosi, né di definizione del progetto urbano. Dall’osservazione di queste dimensioni penso possa dipendere la capacità di restituire coesione interna alle componenti reale e virtuale dello spazio pubblico oltre che paternità collettiva ai progetti.
Quello che ritengo possa innalzare la qualità di progetti urbani negli spazi aperti delle smart cities consiste dunque, da una parte, nel saper cogliere le tracce urbane del nostro vivere inquieto, individuale e collettivo, e trasformarle in comunicazioni, informazioni e soluzioni progettuali. Dall’altra, saper considerare che lo scambio di prodotti culturali in rete costituisce un’altra nuova “fonte di prima mano”, in grado di fornire strumenti interpretativi e costruttivi per la realizzazione di proposte progettuali innovative.
Le storie scritte a più mani, osservate da più occhi, comprese da più menti e usate in maniera inedita per descrivere e narrare nuove forme di “spazialità” attribuiscono un valore semiotico e semantico ai processi in atto, territoriali o de-territorializzati. Coglierne il contenuto e la forma potrebbe fornire, per esempio, nuove soluzioni ad anacronistiche formule di urban design. Lo spazio pubblico si vive oggi diversamente e si pensa diversamente che in passato ma ciò non sempre produce un riscontro positivo nei progetti di urban design.
In tal senso, spunti critici e riflessioni nascono da una nuova poetica urbana (artivismo) e da produzioni artistiche spesso multimediali che, scambiate nella rete come progetti di arte urbano, rivelano una dimensione inedita del luogo nella sua componente ”inquieta”, o in divenire.
Quando in Italia tutte le piattaforme digitali della smart cities saranno funzionanti, per facilitare la comunicazione e l’intercambio di informazioni, potremo servircene per mettere in-forma lo sguardo dando concretezza e riscontro empirico al dato e alle conoscenze acquisite?
Allora, sarà
necessario restituire allo spazio pubblico l’attualità della nostra vita, che
si dibatte tra il reale e il virtuale, tra il quieto e l’inquieto vivere. Soprattutto,
sarà necessario assolvere all’esigenza della già reclamata paternità collettiva
del progetto, che di fatto già viene spesso suggerita e configurata nella rete.
In caso contrario è da temere che sia proprio la riuscita banale del progetto
urbanistico e architettonico ad allontanare l’idea di smart cities dalla
quotidianità e dalla concretezza delle nostre vite nei “luoghi inquieti”.
Note
[1] Cfr. Muñoz F., Urbanalización. Paisajes comunes, lugares globales. Barcelona:Gustavo Gili, 2008
[2] In questo articolo il riferimento al luogo “inquieto” oltre a ricollegarsi con il tema della mobilità affrontato da Bauman e da Appadurrai come effetto della globalizzazione sulla vita delle persone (luogo mobile), si ricollega al concetto di restless site di A.Amin e N. Thrift, (Cities reimagining the urban, Cambridg. Polity Press, 2002; ediz. italiana 2005) secondo i quali, esiste uno spazio vissuto ma esiste anche lo spazio vivente “nell’architettura contemporanea e nella performance art (…) si è cercato di ridefinire - in pratica - che cosa si intende con luogo come spazio vivente piuttosto che vissuto (…) il linguaggio della forma creata non può mai essere separato né dall’atto di abitare né dalla critica, e così il segno non ha mai la possibilità di spadroneggiare rispetto al significato [Harries 1996]”. p.76-77. Sulla base dei suddetti riferimenti l’inquietudine del luogo viene ribadita dalle multiple dislocazioni psico-fisiche-emotive degli abitanti – oggigiorno mossi più che da viaggi di “affari” o “turistici”, dall’instabilità economica e dalla disoccupazione che dilaga oramai - ma anche dalla natura stessa di spazio “vivo”, in fermento perché chi vi abita è alla ricerca di nuove soluzioni ai problemi.
[3] La virtualità è innanzitutto un fenomeno della nostra coscienza dello spazio (Marchán, 2006, p.41). La virtualità non è un novità nella nostra civiltà, tesi che è stata ampiamente discussa da Tomás Maldonado. Ciononostante, lo sviluppo delle tecnologie del virtuale rendono oggi possibili costrutti senza precedenti. Tuttavia, ciò che qui interessa rialzare della virtualità sono i seguenti aspetti. L’esperienza del virtuale è limitata nel tempo, dopodiché riemergiamo dal mondo sintetico e torniamo allo spazio tradizionale, di fatto “non esiste una virtualità capace di permeare la vita di tutti noi per tutto il tempo” (Maldonado, 2005, p. 153). Il termine virtuale, procede dall’aggettivo latino virtualis e può significare, a seconda dei differenti lessici, virtus le cui accezioni di potenza o forza sono state analizzate da Simón Marchán Fiz: 1) potenza o forza, per produrre un effetto di ciò che già possiede un’esistenza apparente però non reale, effettiva o che dir si voglia empirica;2) potenza o forza, per arrivare ad essere reale, anche se non lo è ancora, soddisfacendo certi requisiti per la sua realizzazione. In sintesi il virtuale oscilla tra possibilità e realtà; esso può riferirsi all’apparenza (apparenza digitale nel caso specifico) oppure a una modalità dell’essere, “que no se enfrenta tanto a la realidad como a la actualidad, no es tanto lo contrario de lo real cuanto de lo actual” (che non affronta tanto la realtà ma l’attualità, non è tanto il contrario di reale quanto di attuale) (Marchan, 2006, p.40). La possibilità del virtuale intesa come accezione 2) si dispiega in due mondi possibili: quello reale e quello logico, ovvero nel mondo possibile, oppure nel mondo del possibile; si tratta di una differenza da grandi ripercussioni, sia scientifiche, che culturali o artistiche.
[4] Neologismo sorto dalle parole “arte” e “attivismo”. si definiscono come artivisti i progetti artistici alternativi che hanno intenzione di facilitare la socializzazione e gli spazi di critica, che discutono aspetti sociali e culturali da un punto di vista prevalentemente artistico (Epistemowikia. Revista «Hiperenciclopédica» de Divulgación del Saber Segunda Época, Año VII, Vol. 6, Núm. 4: ottobre -dicembre 2012).“The artivist (artist +activist) uses her artistic talents to fight and struggle against injustice and oppression—by any medium necessary. The artivist merges commitment to freedom and justice with the pen, the lens, the brush, the voice, the body, and the imagination. The artivist knows that to make an observation is to have an obligation”. (Artivism Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Artivism). Per un approfondimento dell’artivismo in Italia si veda Giacomo Verde, Artivismo tecnologico. Scritti e intervite su arte, politica, teatro e tecnologie. Pisa: BFS – Biblioteca Franco Serantini, 2007.
[5] Caragliu, Del Bo, Nijkamp, 2009, p.50
[6] Il riferimento è a Claudio Marchiano. Il discorso sulla Smart City. concetti chiave e sentieri di ricerca del nuovo spazio urbano In Comunicazionepuntodoc, Vol VII - "Necrologie"- Lupetti Editore, Roma (2013)
[7] Si tratta dei sei assi (smart economy; smart mobility; smart environment; smart people; smart living; and, finally, smart governante) - comuni alle teorie neoclassiche tradizionali della crescita urbana, dello sviluppo e della competitività regionale – che si riferiscono ai trasporti e le Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione, (acronimo TIC), le risorse naturali, il capitale umano e sociale, la qualità della vita e la partecipazione delle società civile politica urbana.
[8] 1) Vienna 2) Toronto 3) Parigi 4) New York 5) Londra 6) Tokyo 7) Berlino 8) Copenhagen 9) Hong Kong 10) Barcellona
[9] Cfr. Boyd Cohen, The Top 10 Smart Cities On The Planet [On line] Fast Company http://www.fastcoexist.com/1679127/the-top-10-smart-cities-on-the-planet , 11 gennaio 2012 [Consultato: 1 ottobre 2013]
[10] Cfr. Decreto Direttoriale 5 luglio 2012 n. 391/Ric. Avviso per la presentazione di idee progettuali per smart cities and communities and social innovation
[11] Cfr. Avviso D.D. 84/Ric del 2 marzo 2012. Allegato 1. Società dell’informazione. Graduatoria dei progetti esecutivi . Area Convergenza in Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Dipartimento per l’università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica per la ricerca. Direzione Generale per il Coordinamento e lo Sviluppo della Ricerca Prot. 585/RIC, 28 settembre 2012 [in-linea] http://www.corrierecomunicazioni.it/upload/images/10_2012/121002163911.pdf [Consultato: 27 settembre 2013]
[12] ABB-Ambrosetti, 2012, p. 68
[13] Mario Calderini, consigliere del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e responsabile dei temi Smart Cities & Communities per l’Agenda Digitale, considerato la mente dei bandi Smart Cities&Communities ha più volte sottolineato questi aspetti significativi. Si vedano ad esempio: “Intervista a Mario Calderini sulle Smart Cities”, disponibile on-line http://www.youtube.com/watch?v=EuZahig8WXw [Consultato: 27 settembre 2013]; Progetti di Ecoquartieri per l'Europa di oggi - Casa Quartiere San Salvario “Mario Calderini - Politecnico di Torino - conclusioni 2 giugno 2012” http://www.youtube.com/watch?v=LSwfKA9Spls
[14] A. Balzola, P. Rosa, 2011
[15] Op. Cit nota 1
[16] La Cecla, 2008, p. 99
[17] Si veda “Promenade dell’arte e della cultura industriale. Le Accademie di Belle Arti e le Facoltà di Architettura per Torino 2011 - 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Un concorso, un seminario ed un workshop, per delineare scenari innovativi di arte ed architettura a completamento del progetto pubblico di bonifica e recupero come parco di un luogo simbolo dell’industria torinese”. Accademia Albertina, Torino, 8-14 novembre 2010. Intervento al seminario L. Fracasso : “Approccio all’identità territoriale. il senso del luogo nel paesaggio urbano”
[18] “La parola intelligenza deriva dal sostantivo latino intelligenzĭa, a sua volta derivante dal verbo intelligĕre, "capire". La genesi di intelligĕre è incerta: secondo alcuni, sarebbe una contrazione del verbo legĕre (= "scegliere", "leggere") con l'avverbio intus (= "dentro"), mentre secondo altri lo sarebbe con l'avverbio inter (= "tra"). Nel primo caso, il termine latino significherebbe "leggere-dentro", suggerendo una capacità di "leggere oltre la superficie", di comprendere davvero, comprendere le reali intenzioni. Nel secondo, intelligĕre starebbe per "leggere-tra", suggerendo forse una capacità di "leggere tra le righe", di stabilire delle correlazioni tra elementi”. Tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
[19] Cfr. Cellamare C., Progettualità dell’agire urbano. Processi e pratiche urbane. Roma: Carocci editore, 2011
[20] Cfr. Carlson M., Performance. A Critical Introduction, London-New York, Routledge, 2004 citato da F. Deriu, 2011.
[21] Cfr. McKenzie J., Perform or Else. Fron Discipline to Performance, London-New York, Routledge, 2001 citato da F. Deriu, op. cit.
[22] Cfr. Lewicki T. Le amministrazioni pubbliche tra burocrazia e performatività: il senso dell’etica in Europa citato da F. Deriu, op. cit.
[23] Goffman, 1997, p.9
[24] Cfr. Morin E.. Introduzione al pensiero complesso. Milano: Sperling & Kupfer, 1993.
[25] Turri, 2006, p. 33
[26] Turco, 2010, pp.194-196. Oltre alle pratiche urbane, Turco riferisce le culture visuali e le tattiche acquisitive. Le culture visuali rappresenterebbero la trama degli stili rappresentazionali dell’opsis. Per ciò che attiene alle tattiche acquisitive, esse si compongono di potere “iscrizionale” e spazio pubblico. La qualità “iscrizionale” è la possibilità dei soggetti di rimanere protagonisti di una storia (la loro), inscrivendo quindi la propria performance come un segmento delle trasformazioni incaricate di garantire la conservazione del processo identitario, senza chiusura nei confronti del processo globalitario.
[27] Turco, 2010, p. 202
[28] Hall. 1982
[29] Desireri, 2007, p. 17
[30] Desireri, 2007, p. 15
[31] Mela A. nella presentazione del libro di A. Amin e N. Thrift, 2005.
[32] Amin, Thrift, 2005, p.17
[33] Il testo della conferenza tenuta da Horacio Capel il 15 maggio del 1991 presso il Laboratorio Europeo de Urbanismo sul tema “Progettare le periferie” – seminario organizzato dalla Escuela Técnica Superior de Arquitectura - è stato pubblicato con il titolo “El geógrafo y las periferias urbanas. Reflexiones para arquitectos” in Capel, 2001. Per una sintesi delle memorie, seminari e laboratori realizzati tra il 1991 e il 1994, si veda Proyectar la perifèria. Talleres y Seminarios 1991, 1992, 1993, 1994. Laboratori d’urbanisme de Barcelona [on-line] http://lub.upc.edu/web/Arxiu/Recerques/projectar_la%20periferia/Projectar%20la%20periferia.pdf
[34] Capel, 2001, p. 101
[35] Margalef, 1992 p. 7
[36] Esosomatica, ovvero “fuori, all’esterno del corpo”. Per artefatto esosomatico si intende sostanzialmente la tecnologia.
[37] Amin, Thrift 2005,p. 26
[38] Bauman, 2002, p.106
[39]. Dematteis, 1985, p. 163
[40] Secchi, 2003
[41] L’ambiguità del concetto di urban design e di arte pubblica è trattata in A. Remesar, 2012
[42] Arjun Appadurai, 2004. L’argomento è ripreso nella tesi di laurea di Eleonora Occhipinti, Drammaturgie nell’ipertesto urbano il teatro come dispositivo narrativo per il design tra arte, scienza e multimedia. Tesi di laurea, Politecnico di Milano - Scuola del Design - L. M. Interior design - a.a. 2011/12 Relatore: Raffaella Trocchianesi.
[43] Con il termine Digital Storytelling (DST) si intende l’arte del raccontare storie (storytelling) combinando elementi digitali multimediali, come immagini, audio e video con l’intento di condividere la produzione con altri tramite la rete.. La pratica del DST nasce nei primi anni novanta con un forma narrativa caratterizzata de forti connotazioni emotive e da precisi elementi che Joe Lambert e Dana Atchley - fondatori del Center of Digital Storytelling (CDS) a Barkley, in California - hanno individuato e riassunto in 7 punti basilari , comuni ad ogni Digital Storytelling: 1) Punto di vista personale; 2) The dramatic question: una struttura di narrazione che possa anche sorprendere ponendo domande e fornendo risposte non banali; 3) Validità emozionale: contenuti emotivi e coinvolgenti; 4) Voce: uso della propria voce per la narrazione; 5) Colonna sonora: deve essere adeguata ai momenti della narrazione; 6) Economia e integrazione: si può dire molto con poco, “pulizia” della narrazione; 7) Ritmo: adeguato alle modalità narrative che abbiamo scelto per la storia. Per approfondimenti si visiti on-line il sito Center for Digital Storytelling http://www.storycenter.org/diretto da Joe Lambert.
[44] Diaz in Brandão, Remesar, 2000
[45] Si vedano ad esempio i portali web Citysourced, SeeclickFix, Connectedbits; Neatstreets; Mark-a-Spot o le forme di progettazione del tipo crowdsourcing, pensate, realizzate o sviluppate da un insieme di persone non organizzate precedentemente e che si servono di portali e web per interagire.
[46] Howard Gardner citato da Derreck De Kerckhove nel Convegno Internazionale "La pratica dell’intelligenza nell’impresa e nell’insegnamento" [on line] Milano - Centro Congressi della Provincia di Milano - 14 e 15 Aprile 2005. http://www.youtube.com/watch?v=rp3WtOwKpso&list=PL60A2428A164D6F65&index=2 [Consultato: 28 settembre 2013]
[47] Capel, 2001, p.103
[48] Cfr. Osservatorio Città Sostenibili, Dipartimento Interateneo Territorio Politecnico e Università di Torino. Il bordo della città. Working paper P09/07 [on-line] http://www.ocs.polito.it/biblioteca/wp/paesaggio/wp_p0907.pdf [Consultato 28 settembre 2013]; Osservatorio del paesaggio dei parchi del Po e della collina torinese, Dipartimento Interateneo Territorio Politecnico e Università di Torino. Frange periurbane. Working paper 12/2007 [on-line] http://www.paesaggiopocollina.it/paesaggio/dwd/wp/wp12_frange.pdf [Consultato 28 settembre 2013].
[49]Le aree di studio, oggetto di sopralluogo nell’ambito del citato workshop, sono parte delle frangia urbana di Torino nord, Area Barca e Bertolla.
[50] Magnaghi, Pianificazione e sviluppo rurale … in Fanfani, 2009, p.37-38
[51] Convegno ANAB (Associazione Nazionale Architettura Bioecologica) “Costruire nessi per coltivare edifici” in Klimahouse Bari, 6 aprile 2013. Referenti: Prof.Arch.Erich Roberto Trevisiol, PhD Arch.Chiara Odolini
[52] F. La Cecla., 2008, p. 78
[53] E. Salzano, 2010
[54] Camagni, Aree metropolitane… p. 2
[55]“Lo spazio fisico terrestre è condizione necessaria per lo svolgimento dei fatti sociali, ma il valore di questi non è oggettivamente trasformabile in metri. Solo se siamo d’accordo sul modo di misurare i valori sociali, possiamo misurare con essi anche le distanze sulla superficie della Terra”, Dematteis, 1985, p. 135
[56] B. Secchi op. cit
[57] Landuzzi, 1999, p.37
[58] Lance Henson è descritto come una delle grandi voci della letteratura americana contemporanea e lo dimostrano le innumerevoli traduzioni delle sue opere, delle sue poesie che appaiono persino nelle antologie scolastiche italiane, quale unico rappresentante, insieme a Walt Whitman, della poesia nordamericana. Si veda l’interessante videointervista “N.A.Di.R. incontra Lance Henson informa” [on-line] Arcoiris.tv http://www.mediconadir.it/DIRITTI_UMANI_9.html 09-10-2008, [Consultato: 11 settembre 2013]
[59] Direzione: Federico Lanchares; Assistente alla regia, assistente ricerca, fotografia, scouting: F. Cabanzo; Impressions form Peyote Road, Documentario Corto metraggio (25 min. digitale, color), POCS production (Spagna, Stati Uniti, Messico), 2008
[60] Mostra "HAERETICI" Castello Svevo-Aragonese Barletta, Italia. Curatore: Antonino Foti Allestimento: Antonio Paolillo, Giuseppe Paolillo dicembre 2011- gennaio 2012
[61] Amin, Thrift, op. cit. p.28
[62] Magnaghi, 2001, p.9
[63] Turco, op. cit. p.76
[64] Turco, op. cit. p.141
[65] Turco, op. cit. p.55
[66] Magnaghi, 2001, p.5
[67] Magnaghi, 2001, p.6
[68] Riguarda la corporeità del mondo e incide sugli aspetti fisici della superficie terrestre, alterandone il profilo e le proprietà (reificazione)
[69] Si riferisce all’efficacia dell’agire territoriale e consiste nell’ identificazione e strutturazione degli ambiti d’esercizio delle norme, delle regole, intese sia come competenza che come potere
[70] Turco, op.cit, pp.51-53
[71] Cfr. Vidler A., Warped Space. Art, Architecture and Anxiety in Modern Cities, Cambridge (mass.), MIT Press, 2000
[72] Balzola, Rosa, 2011, p.123
[73] Il rinnovato interesse delle scienze umane per la narrazione è dovuto al potentissimo valore conoscitivo e l’alto potenziale educativo che essa possiede. Risorsa in ambito pedagogico e didattico la narrazione evidenzia il suo potere in termini di Empowerment, Problem solving e Life long education. Con l’uso del Museum Theatre, ad esempio si potenziano l’apprendimento e l’intrattenimento, l’immedesimazione e il coinvolgimento sensoriale interpretativo. L. Cataldo, 2011
[74] Cfr. Instituto de Geografía “Romualdo Ardisonne”, Facultad de Filosofía y Letras, Universidad de Buenos Aires Progetto: Viajeros, migrantes y turistas: los desplazamientos en la constitución de lugares en el territorio argentino (desde de Moussy hasta las agencias de turismo). http://www.filo.uba.ar/contenidos/investigacion/institutos/geo/proy_info_total/proyzusman.html. Finanziato da Fundación Antorchas. maggio 2004-maggio 2007. Responsabile: Dra. Perla Zusman. [Consultato: 02 settembre 2013]
[75] Ricardo Petrella dell'Università Cattolica di Lovanio cit. da Bauman, 2001, p.88
[76] Ibidem
[77] Turco, op. cit. p. 145
[78] Canzone catalana di Jaume Sisa intitolata Qualsevol nit pot sortir el sol.
[79] Maldonado, 2005, p.12
[80] La Cecla, op. cit. p. 43-44
[81] Virilio, 1988, 2004
[82] Atto inteso sia come azione che come opera teatrale messa in scena.
[83] Marc Augé, ricollegandosi a M. de Certeau definisce il luogo antropologico attraverso tre caratteri: identitari, relazionali e storici.
[84] Il «nonluogo» indica due realtà complementari ma distinte: spazi costituiti in rapporto a certi fini (trasporto, transito, commercio, tempo libero) e rapporto che gli individui intrattengono con questi spazi. Lo spazio del nonluogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine. Non lascia spazio nemmeno alla storia. L'attualità e l'urgenza del momento presente vi regnano.
[85] Enciclopedia Treccani. It (on line) http://www.treccani.it/vocabolario/
[86] Ibidem
[87] Enciclopedia Treccani…op.cit
[88] La parola post-luogo nasce, in lingua spagnola come tras-lugar, a conclusione di un intervento artistico intitolato “Un sabato disfatto” (Un sabado desecho), realizzato per il laboratorio d’arte urbano effimero, “24 Horas. Una línea en la ciudad”, organizzato dall’associazione di artisti POCS-Sala Mirall di Barcellona, Spagna. L’argomento, apparso nel primo numero della rivista digitale “Mirall Art Magazine” dell’associazione POCS, è stato successivamente sviluppato come una linea di ricerca che ha coinvolto altri artisti, tra cui l’artista grafico argentino Elenio Pico, costituendosi, pertanto, come uno spazio di riflessione intersoggettivo sui temi del paesaggio urbano o, in senso lato, del landscape art. Nel a.a. 2005-2006 viene proposto come opera individuale nel “Laboratorio Accademia Memoria/Alterità nelle opere dei docenti”, mostra promossa dall’ Accademia di Belle Arti di Foggia poi come argomento di ricerca nel corso di Analisi del Territorio e progettazione del paesaggio sempre nell’ Accademia di Belle Arti di Foggia. L’argomento viene successivamente sviluppato nell’ambito del seminario-workshop “Between 2012. La città che si muove” organizzato tra marzo e maggio 2012 nell’Accademia Albertina da Monica Saccomandi, Gianfranco Costagliola al quale chi scrive ha partecipato con la relazione “Tras-lugar. Dislocazione e costruzione dei luoghi”.
[89] La fisicità dei dati. Visualizzare fenomeni sociali attraverso le tracce. Tesi di Laurea Magistrale in Design della Comunicazione Politecnico di Milano Facoltà del Design A.A. 2009/2010 Studente: Débora Nogueira de França Santos; Relatore Paolo Ciuccarelli
[90] La fisicità dei dati … Débora Nogueira, op. cit. p. 10
[91] Bonami, 2008, quarta di copertina.
[92] L’opera è pubblicata nel sito del The Metropolitan Museum of Art http://www.metmuseum.org/Collections/search-the-collections/190035956
[93] Sarah Cosulich Canarutto in Bonami op. cit. p.28
[94] Sarah Cosulich Canarutto in Bonami op. cit. p.52
[95] Sarah Cosulich Canarutto in Bonami op. cit. p.21
[96] Farbenmeer Paint Attack: Coloring Traffic Patterns with Paint www.infosthetics.com/archives/2010/05/farbenrausch.html by "Street Guerillas" [Consultato: 30 settembre 2013]
[97] Thomas Laureyssens, Pedestrian Levitation [on line] http://www.toyfoo.com/pedestrian_levitation/index.html [Consultato: 30 settembre 2013]
[98] La fisicità dei dati … Débora Nogueira, op. cit
[99] L. Fracasso, E. Pico. Tras-lugar in POCS. Magazine de arte [cd-rom] Barcellona, Spagna: Editore Elenio Pico MIRALL-POCS, n. 01 anno 2005
[100] Turco, op. cit. pp. 294-301
[101] L. Fracasso, 2005
[102] Si veda il dibattito tra L.Fracasso, 2006; J. L. Ramírez, 2006; Xosé Manuel Souto González, 2006
[103] “No hay exposición científica sin ejemplos, pero el ejemplo es un concepto sacado de la Retórica que consiste en una concretización narrativa que permite la comprensión indirecta de la tesis o afirmación general que trata de establecerse. El ejemplo juega —como ya Aristóteles señaló— el mismo papel en la comprensión retórica que la inducción en el razonamiento lógico.” José Luís Ramírez, 2001
[104] J. L. Ramirez op. cit
[105] Mimi Sheller, 2011
[106] Si veda l’uso del suffisso -orami utilizzato da Arjun Appadurai che “permette di indicare la forma fluida e irregolare di questi panorami, forma che caratterizza il capitale internazionale tanto profondamente quanto gli stili internazionali di vestiario” Arjun Appadurai, 2012, p-46
[107] Cfr. Gaffuri L., Fiorani E.. Le rappresentazioni dello spazio. Immagini, linguaggi, narrazioni. Milano: Franco Angeli, 2000
[108] Nigel Thrift, 2008
[109] Roberto Mario Danese “Sliding Doors. ‘Letture’ intersemiotiche fra letteratura e cinema” [on line] Griseldaonline. Portale I letteratura, Dipartimento di Filologia Classica E Italianistica Alma Mater Studiorum - Università di Bologna http://www.griseldaonline.it/temi/verita-e-immaginazione/sliding-doors-danese.html [Consultato: 25 settembre 2013]
[110] Ciclo di conferenze dell’ Asociaciòn de becarios de “la Caixa”. Peter Greenaway “Tener ojos no significa que puedas ver” [on line]. CaixaForum Barcelona, 14 de enero 2013 http://obrasocial.lacaixa.es/ambitos/becas/ciclodeconferencias4_es.html [Consultato: 30 settembre 2013]
[111] Bruno, 2002, p.6-7
[112] Circe (a cura di Massimo Leone) -La città come testo. Scritture e riscritture urbane. Rivista di semiotica. Aracne, Università degli studi di Torino 01/02, 2008
[113] La prima qualità descritta da Ugo Volli è quella che fa riferimento al pensiero di Colombo e Eugeni (1996): la città è certamente un textum, un tessuto complesso composto di persone, cose, storie di vita, mezzi di produzione e di abitazione; ed inoltre è anche, più o meno volontariamente, sempre testis, testimone del proprio passato che perdura e continua a portare senso ben oltre il momento della sua produzione. U. Volli in La città come testo…p.13
[114] Volli, 2008, p. 13
[115] Esistono specifiche linee di ricerca che cercano di costruire un modello delle pratiche di risignificazione delle città e del modo in cui questi sensi sono trasmessi e recepiti. Il riferimento è al programma di ricerca La città come testo: scritture e riscritture urbane finanziata nel 2006 dal Ministero dell'Università e della Ricerca scientifica, svolta da unità di ricerca presso le Università di Roma, Torino, Palermo, Bergamo e Sassari. Negli obiettivi si precisa che la ricerca spera di raggiungere una “tipizzazione” di processi e di pratiche, utile da un lato a comprendere processi sociali ed economici di grande rilevanza, come quelli connessi all'organizzazione del territorio, alla fruizione del patrimonio culturale, al turismo e ai viaggi; dall'altro aiuterà a definire meglio il funzionamento di processi letterari, mediatici e audiovisivi che sono spesso rimasti marginali nell'ambito dei rispettivi campi di studio, come l'analisi delle descrizioni urbane in letteratura e nelle arti figurative, delle fotografie e in genere delle immagini di paesaggio. Scritture urbane. La città come testo: scritture e riscritture urbane Obiettivi [on line] pagine web ospitate sul server dell'Università degli Studi di Bergamo http://dinamico1.unibg.it/turismo/scrittureurbane/obiettivo.asp [Consultato: 30 settembre 2013]
[116] I. Pezzini, La città come testo…, op. cit, p. 50 la citazione è di Lotman J.M. 1985, p. 232. Cfr. Lotman J.M La semiosfera, Venezia; Marsilio, 1985.
[117] LABoral. Centro de arte y creación industrial. El centro de arte. [on line], Gijón, Asturias, Spagna http://www.laboralcentrodearte.org/es/sobre-laboral/el-centro-de-arte [Consultato: 30 settembre 2013]
[118] A cura di Lilian Amaral R.U.A. Realitat Urbana Augmentada – Cartografia social: Zones de Compensació.. [on line] Centre Civic Convent Sant Agustí, 28 settembre 2012 http://conventagusti.com/blog/2012/09/28/r-u-a-realitat-urbana-augmentada/ [Consultato: 30 settembre 2013]
[119] Clara Boj y Diego Díaz. Red Libre, Red Visible. Realidad aumentada y redes inalámbricas, [on line] MediaLab, Madrid, febbraio 2005 http://www.medialabmadrid.org/medialab/medialab.php?l=0&a=a&i=208 [Consultato: 30 settembre 2013]
[120] Grigolli, a.a. 2009/2010, p.10-11
[121] Liz Kueneke. El tejido urbano [on line] Liz Kueneke s ' Video http://vimeo.com/lizkueneke/videos `Consultato: 30 settembre 2013]
[122] Laboratório Cartografias Insurgentes. O que é o Lab de Cartografias Insurgentes? [on line], Rio de Janeiro, 11-18 settembre 2011 http://cartografiasinsurgentes.wordpress.com/ [Consultato: 30 settembre 2013]
[123] Universidad Internacional de Andalucía (UNIA) Sobre el proyecto. [on line] “Espacio-Red de Prácticas y Culturas Digitales”, Sevilla (España), 2008 http://practicasdigitales.unia.es/intro/sobre-el-proyecto.html [Consultato il 30 settembre 2013]
[124] Eugenia Fratzeskou Drawing the Invisible [on line] DigiMag n.71, http://www.digicult.it/it/digimag/issue-071/italiano-drawing-the-invisible-urban-transcripts-2011/ Milano, febbraio 2012. [Consultato: 30 settembre 2013]
[125] DigiMag op.cit nota 117. Per approfondimenti sulle “trascrizioni” si veda anche Urban Transcipts [on line] http://urbantranscripts.org/ , Londra, 2010 [Consultato: 30 settembre 2013]
[126] Fontana, Giorgio. Te lo spiego con una infografica L'ideatore di Visual Complexity ci spiega l'estetica delle reti: ecco come colori e forme ci rivelano la filigrana di strutture complesse” [on line] WIRED.IT, http://daily.wired.it/news/internet/te-lo-spiego-con-una-infografica.html Milano, 06 agosto 2010 [Consultato: 30 settembre 2013]
[127] Manuel Lima. Latest Projects [on line] Visual complexity http://www.visualcomplexity.com/vc/ New York, 2011 [Consultato: 30 settembre 2013]
[128] “Sistemes vius: Nivell d’organització on es reconeixen organismes vius que conviuen i reaccionen els uns amb els altres. Són entitats obertes i s’hi inclouen també el conjunt de factors físics que constitueixen alló que anomenem ambient o habitat” Christa Sommerer & Laurent Mignonneau, 2011, p. 4
[129] Si pensi come i sistemi auto poietici e la loro organizzazione ha ispirato la progettazione di ipertesti proprio da parte di artisti piuttosto che di ingegneri. Questi ultimi più attenti ai problemi di usability e di information architecture basata su approcci funzionalisti piuttosto che all’evoluzione del modello progettuale pertinente alla natura dell’ipertesto di sistema complesso. Il riferimento è al Museo Teo creato da Teo Telloli, Giovanni Baj realizzato in maniera sperimentale in rete da studenti del Politecnico di Milano, Maria Gabriella Aquino, Corinne Benedettino, Simona Giuseppina. Si veda Léon, Maiocchi, 2002
[130] Di grande interesse in tal senso è l’applicazione delle Reti di Petri alla rappresentazione degli ipertesti. Interessante è la capacità che hanno questi sistemi grafici di far emergere la struttura conoscitiva concettuale, sia filosofica che narrativa, ovvero il valore semantico, di un racconto, ad esempio di una favola come quella di Cappuccetto Rosso. Di fatto, la rappresentazione schematica lineare della fiaba o l’applicazione di schemi tradizionali (tipo mappe concettuali, per intenderci) che non prevedono graficamente un segno-attributo, non lo permetterebbero. “L’ipertesto, giusto per il fatto di essere oggetto tecnico e semantico non è una semplice macchina di navigazione (…) esso è un progetto complesso, non solo per i numerosi componenti tecnici e i vari ambiti disciplinari imegnati ma soprattutto perché mette in crisi le forme tradizionali di rappresentazione, elaborazione e trasmissione della conoscenza”. Léon, Maiocchi, 2002, p. 191
[131] Balzola, Rosa, 2011
[132] “The Copenhagen wheel” in Senseable city lab on line [http://senseable.mit.edu/copenhagenwheel/] [Consultato il 22 novembre 2013]
[133] “Professionisti” in Senseable city lab (on line) http://senseable.mit.edu/ [Consultato il 22 novembre 2013]
[134] “Lo spazio simbolico nel quale si confrontano e organizzano le opinioni , gli orientamenti, gli schieramenti su temi che sono stati resi di evidenza pubblica (…) le caratteristiche di questo nuovo spazio pubblico sono la logica della notiziabilità e i parametri del gradimento e della reattività immediata (sondaggi e politiche costruite in base ad essi)” Sarebbe questa la definizione di spazio pubblico mediatizzato nel pensiero di Mauro Wolf, citato da M. Stazio. L’essenziale è invisibile agli occhi. I pubblici e il loro lavoro nell’economia della cultura. Milano: Franco Angeli, 2012, p. 23-24
[135] In questi giorni è apparsa su tutti i giornali la notizia della mega rissa organizzata sul web. Gli scontri si sono verificati a Bologna ai Giardini Margherita, uno dei più estesi e frequentati parchi cittadini e hanno coinvolto 250 ragazzi, perlopiù minorenni divisi in due gruppi autoproclamatisi 'Bolobene' e 'Bolofeccia'. Si trattava di liceali delle scuole della città contro i ragazzi degli istituti tecnici della periferia.
[136] Amin , Thrift, 2002, p. 102, citato da Sheller, 2011
[137] Oppure multimediale, trasmediale, rimediale nelle accezioni precisate in “La questione terminologica”da Rosa, Monteverdi, op. cit, Introduzione.
[138] Nel senso specificato da Jay David Bolter e Richard Grusin ovvero di recupero, evoluzione e fusione dei linguaggi mediatici, alla base della comunicazione ipermediata. Cfr. Bolter, Jay David; Grusin, Richard, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, (a cura di) Alberto Marinelli. Trad. it. di Benedetta Gennato, Milano, Guerini e Associati, 2002
[139] Carlo Magnani, Giuseppe Longhi, et. alt. Master FAR. Progettazione urbana sostenibile in IUAV: 38 , Venezia: Università Iuav di Venezia, 2005 p. 1
[140] F. Purini, Comporre l’architettura. Bari: Editori Laterza, 2006. p. 119.
[141] A. Turco, op. cit. p. 19
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[Edición electrónica del texto realizada por Ferran Ayala]
Ficha bibliográfica:
FRACASSO, Liliana. I luoghi inquieti. Nuove tecnologie per l’arte e la città. Biblio 3W. Revista Bibliográfica de Geografía y Ciencias Sociales. [En línea]. Barcelona: Universidad de Barcelona, 15 de febrero de 2014, Vol. XIX, nº 1062. <http://www.ub.es/geocrit/b3w-1062.htm>. [ISSN 1138-9796].