Considerazioni etiche sulla procreazione medicalmente assistita
Fulvia Mancini, Montse Boada, Pedro N. Barri
Servicio de Medicina de la Reproducción, Departamento de Obstetricia, Ginecología y Medicina de la Reproducción, Instituto Universitario Dexeus, Barcelona, España.
Resumen
Desde que las técnicas de reproducción asistida (TRA) han sido introducidas en la práctica clínica, sus aplicaciones se han ampliado mucho, abriendo una caja de Pandora a los dilemas éticos y promoviendo el debate. Lo que en principio era únicamente una solución médica a pacientes con las trompas de Falopio no permeables, actualmente se presenta como una opción terapéutica para una amplia variedad de situaciones que en algunos casos, han perdido su indicación médica (como en la elección de sexo por razones sociales), o se han transformado en una medida preventiva (como en el diagnóstico genético preimplantacional para enfermedades de aparición tardía). A pesar de que son muchos los aspectos controvertidos de las TRA que se pueden tratar, desde la subrogación uterina hasta la edad materna avanzada, en este artículo nos centraremos sobretodo en el debate ético provocado de la aplicación del diagnostico genético preimplantacional para la determinación de los antígenos del HLA para el transplante de células hematopoyéticas a terceros y en las enfermedades de aparición tardía.
Palabras clave: procreación asistida; diagnostico genético preimplantacional; HLA-matching; ética.
Abstract
Since assisted reproduction techniques (ART) have been introduced into clinical practice, it’s applications have spread widely, opening a Pandora’s box of ethical dilemmas and fierce debates. What was at the beginning only a therapeutic mean to bypass obstructed fallopian tubes, has, in some cases, lost its medical indication (as in social sexing) or has become a preventive tool (as in late onset diseases). Although the issues that may be considered when talking about ART are plenty, from uterine surrogacy, to advanced maternal age, in this paper we focus on the ethical debate raised by the applicacion of preimplantation genetic diagnosis in HLA typing for hematopoietic stem cell transplantation and in late onset diseases.
Key words: Assisted reproductive techniques; preimplantation genetic diagnosis; HLA matching; ethics.
Introduzione
Da quando la procreazione medicalmente assistita (PMA) è stata introdotta nella pratica clinica, le sue applicazioni si sono allargate in modo così rapido ed ampio che non sembra esservi un limite il che, ovviamente, ha aperto una scatola di Pandora di problemi etici e legali estremamente complessi. Infatti, la PMA originariamente nacque come strumento terapeutico per sostituire la fecondazione embrionaria in vivo laddove per motivi medici (assenza o non permeabilità tubarica, ridotta motilità spermatica) ciò non poteva accadere spontaneamente. Tuttavia, questo strumento medico poco a poco si è evoluto arrivando in certi casi a perdere la sua indicazione medica (come nella scelta del sesso dell’embrione per motivi sociali) o addirittura diventando strumento di prevenzione (come nelle malattie a insorgenza tardiva).
È, infatti, iniziata l’era della medicina predittiva. Come osservava il premio Nobel per la medicina Jean Dausset, che scoprì gli antigeni HLA, “…la medicina, nella sua storia, è stata prima di tutto curativa, poi preventiva ed infine predittiva. Oggi, al contrario, l’ordine è inverso: prima è predittiva, poi preventiva e solo alla fine, per disperazione, curativa”. Questo articolo ha lo scopo di analizzare alcune delle applicazioni della PMA eticamente più controverse, in particolare quelle legate all’utilizzo della diagnosi genetica preimpianto (PGD).
La PGD nasce come forma precoce di diagnosi prenatale nella quale è possibile analizzare gli embrioni creati in-vitro al fine di diagnosticare alcuni difetti genetici o cromosomici per impiantare in utero solo gli embrioni sani.
La tecnica può essere applicata a due categorie di pazienti. Il primo gruppo riguarda individui che hanno un elevato rischio di avere un figlio affetto da una malattia genetica. Si tratta di pazienti portatori di una patologia monogenica o di una aberrazione cromosomica strutturale (per esempio di una traslocazione) che hanno più volte interrotto una gravidanza sulla base di una diagnosi prenatale sfavorevole, oppure presentano una abortività ripetuta, o infine sono contrari all’aborto per motivi religiosi o morali. Nella seconda categoria i pazienti non hanno un rischio genetico elevato, ma devono ricorrere a tecniche di PMA per infertilità. In questi pazienti, se l’età della donna è superiore a 37 anni, il rischio di avere embrioni con aneuploidia è elevato e ciò riduce la possibilità di una gravidanza. Ultimamente, però, la PGD è stata usata non solo per prevenire o diagnosticare disordini genetici, ma anche per selezionare certe caratteristiche al fine, per esempio, di creare un bambino compatibile ad un fratello malato per eseguire un trapianto di cellule staminali. Anche la richiesta di PGD per selezionare il sesso del nascituro per motivi sociali o culturali sta aumentando. Recentemente il Regno Unito ha legalizzato l’uso della PGD in donne portatrici della mutazione genica che si correla ad un aumentato rischio di cancro della mammella. Tutte queste applicazioni non sovrapponibili alla diagnosi prenatale hanno suscitato un acceso dibattito.
Il numero di PGD effettuati per identificare le aberrazioni cromosomiche (i.e. traslocazioni reciproche e Robertsoniane) sta crescendo, soprattutto perché i portatori di queste traslocazioni sono generalmente sterili o soffrono di abortività ripetuta. La PGD è estremamente utile in questi casi poiché può costituire l’unica opportunità per queste persone di riprodursi.
La maggiore obiezione all’utilizzo della diagnosi genetica preimpianto sostanzialmente è che occorre creare e poi selezionare embrioni su una base genetica o cromosomica con l’eliminazione degli embrioni scartati. Questa obiezione ricalca il dibattito sullo status dell’embrione, e per analogia quello sull’aborto, sulla diagnosi prenatale e sulla ricerca con le cellule staminali. Coloro i quali ritengono che l’embrione o il feto siano persone obiettano alla creazione e distruzione degli embrioni e quindi si oppongono a quasi tutti gli usi della PGD. Altri pensano che gli embrioni non abbiano particolari diritti, ma che meritino rispetto in qualità di futuri esseri umani. In quest’ottica, la PGD è eticamente accettabile per buoni motivi, quali prevenire una malattia genetica, o l’aborto terapeutico. Inoltre, durante un normale ciclo di fecondazione assistita gli embrioni vengono osservati e scartati in base alla loro morfologia al fine di migliorare la tassa d’impianto. La PGD non è che l’evoluzione di questa selezione già praticata routinariamente nei laboratori.
L’utilizzo della diagnosi preimpianto per la tipizzazione HLA
Il Complesso Maggiore di Istocompatibilità o anche Major Histocompatibility Complex (MHC) è un gruppo di geni polimorfici che codificano per proteine espresse sulla membrana cellulare le quali espletano una funzione di riconoscimento di alcuni agenti proteici da parte dei linfociti T e sono responsabili del fenomeno del rigetto dei trapianti (1). Nell'uomo l'MHC prende il nome di Human Leukocyte Antigen (HLA).
L'operazione di definizione dei differenti alleli che caratterizzano un individuo prende il nome di determinazione dell'aplotipo o anche, nell'uomo, di tipizzazione HLA.
Esistono malattie genetiche quali, per esempio, la beta talassemia, l’anemia falciforme, l’anemia di Fanconi ed altre emogoblinopatie, curabili mediante trapianto di cellule staminali HLA compatibili, in cui una perfetta identità molecolare tra donatore e ricevente offrono un’alta possibilità di sopravvivenza e un ridotto rischio di rigetto o di complicanze post trapianto a volte fatali.
La presenza di geni HLA identici tra donatore e ricevente è, infatti, un requisito indispensabile affinché il trapianto abbia un esito favorevole e non si inneschino fenomeni di rigetto. Poiché un individuo è dotato di due distinti aplotipi HLA ereditati in maniera co-dominante da entrambi i genitori, le probabilità che un fratello sia HLA identico sono del 25%. Tuttavia a causa della ridotta dimensione dei nuclei familiari solo un terzo dei pazienti dispone di una sorella o di un fratello HLA identico. Il 3% degli esclusi può trovare un donatore con uno o due aplotipi ancestrali identici utilizzando una ricerca familiare estesa. Per gli altri l’unica possibilità di guarigione è l’identificazione di un donatore non consanguineo attraverso l’utilizzo di appositi registri nazionali e internazionali nei quali le possibilità di trovare un donatore compatibile sono circa del 75% (2). Una terza possibilità è tramite le cellule del cordone ombelicale donate al momento del parto e criocongelate in banche del sangue. Le possibilità di trovare cellule del cordone istocompatibili sono circa del 50% (3).
Nel 1998 il Centre for Medical Genetics fu contattato per la prima volta da una coppia che voleva effettuare una fecondazione assistita abbinata alla diagnosi preimpianto, al fine di selezionare embrioni che fossero HLA compatibili con il loro figlio affetto da anemia di Fanconi. La tipizzazione dell’HLA in fase preimpianto (Preimplantation HLA matching) rappresenta una strategia che consente di individuare e trasferire gli embrioni che risulteranno, all’analisi genetica, sia non affetti dalla specifica malattia, che HLA compatibili con il figlio malato. Alla nascita del bambino, le cellule staminali presenti nel cordone ombelicale del nascituro potranno essere isolate e trapiantate nel figlio malato della coppia, per consentirne la guarigione.
Questa recente applicazione della PGD si è rivelata di enorme utilità per questa categoria di pazienti: per la prima volta un metodo di diagnosi genetica diviene uno “strumento di terapia”.
I tassi di sopravvivenza dopo un trapianto di midollo osseo sono circa del 10-50% e dipendono da molte variabili quali il rigetto, la graft-versus-host disease, e le infezioni. Queste complicanze sono legate all’età, al tipo di malattia, al numero di cellule staminali trapiantate e al grado di istocompatibilità degli allo tipi HLA tra donatore e ricevente. La non compatibilità aumenta se il donatore e il ricevente non sono parenti e ciò si traduce generalmente in un aumento della morbilità e della mortalità legate al trapianto. Il tasso di successo in un paziente che riceve le cellule staminali da un fratello è sostanzialmente più alto rispetto a qualunque altra alternativa.
In conclusione, laddove i vantaggi di utilizzare un fratello donatore sono chiari, sorgono comunque molti aspetti etici che vanno presi in considerazione.
Esistono vari modi per ottenere un fratello HLA compatibile. I genitori possono continuare a fare figli finché non ne nasce uno istocompatibile, possono ricorrere alla diagnosi prenatale oppure possono provare con la diagnosi genetica preimpianto.
In precedenza le coppie con un figlio affetto dalle malattie sopra descritte, erano costrette ad affidarsi alla lotteria genetica della riproduzione naturale, tentando il concepimento di un altro bambino che fungesse da donatore e valutando la compatibilità HLA solo a gravidanza avanzata, attraverso la diagnosi prenatale. Tuttavia, bisogna considerare che la probabilità teorica di generare un figlio che sia sano e, nel contempo, dotato dei geni HLA compatibili è soltanto di circa uno su cinque (~19%). Molte di queste famiglie perciò hanno dovuto affrontare gravidanze ripetute, ritardando il trapianto e rischiando di dover scegliere la dolorosa strada dell’aborto, nel caso in cui i feti fossero risultati malati o anche sani, ma non HLA compatibili. La PGD associata alla tipizzazione dell’HLA, permette la selezione ed il successivo trasferimento in utero solo degli embrioni risultati sani ed HLA compatibili con il bambino malato della coppia eliminando il rischio che vengano abortiti i feti che non risultano HLA compatibili. Tuttavia, la scelta che viene operata sugli embrioni avviene in due tappe. La prima, che include la diagnosi della malattia, seleziona gli embrioni sani; la seconda, che prevede la tipizzazione, si effettua su embrioni sani per classificarli secondo i loro aplotipi HLA. Se la prima selezione può essere giustificabile da un punto di vista medico perché elimina il rischio che il bambino nasca malato, la seconda viene effettuata per scegliere caratteristiche che sono utili solo ad altri. Poiché l’embrione non beneficia di questa selezione, il criterio della tipizzazione dovrebbe essere visto come un criterio sociale. Gli oppositori della PGD sostengono che questo tipo di selezione sia l’anticamera alla creazione dei “designer babies” creati ad hoc secondo i desideri dei genitori, e che l’uso della PGD per la tipizzazione dell’HLA ci conduce sulla cosiddetta china scivolosa. Il pericolo della china scivolosa è maggiore con la PGD rispetto alla diagnosi prenatale perché non c’è un barriera restrittiva quale l‘aborto. L’impatto morale e psicologico di una interruzione volontaria di gravidanza è sufficientemente alto per prevenire la diagnosi prenatale e l’aborto per motivi triviali. Ciò non si può dire per la diagnosi preimpianto.
L’argomento principale contro la tipizzazione HLA è la strumentalizzazione del bambino che diventa un mezzo per curarne un altro. Una delle regole fondamentali sottostanti la morale occidentale è l’imperativo Kantiano. La seconda formulazione dell’imperativo categorico recita: “Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua come nella altrui persona, sempre come fine e mai come semplice mezzo” (4). Noi usiamo continuamente il prossimo come un mezzo e ciò non è considerato amorale. Un’azione viene condannata quando la persona viene usata squisitamente come mezzo.
Quando un’azione strumentalizza un individuo? I genitori spesso decidono di avere un secondo figlio perché faccia compagnia al primo, ma non possiamo dire che il bambino sia strumentalizzato. Quando un figlio muore e i genitori ne generano un altro per rimpiazzarlo si tratta di una strumentalizzazione maggiore o minore rispetto al volere un figlio per salvare la vita di quello malato?
La decisione di creare e selezionare un embrione mancherebbe di rispetto al futuro bambino solo se l’unica ragione per creare il bambino fossero i suoi tessuti. Se i genitori dessero in adozione il bambino dopo aver prelevato il tessuto sarebbe un chiaro segno di utilizzo del bambino unicamente come mezzo. Tuttavia, questa discussione è del tutto ipotetica in quanto è molto difficile credere che dei genitori che si sforzano in ogni modo di salvare il loro bambino malato non trattino il futuro figlio con uguale amore e rispetto.
Un possibile criterio per determinare se creare un embrione sia accettabile è il cosiddetto test postnatale: è eticamente accettabile creare un bambino per una ragione se è accettabile usare un bambino vivente per la medesima ragione. Pertanto, se prelevare il midollo osseo da un bambino è accettabile, allora è accettabile che uno dei motivi per avere il bambino sia il suo midollo osseo. Il test postnatale crea un legame tra l’intenzione e l’atto. Non c’è niente di male nell’essere concepiti per uno scopo x a meno che essere usati per x sia il solo motivo per il quale si viene creati (5).
In conclusione, non esiste un metodo sicuro per sapere che il bambino sarà amato e curato nel modo migliore, tuttavia non si può neanche dimostrare il contrario. La creazione del bambino non prova una mancanza di rispetto per la sua autonomia e la sua dignità intrinseca. Se un bambino malato morirà senza un trapianto, la creazione di un fratello compatibile può essere presa in considerazione ed è una decisione moralmente difendibile. Infine, una grande importanza deve essere data al counselling durante la firma del consenso informato. Alla coppia deve essere chiarito in qual modo si procederà qualora vi fossero embrioni sani ma non istocompatibili. Se veramente quello che desiderano è avere un figlio allora accettaranno anche il transfer di questi embrioni, se al contrario, il loro unico scopo è quello di ottenere un figlio compatibile non accetteranno. In tal caso sta al comitato etico del centro stabilire se acconsentire alla procedura o meno.
L’utilizzo della diagnosi preimpianto per le malattie a insorgenza tardiva e/o a penetranza incompleta
La penetranza di un gene indica la percentuale di persone portatrici del gene malato che sviluppano la malattia. Se una gene ha una penetranza completa, il 100% dei portatori svilupperanno la malattia. Nei portatori di un gene a penetranza incompleta la possibilità di sviluppare la malattia è altamente variabile a seconda del grado di penetranza.
Nelle ultime due decadi più di 30 mutazioni genetiche sono state associate a neoplasie pediatriche e adulte, frequenti e rare. Contemporaneamente, è aumentata la disponibilità di test genetici per le forme più comuni di cancro della mammella, dell’ovaio e del colon. Nella maggior parte dei casi la diagnosi genetica è stata fornita nell’ambito del trattamento di soggetti oncologici e come guida per lo screening e la prevenzione delle forme ereditarie nei famigliari dei malati. Tuttavia, man mano che la nuova generazione dei portatori di queste mutazioni genetiche giunge all’età adulta, la possibilità di ricorrere ai test genetici per guidare le proprie scelte riproduttive si fa sempre più concreta.
Nel maggio 2006 la HFEA ha autorizzato l’utilizzo della PGD per la diagnosi dei geni BRCA1 e 2 responsabili del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio (6). La decisione riguarda solo le condizioni genetiche gravi per le quali esiste un test con gene singolo. Il nocciolo della discussione è riassunto dall’articolo di fondo del Leading Edge di The Lancet: “Screening for disease: how far is too far?” (7).
La American Medical Association ha stilato un codice etico secondo il quale “la selezione per evitare una malattia genetica può non sempre essere appropriata […] un numero di fattori va considerato: la gravità della malattia, la probabilità che si manifesti, l’età di insorgenza, l’epoca di gestazione alla quale si effettua la selezione” (si fa, infatti, riferimento solo alla diagnosi prenatale). Sono precisamente questi fattori che fanno da cornice al dibattito sull’uso della PGD nelle malattie a bassa penetranza.
Innanzitutto, l’età di insorgenza: nelle malattie che insorgono durante l’infanzia (sindrome di Li-Fraumeni e rabdomiosarcomatosi), il razionale per la PGD è molto più immediato rispetto alle sindromi che insorgono nell’adulto. Infatti, nelle sindromi a insorgenza infantile, l’esordio è molto precoce e le neoplasie sono spesso fatali o comportano una grave morbilità. Nelle forme ad insorgenza tardiva ci si interroga se sia legittimo non far nascere un individuo che potrebbe sviluppare una malattia dopo 30 o 40 anni durante i quali potrebbe avere una vita piena e soddisfacente, o potrebbe morire per tutt’altra causa. Tuttavia, l’età di insorgenza può essere variabile da individuo a individuo, con differenze anche di decadi interessando questi soggetti già durante l’adolescenza. È difficile, perciò, stabilire un limite d’età: 15 anni sono troppi o troppo pochi?
In secondo luogo va considerata la penetranza: le forme infantili sono quasi tutte a penetranza completa paragonate alle forme adulte nelle quali è di circa il 40-50%. In questi soggetti, quindi, la condizione di portatore del gene non implica automaticamente che la malattia si svilupperà. Occorre, però, ricordare che nonostante la bassa penetranza questi disordini sono a eredità autosomica dominante, pertanto i figli di questi soggetti hanno il 50% delle possibilità di ricevere il gene mutato. Inoltre, il rischio oncologico anche nelle forme a penetranza minore, resta sempre tra i più alti conosciuti in genetica.
In terzo luogo, si deve considerare la gravità della patologia ereditaria. In alcune sindromi si possono associare cancri multipli e alterazioni dismorfiche (es. Sindrome di Li-Fraumeni), in altre il fenotipo può essere meno severo e le forme tumorali non si associano ad un aumento della mortalità (es. Sindrome di Gorlin).
Una quarta considerazione è la possibilità di prevenzione. Per alcune di queste forme è possibile intervenire chirurgicamente asportando il tessuto ancora sano, ma con alta probabilità di degenerare. Le donne portatrici del gene BRCA1 e BRCA2 possono sottoporsi a mastectomia e ovariectomia profilattica, i portatori della mutazione per la poliposi famigliare del colon possono subire una colectomia. Nelle forme ereditarie di cancro gastrico si può ricorrere ad una precoce gastrectomia, ma le femmine portatrici devono anche valutare la possibilità di una mastectomia perché si associa un’aumentata incidenza di cancro della mammella. Una sorveglianza accurata e la chirurgia profilattica possono indubbiamente allungare l’aspettativa di vita di questi pazienti. Tuttavia, la mortalità di questi soggetti rimane superiore alla media perché spesso si manifestano neoplasie in localizzazioni meno comuni e quindi meno facilmente individuabili ad uno stadio premetastatico. Inoltre, la chirurgia profilattica ha delle ripercussioni sulla qualità di vita che non vanno sottostimate e può non essere accettabile o disponibile per tutti i portatori di mutazioni.
Fino a un quarto dei soggetti risultati positivi a una mutazione predisponente al cancro, ha riferito un aumento dell’ansia nella valutazione delle proprie opzioni chirurgiche e mediche profilattiche. In questi soggetti il fardello emotivo è aumentato dalla consapevolezza di poter trasmettere la mutazione ai figli. In tal caso la possibilità di ricorrere alla diagnosi preimpianto può essere un sollievo oppure fonte di ulteriore stress in quanto, come dimostrato da Roberts e Franklin, le scelte offerte dalla PGD possono essere vissute dalla coppia come un obbligo, un’opportunità, oppure una non scelta (“not a choice at all”) (8). Anche in questo caso, così come nella tipizzazione HLA, è importantissimo il councelling dell’equipe medica al fine che i pazienti non vedano la diagnosi preimpianto come scelta obbligata, ma come una tra varie possibili opzioni.
L’introduzione di trattamenti sofisticati come la PGD nella pratica clinica potrebbe avere un potenziale enorme per prevenire talune patologie, ma spesso contestualmente pongono nuovi dilemmi clinici, etici e sociali. Per esempio, Ehrich e coll (9) affermano che la PGD permette alla gente di fare nuove scelte non attuabili con la fecondazione assistita, ma la possibilità stessa di fare tali scelte è controversa, per ciò che, scegliendo attraverso la PGD, si implica del rapporto genitore-figlio. Infatti, recentemente la stampa inglese e internazionale dibatteva se sia giusto consentire l’utilizzo della PGD per malattie quali la sordità ereditaria, o per la tipizzazione HLA. Questi interrogativi possono essere collocati nell’ambito di un più ampio dibattito morale, etico e legale che riguarda l’autonomia genitoriale e le scelte riproduttive contro il benessere del bambino che potrebbe, o meno, nascere, e l’autorità clinica; o fino a che punto la PGD possa essere discriminante a livello individuale e sociale. Nonostante il numero delle PGD eseguite nel mondo sia relativamente basso rispetto al numero di cicli di fecondazione assistita, la PGD è stata descritta come un punto etico di svolta, in quanto l’abilità di scegliere le caratteristiche genetiche dei figli è strettamente legato ad un problema fondamentale, e cioè “cosa sia essere umani” (10).
Si è anche discusso del fatto che queste tecnologie risiedono al cuore dell’incertezza che puntella i recenti sviluppi in bioetica del mondo occidentale (11). Le incertezze sono relative al tipo di diagnosi che le nuove tecnologie riproduttive offrono, diagnosi più legata al rischio e alla probabilità che non alla causalità. Nel caso della PGD si parla sempre in termini di rischio e di probabilità e ciò genera dubbi morali, clinici ed etici sia nelle coppie che nel personale medico. Questi problemi sono già stati posti per la diagnosi prenatale, tuttavia quest’ultima e la PGD non sono perfettamente sovrapponibili. Una delle differenze sostanziali è che le coppie che decidono di ricorrere alla PGD hanno già deciso di essere a rischio di avere un bambino affetto da una patologia che loro considerano grave, sulla base della propria storia famigliare. Ciò pone un problema sui confini dei limiti nella autonomia riproduttiva, e sulle difficoltà che si incontrano nel trovare un accordo per definire la gravità della malattia.
Recentemente una donna portatrice di una mutazione ereditaria per il morbo di Alzheimer a insorgenza precoce, si è sottoposta a PGD ed ha partorito una bambina sana (12). Tuttavia, essere portatori di questa mutazione non implica che la malattia si sviluppi né quando si svilupperà. Quindi, dov’è che si dice basta? E come ci si deve comportare con le malattie per le quali sono stati identificati fattori di rischio genetici, ma che dipendono anche da altri fattori come l’alimentazione e l’ambiente? Una recente meta-analisi ha riportato una associazione significativa tra l’ictus e la mutazione di quattro geni: il fattore V di Leiden, la metilenetetraidrofolato redattasi, la protrombina e l’enzima di conversione dell’angiotensina (13). Su tale base, è giustificabile testare gli embrioni per queste patologie?
La risposta è che è legittimo consentire ai pazienti portatori di mutazioni genetiche ad alto rischio neoplastico di usufruire della PGD, così come possono ricorrervi già da tempo i portatori di altre patologie genetiche. Tuttavia, è opportuno non solo definire quali malattie, ma anche quali fattori di rischio e tratti genetici possano essere testati in futuro per evitare che la tecnologia venga abusata.
Conclusioni
Evitare l’abuso di queste teniche è un problema che si estende alla TRA in generale (14). Infatti, nonostante qui per motivi di spazio non abbiamo potuto affrontarli tutti, i problemi etici che le applicazioni della TRA fanno sorgere sono ogni giorno sempre più numerosi. Si pensi all’utero in affitto, alla gravidanza in donne di età avanzata, o alla possibilità per le coppie omosessuali di accedere alla donazione di gameti. Tre situazioni accettate come normali ed eticamente giuste in alcuni paesi e considerate fuorilegge in altri. Il fatto che esistano queste discrepanze tra paese e paese implica che il progresso scientifico non può essere fermato perchè è inesorabile, tuttavia è giusto che vi sia un dibattito etico che monitorizzi, senza arrestare, il progredire della ricerca scientifica.
Ringraziamenti
Questo lavoro è stato presentato sotto l’auspicio della “Catedra d’Investigació en Obstetricia i Ginecología” del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Institut Universitari Dexeus, Universitat Autònoma de Barcelona.
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